Recensione Dreamgirls (2006)

Immersi nei colori e nei suoni caldi del rhythm & blues, Condon ci riporta nella Detroit di fine anni '60, con una regia che privilegia i movimenti coreografici dei protagonisti, ricalcando le inquadrature dei grandi show televisivi di un tempo.

I migliori sogni della nostra vita

Si è fatto un gran parlare di Dreamgirls negli ultimi tempi, per il buon successo ottenuto al box office americano e per i Golden Globes vinti di recente, ma spesso nelle discussioni si è sottovalutato il valore reale del film, riconoscendogli solo un'impeccabile colonna sonora, che da sola però non rende giustizia alla bellezza di un film destinato a durare. Un grave errore di valutazione, che ha fatto mancare al musical di Bill Condon la candidatura agli Oscar nelle categorie più importanti, ma che probabilmente non negherà il giusto riconoscimento ai suoi protagonisti più bravi. Dreamgirls, va detto subito, è un prodotto formidabile, confezionato con abilità e grande cura dei dettagli, che racconta con ritmo esemplare una storia che per due ore diverte, commuove ed appassiona senza mai annoiare, con quell'affascinante gusto nostalgico dell'era Motown, un cast eccellente in gran forma e, naturalmente, una colonna sonora che è un vero regalo per gli appassionati di buona musica.

Vagamente ispirato alla storia di Diana Ross e delle sue Supremes, il film narra le vicende di un trio di ragazze unite dall'amore per la musica e divise dalle leggi dello show business. Sono trascorsi 25 anni dal debutto di questo musical nei teatri di Broadway, ma l'analisi che riesce a fare dell'industria discografica è ancora attualissima, con il talento cristallino messo da parte per il diktat dell'apparire. Così, la rotonda Effie (Jennifer Hudson) di fronte alla possibilità di un debutto nel mondo della musica con il suo trio dei sogni, le Dreams, giovani ninfe del soul pronte a diventare grandi, deve cedere il passo e il ruolo di primadonna alla più avvenente Deena (Beyoncé Knowles), che le porterà via anche l'amore del manager Curtis (Jamie Foxx), consegnandola ad uno sconforto che la porterà fuori dal gruppo. Al successo internazionale della nuova formazione, in cui alla vulcanica Effie si è prontamente sostituita una ragazza più esile nell'aspetto, nel talento e nel carattere, si accompagneranno poche gioie private, amare delusioni e la costante sensazione che i trionfi e i consensi, conquistati spesso a colpi di compromessi, non possono lavar via l'amarezza per gli amori e le amicizie finite.

Immersi nei colori e nei suoni caldi del rhythm & blues, Bill Condon ci riporta nella Detroit di fine anni '60, tra l'esplosione della nuova musica afro-americana e gli scontri per le strade in nome di diritti civili ancora irraggiungibili. La sua è una regia che privilegia i movimenti coreografici dei protagonisti, ricalcando le inquadrature dei grandi show televisivi di un tempo, che colgono tutte le sfumature delle interpretazioni degli attori e fa del palco, quello dei grandi teatri, degli studi televisivi o dei piccoli club, il luogo simbolo di un'epoca di grandi trasformazioni, che vede la musica cambiare in fretta e mutare, dal soul e dall'r&b degli inizi, al pop e alla disco degli anni '70. Si lima quel sound originale che aveva fatto della Motown la più importante fabbrica di artisti r&b, che perde progressivamente le venature gospel e gli echi del soul, per diventare un prodotto più accessibile in tempi che mutano con estrema velocità e che all'intensità e alla passione preferisce l'orecchiabilità di un ritornello ballabile.

Se c'è un difetto imputabile a Dreamgirls è senza dubbio la mancanza di particolare originalità, ma è lo scotto da pagare per i venticinque anni di attesa lasciati trascorrere prima di tradurre in cinema uno spettacolo teatrale di così grande successo. I riferimenti alle battaglie sociali e politiche sono un po' raffazzonati, ma basta una canzone (Patience) per ritrovare quello spirito che animava gli americani di fronte alla follia della guerra del Vietnam. Ed è tutta la colonna sonora del film che ci restituisce in un modo irresistibile un'epoca di sogni e cadute, speranze e bisogni inappagabili. Non c'è un attimo di tregua tra un pezzo e l'altro: una canzone ci copre la pelle di brividi, un'altra ci stringe il cuore, quella dopo non ci fa restare fermi un secondo sulla poltrona. In America le vendite della colonna sonora di Dreamgirls parlano già numeri incredibili: era dal 2002, dai tempi della soundtrack di Fratello, dove sei?, che una colonna sonora non arrivava al primo posto delle classifiche di vendita, restando in vetta per sei settimane di fila. Certo è soprattutto merito del blasone della star Beyoncé Knowles, ma la grande protagonista di questo musical è senza dubbio l'esordiente Jennifer Hudson, una voce che è un dono della natura e che si avventura in voli volutamente esagerati, ma che emoziona in più di un'occasione.

La riuscita di un film come Dreamgirls si deve dunque ad un cast strabiliante, nel quale spiccano un ritrovato Eddie Murphy (un vero animale da palcoscenico e una sorpresa a livello vocale) ed il fenomeno Jennifer Hudson, la grande scommessa del film che, sconfitta nel talent show American Idol, si è presa una grande rivincita con un ruolo che sembra cucito su di lei e che probabilmente la porterà a breve a stringere la statuetta più ambita di Hollywood. La Hudson è certo un'attrice acerba, che fa del suo entusiasmo e della voglia di cantare la sua carta vincente, la stessa che la rende così straordinaria in questa parte. Tra gli altri attori non va certo dimenticata la venere Beyoncé, un volto che sembra scolpito per il cinema, che trova in questo film il ruolo di una vita e sa farsi trovare pronta e matura, accettando di mettersi da parte quando in scena c'è l'esplosiva Hudson.

Bill Condon torna ad adattare un musical per il grande schermo, dopo il noiosissimo Chicago, vincitore del premio Oscar come miglior film nel 2002, scegliendo stavolta di dirigerlo da sé, forte dell'esperienza maturata negli ultimi anni con i biografici Demoni e dei e Kinsey. Finalmente ci si torna ad emozionare e divertire con un musical al cinema, sei anni dopo Hedwig di John Cameron Mitchell, nonostante qualche banalità di troppo in sceneggiatura, che però non inficiano un prodotto così godibile, che non scivola mai nel consolatorio, affidandosi ad un finale agrodolce, dove tutti hanno perso, ma anche guadagnato qualcosa, e la consapevolezza che gli anni trascorsi rimarranno sempre e comunque i migliori anni della propria vita. E a noi spettatori non resta che lasciarci trascinare dal ritmo vorticoso di Dreamgirls, perché per una volta, come recita il testo della canzone che da il titolo al film, "tutto ciò che devi fare è sognare."