I nuovi balli proibiti
"Eravamo una semplice famiglia borghese e improvvisamente ci siamo ritrovati a vivere in un albergo lussuoso, con personale di servizio e autista a disposizione in ogni momento. Ci si aspettava che diventassimo parte dell'alta società americana già presente sul posto, ma io mi innamorai di un ragazzo sudamericano che mi fece scoprire una terra straordinaria".
Queste parole appartengono alla coreografa Joann Jansen, co-produttrice, insieme a Lawrence Bender e Sarah Green, del sequel di Dirty Dancing, uno dei film più odiati dalla critica, ma allo stesso tempo uno dei più amati dai giovanissimi.
Scritto da Boaz Yakin, sceneggiatore del primo The punisher cinematografico e del riuscito sequel di Dal tramonto all'alba, e diretto, sul tanto gettonato filo della nostalgia, da Guy Ferland, regista di Babysitter...un thriller e di molta televisione, Dirty Dancing 2 (Havana Nights) ci giunge, inaspettatamente, a diciassette anni di distanza dal notevole successo interpretato dall'allora giovanissimo Patrick Swayze, e, tratto dalla vita della Jansen (che compare anche in una sequenza di ballo), combina nuovamente amore, danza e vicende personali, ma, anziché svolgersi negli anni Sessanta, sulle note della Be my baby spectoriana, è ambientato nel 1958, con ritmi latino-americani che fanno da colonna sonora (c'è anche la I've had the time of my life del film originale, riletta però in chiave acustico-spagnoleggiante), e segue la vicenda della diciottenne Katey Miller che, trasferitasi all'Avana, dove il padre ha ottenuto un posto da dirigente presso la Ford, fa conoscenza con il cameriere Javier, eccellente ballerino da cui inizia a prendere segretamente lezioni di danza, per poter poi partecipare, insieme a lui, alla prestigiosa gara di ballo nazionale, che si svolge presso lo sfavillante night club/casinò The Palace.
Pur raccontando di nuovo una classica storia romantico-adolescenziale, Ferland, con una Cuba alle soglie della rivoluzione, conferisce al lungometraggio un taglio completamente diverso rispetto al primo capitolo, rivolgendosi non soltanto agli spensierati teen-agers. Non a caso, ha dichiarato: "L'ambientazione del film nella Cuba del 1958, ha una valenza prevalentemente culturale e musicale; ci viene offerta la possibilità di esplorare il tutto attraverso gli occhi di un'ingenua adolescente americana. Pertanto, il film non è solo una storia d'amore, ma è anche un musical, un film drammatico, e un film che parla di cultura e di un paese straniero".
A tal proposito, è impossibile non notare come il regista identifichi due distinti ceti sociali all'interno di due diversi generi musicali: se il rock'n'roll viene ascoltato dagli esponenti dell'alta società all'esclusivo Ocean Hotel, imponente simbolo del capitalismo, la danza afro-cubana, alla quale gli schiavi ricorrevano per illudersi dell'unico momento in cui potevano sentirsi liberi dal padrone, regna alla Rosa Negra, fumoso night-club dove nasce la storia tra Javier e Katey.
Ovviamente a farla da padrone sono lunghe sequenze di ballo, ottimamente coreografate dalla succitata Jansen, e ben assemblate grazie al montaggio di Luis Colina (Il corvo 3) e Scott Richter (associate editor di Chicago), che rischiano di conferire al film il look di un lungo videoclip, ma Ferland, supportato anche dai due efficaci protagonisti Romola Garai (I Capture the Castle) e Diego Luna (Y tu mamá también), affronta abilmente questa vicenda di ballo e conflitti sentimentali, seguendo in parallelo anche storie familiari di fratelli e sorelle, e, grazie a risvolti interessanti ed inaspettati, ci regala un sequel-remake decisamente più riuscito del capostipite (non ci voleva molto), il cui difetto maggiore sta forse nel voler giungere troppo in fretta al finale.
Nel ruolo di un istruttore di danza ritroviamo anche Patrick Swayze.