Una sceneggiatura inconsistente e personaggi altrettanto impalpabili condannati al loro destino di fantocci sin dall'inizio del film, complice una scrittura superficiale e ancorata a una narrazione stereotipata. Succede a Lisa Azuelos, regista francese già nota per Selfie di famiglia del 2019, che questa volta scrive e dirige una rom-com in parte autobiografica, ispirata al rapporto tormentato della regista con sua madre, la cantante Marie Laforêt. Il film (qui potete leggere la recensione di I love America) in streaming su Prime Video dal 29 aprile riunisce la coppia Sophie Marceau e Lisa Azuelos quattordici anni dopo il fortunato LOL - Il tempo dell'amore, commedia di tutt'altro tenore.
Una storia governata dai cliché
Ad avere la meglio in I Love America è un racconto convenzionale e patinato, girato in una Los Angeles che trasuda cliché da cartolina: il sogno americano, le ville assolate con piscina, le feste stravaganti, le palme, il mare, le sedute di yoga e le colline di Hollywood. A gravare su tutto una quantità di citazioni gratuite da Bonnie & Clyde a Viale del tramonto, Pretty Woman, Thelma & Louise, una manciata di titoli tirati in ballo dalla voce narrante della protagonista Lisa (Sophie Marceau) che - non è un caso - ha lo stesso nome della regista. Lisa Azuelos rivela così sin da subito il carattere autobiografico del film ribadito dall'omaggio finale alla madre, "in memoria di Marie Laforet", e dalle immagini di repertorio della cantante e attrice francese scomparsa a novembre del 2019, che accompagnano i titoli di coda.
Lisa è una donna di cinquanta anni, single e con due figlie ormai adulte che hanno abbandonato il nido da un pezzo; fa la regista, sta scrivendo un film sulla sua vita, da tre anni non ha una relazione, ma la morte della madre malata terminale assume i contorni di una seconda possibilità. Disillusa dalla vita decide che è arrivato il momento di cambiare e da Parigi si catapulta a Los Angeles dove ritrova il suo migliore amico Luka (Djanis Bouzyani), proprietario di un bar diventato celebre per i suoi spettacoli drag queen e alla ricerca spasmodica di un principe azzurro. Tra una disavventura amorosa e l'altra, Luka la convince a frequentare un sito di incontri creandole un profilo. E dopo una serie di appuntamenti imbarazzanti Lisa incontra John (Colin Woodell) e il viaggio verso l'amore diventerà così l'occasione per ritrovare se stessa e perdonare una volta per tutte sua madre, chiudendo definitivamente i conti con un'infanzia difficile trascorsa tra una figura materna assente e un padre eterno play boy "la cui vita era una grande party, che coinvolgeva quante più donne possibili".
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Personaggi poco credibili
Il film è una carrellata di luoghi comuni avanti e indietro nel tempo, tra il presente ingabbiato in un mondo finto e scollegato dalla realtà e i flashback altrettanto artefatti, evocati attraverso la presunta sceneggiatura alla quale Lisa sta lavorando. Tutto molto poco credibile, come il fatto che la protagonista sia una regista: peccato non la si veda mai fare un film, se non negli sporadici, rarissimi momenti in cui la si ritrova al computer a scrivere, ma si tratta di parentesi brevissime e per nulla omogenee con il resto della narrazione. Non c'è un solo istante in cui ci si riesca a immedesimare nelle vicissitudini della protagonista, evanescenti sulla carta e incapaci di sopravvivere sullo schermo. Non si salva quasi nulla in questa tempesta perfetta, che trascina via qualsiasi traccia di verità, in nome di un omaggio ostentato; ne fanno le spese anche i personaggi, non ultimo quello dell'amico gay la cui identità viene definita solo in funzione dei tormenti e delle ansie di Lisa, secondo le generalizzazioni più diffuse che lo vogliono eccentrico e senza filtri quando ad esempio per spronarla a iscriversi a una app di dating gli dirà:
"Se quella stronza di Cenerentola avesse lasciato decidere al fato, dove sarebbe ora? Ancora a pulire per la sua matrigna e a parlare con i topi". Non aiuta di certo la retorica del 'volere è potere' ("Alcune persone sognano di cambiare la loro vita. Altre come me decidono di farlo"), né l'edulcorazione dei ricordi di infanzia o l'esibita morale del sogno americano rappresentato secondo cliché ormai obsoleti. La voce fuori campo durante i flashback fa il resto, riducendo a orpello quello che sulla carta avrebbe invece un potere evocativo ("L'America aveva per me il sapore delle scrambled eggs, delle discoteche e di mio padre"). Sophie Marceau di indiscutibile eleganza e raffinatezza ce la mette tutta per rianimare la sua Lisa, ma non basta.
Conclusioni
Concludiamo la recensione di I love America ribadendo quanto detto fino ad ora. Se da un lato non mancano alcuni siparietti comici che strappano qualche risata e servono a smontare alcuni tabù, dall’altro Lisa Azuelos fa l’errore di scrivere una commedia semplicistica. Difficile empatizzare con la protagonista, o immedesimarsi in un mondo assai sconnesso dalla realtà.
Perché ci piace
- L’eleganza e la raffinatezza di Sophie Marceau, che ce la mette tutta per essere credibile in una commedia romantica completamente alla deriva dei cliché.
- La leggerezza con cui il film sfata alcuni tabu culturali, la protagonista ad esempio ha una relazione con uomo molto più giovane di lei.
Cosa non va
- Una commedia semplicistica e schiava di stereotipi che attingono, tra gli altri, al mito del sogno americano.
- Los Angeles trasuda cliché da cartolina: viali alberati, lussuosissime case con piscina, feste stravaganti e le colline di Hollywood sullo sfondo.
- L’universo descritto è finto e artefanno, un mondo borghese e dorato con cui lo spettatore non riuscirà a empatizzare neppure per un momento.
- Una sceneggiatura inconsistente con personaggi privi di spessore, volatili e poco credibili.