I 57 giorni in cui la mafia tacque
I 57 giorni raccontati da Alberto Negrin per Rai 1 (in onda questa sera, 22 maggio, in prima serata) ripercorrono, come un countdown inesorabile scandito dalle musiche del maestro Ennio Morricone, il tempo trascorso tra la strage di Capaci e l'attentato di via D'Amelio. Nella prima ha perso la vita il giudice antimafia Giovanni Falcone, che ha lasciato così in prima linea nella lotta a Cosa Nostra il collega e amico Paolo Borsellino con un destino altrettanto segnato.
Questa nuova rivisitazione su piccolo schermo (dopo la versione con Giorgio Tirabassi) si concentra principalmente sulla versione privata del giudice mostrandocelo in tutta la sua umanità grazie all'interpretazione magistrale di Luca Zingaretti. La triangolazione tra questo ruolo, il Commissario Montalbano e Don Pino Puglisi (nel film di Roberto Faenza Alla luce del sole) sembra quasi scontata, per via delle radici geografiche dei personaggi e per il coinvolgimento, in varie forme, nella malavita locale. L'attore invece ha dichiarato di non averci minimamente pensato, ma il pubblico tenderà ad associare i vari personaggi per un attimo, prima di cancellare ogni traccia delle precedenti interpretazioni per concentrarsi sullo sguardo amorevole e sorridente del nuovo Paolo Borsellino televisivo.
La sceneggiatura di Francesco Scardamaglia, a tratti incerta con passaggi narrativi tra il retorico e il farraginoso, risente della fretta con cui il progetto è stato realizzato e di cui Fabrizio Del Noce, direttore di Rai Fiction, chiede venia al pubblico. Tralascia i dettagli della vicenda e si ferma alla superficie di una delle pagine più buie della storia italiana recente, senza il coraggio di andare fino in fondo. La fiction lascia un inevitabile nodo alla gola, ma anche un senso d'incompiuto difficile da colmare. Ciononostante le va riconosciuto il pregio di proporre una versione meno istituzionale e più umana di Paolo Borsellino, permettendo al pubblico di avvicinarsi a lui come uno dei bambini a cui non ha mai negato un sorriso o dei colleghi a cui offriva sempre il caffè.
La passione, l'amore e la devozione verso la giustizia si concretizzano nel piacere per le piccole gioie quotidiane e per i gesti affettuosi di cui ha sempre circondato la famiglia, da cui ha dovuto prendere le distanze e che non ha voluto coinvolgere nelle indagini pur di proteggerla.
Il punto di forza de I 57 passi resta Luca Zingaretti, capace di cogliere appieno tutte le sfumature di un'istituzione dello Stato italiano, intransigente nella lotta alla Mafia e squisitamente sensibile nelle relazioni umane. A dispetto della poca somiglianza fisica, l'attore è riuscito a comprendere fino in fondo il lacerante stato d'animo del giudice Paolo Borsellino, con le ansie e le paure che chiunque al posto suo avrebbero provato ma con il coraggio che in pochi hanno poi dimostrato di possedere.