Recensione Uomini forti (2006)

Divertente e disincantato il documentario di Steve Della Casa celebra il genere mitologico ed indirettamente il sistema produttivo di Cinecittà negli anni d'oro.

I Cinecittà Days degli eroi mitologici

C'era un periodo in cui il cinema italiano funzionava come una vera e propria industria, ma non un'industria all'americana, dove ognuno ha un ruolo come in una catena di montaggio fordista, bensì una all'italiana dove un sistema di produzione di massa viene realizzato con competenze più accentrate e flessibili. Era un periodo in cui si producevano moltissimi film e di molti tipi diversi, un momento in cui era dato molto spazio al cinema di genere e in cui accanto alle produzioni più intellettuali vivevano produzioni molto più popolari. Tra queste a dominare c'erano i film mitologici, il filone di Ercole, Maciste e Ursus, interpretati quasi sempre da culturisti americani (anche perchè nell'Italia del dopoguerra non esisteva nessuno che potesse permettersi diete particolari per lo sviluppo muscolare) che mettevano in scena combattimenti più o meno coreografici accanto a danze di ancelle molto poco vestite. Un cinema mal visto dalla critica dell'epoca ma in fondo ottima palestra per molti grandi autori e attori futuri e soprattutto necessaria macchina da soldi in grado di garantire la possibilità di produrre film di più alto valore e molto minore incasso.

E' con un piglio molto divertito che il critico Steve Della Casa ha raccolto materiale dell'epoca, scene di film, cinegiornali dell'Istituto Luce e alcune interviste a protagonisti e amanti di quei film. Uomini forti è un viaggio di soli 50 minuti in un mondo veramente di serie B, fatto di produzioni piccole e di grandi successi nazionali e internazionali, un documentario che non vuole rivalutare un cinema che può a tratti essere divertente, ma di certo non ha altri valori (anche perchè non vuole averne), ma si propone di celebrarne l'ingenuità, il pressappocchismo e la forte componente popolare.
Ammirabile il metodo di Della Casa che realizza un documentario senza voce narrante e senza guida, tutto lasciato all'abile alternarsi di cinegiornali, interviste e segmenti di film. Un modo che lascia lo spettatore libero di leggere quello che vuole e trarre le proprie conclusioni su quell'universo grottesco e divertente di vero cinema, il cinema fatto con ben poca arte ma molta astuzia e a tratti un po' di maestria.

E l'epopea del genere mitologico, arrivato alla ribalta con Le dodici fatiche di Ercole, durato circa un decennio e poi lentamente tramontato per i budget sempre più striminziti e le improbabili variazioni temporali (Maciste nel medioevo) per come la racconta Della Casa ricorda molto un affettuoso viaggio nella memoria. Più un omaggio alla propria infanzia che a quel cinema.