Come promesso oltre un anno fa, nel finale della quarta stagione, i coniugi Underwood si preparano alla guerra. Se però la guerra in questione sia quella contro la minaccia terroristica, rappresentata da un'organizzazione nota con l'acronimo ICO (e dai tratti pressoché identici al famigerato ISIS), quella contro i propri avversari politici o quella contro chi, in particolare dalla stampa, si interroga sullo stato di salute della democrazia in America, è una questione ancora tutta da chiarire.
Con Capitolo 53, sceneggiato da Frank Pugliese per la regia di Daniel Minahan, House of Cards ci riporta a quell'aggressiva campagna elettorale che aveva già tenuto banco per tutto il corso della quarta stagione; e se nella realtà sono trascorsi più di sei mesi da quel drastico Election Day dall'esito tanto clamoroso, nella finzione della serie di punta della rete Netflix (ma in Italia trasmessa ancora da Sky Atlantic) il duello per la Casa Bianca deve ancora regalarci le sue battute conclusive.
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Frank Underwood nell'era di Donald Trump
Rispetto a un anno fa, nel marzo 2016, molto è cambiato rispetto all'universo di House of Cards. Sul piano creativo, una sostituzione importantissima: l'abbandono di Beau Willimon, il creatore della serie, e l'ingresso al suo posto di due nuovi showrunner, Melissa James Gibson e Frank Pugliese (sarà da vedere se e come questo "cambio al timone" influenzerà le scelte narrative delle prossime puntate). Ma, dato forse perfino più significativo, un altro cambiamento riguarda inevitabilmente il 'contesto' di questo quinto capitolo di House of Cards, nonché la sua ricezione da parte del pubblico: l'America (e di riflesso il mondo) nell'era della Presidenza di Donald Trump. Difficile appurare quanto della sceneggiatura della serie Netflix fosse già stato scritto prima della vittoria a sorpresa del candidato repubblicano e quanto, invece, sia stato influenzato dal risultato dell'Election Day: fatto sta che, oggi, è pressoché impossibile osservare il Frank Underwood di Kevin Spacey senza pensare, perlomeno a tratti, all'attuale inquilino della Casa Bianca.
E gli echi fra realtà e finzione, manco a dirlo, già dalla puntata d'apertura non potrebbero essere più evidenti. Tema centrale di Capitolo 53, e presumibilmente di molte delle successive puntate, è proprio la guerra al terrorismo: l'incipit dell'episodio è un discorso della First Lady Claire Underwood (una Robin Wright dalla consueta, gelida compostezza) a proposito delle nuove misure di sicurezza da applicare sul territorio nazionale. Pochi minuti più tardi, l'emergenza della lotta al terrorismo viene sbandierata forsennatamente dal Presidente Underwood, addirittura nel bel mezzo di una seduta del Congresso, come comodo spauracchio per stornare l'attenzione pubblica dalle polemiche sollevate contro di lui dagli articoli del Washington Herald. La retorica sulla sicurezza interna e l'aperta ostilità nei confronti della stampa: due punti fermi nella strategia dei coniugi Underwood, ma anche due elementi ricorrenti della parabola politica di Trump. E nei dialoghi del primo episodio non mancano pure dei riferimenti a una massiccia chiusura delle frontiere, che nelle sue modalità rievoca all'istante il discutissimo Muslim Ban trumpiano di qualche mese fa.
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Gli antieroi dei nostri tempi
In sostanza, se nelle precedenti stagioni House of Cards si proponeva come un esempio di fantapolitica (e magari di distopia) in cui i frequenti richiami all'attualità si inserivano all'interno di un racconto percepito come una canonica "tragedia del potere" di stampo shakespeariano, oggi la distanza fra la serie con Kevin Spacey e la nuova direzione della politica statunitense si è talmente ristretta da rasentare il corto circuito; e per certi versi, ci costringe a ridurre il nostro senso di stupore nei confronti di un 'copione' a cui assistiamo quotidianamente nei notiziari. Lo stesso Underwood, all'inizio più subdolo, mellifluo e accomodante, sembra aver accentuato e reso del tutto manifesti i propri tratti di arroganza e di autoritarismo, come se davvero il suo personaggio si sia fatto espressione dello Zeitgeist dell'America del 2017. Più ambigua, e per certi versi dunque più interessante, sua moglie Claire, pronta ad assecondare la spregiudicatezza machiavellica del consorte, ma ancora in grado di commuoversi con sincerità al funerale di Jim Miller, un ragazzo decapitato da un terrorista.
In Claire insomma, come abbiamo già appurato in passato, resiste un quantum di genuina umanità che Frank pare aver estirpato in maniera definitiva; e difatti è arduo soffocare un sentimento di repulsione nel momento in cui l'uomo ordina senza battere ciglio l'esecuzione di Joshua Masterson, l'assassino catturato e tenuto segretamente in custodia, deciso a sfruttarne quanto più possibile la morte a fini elettorali. Un opportunismo e una doppiezza che hanno sempre caratterizzato questo tenebroso antieroe del piccolo schermo, fin dalle sue 'origini', ma che in qualche modo non passano inosservati agli occhi della vedova e della figlia di Jim Miller, per le quali il dolore del lutto si tramuta nella lucidità dello sguardo e nell'impietoso giudizio della ragazza orfana ("Vorrei che fossi morto", sussurra all'orecchio del Presidente Underwood).
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Aspettando l'Election Day
Nel frattempo Frank, a un passo dalla rielezione, si prepara all'ultima fase della partita più importante della propria carriera, dovendo fronteggiare però un avversario formidabile: Will Conway, il giovane e carismatico candidato repubblicano interpretato da Joel Kinnaman. Quasi un alter ego di Underwood: l'ambizioso allievo divorato dal desiderio di superare e battere il maestro. Il testa a testa fra Underwood e Conway aveva già animato tutta la seconda metà della scorsa stagione, e a giudicare dalla première la sensazione è che il loro duello si farà via via più intenso e serrato a ogni nuovo episodio. Fra riflessioni sulla politica e il mondo contemporaneo, suggestioni da dramma faustiano sul potere e svolte non così lontane dal guilty pleasure, per ora House of Cards si attiene a una formula consolidata e mantiene le promesse della vigilia, stuzzicando l'attesa per l'ultimo atto della campagna elettorale Underwood/Conway. Augurandoci che, nel corso del binge-watching, la finzione televisiva non venga surclassata ancora una volta dalla realtà...
Movieplayer.it
4.0/5