Il Gladius e il Kosynierzy sono due team rivali della stessa città e le rispettive tifoserie si odiano profondamente tra di loro, scatenando spesso risse e tafferugli non soltanto allo stadio ma anche dandosi appuntamento per delle violente scazzottate. Se la passione calcistica divide, i soldi uniscono ed ecco così che i leader delle due divisioni ultras fanno affari tra loro relativi al narcotraffico locale.
In Hooligan, il giovane Kuba è un adolescente che è cresciuto negli ultimi anni senza il padre, condannato a sei anni di galera e ora finalmente uscito di prigione. Proprio per questo è stato preso sotto l'ala protettiva da Zyga, il capo ultras del Gladius nonché amico di famiglia. Proprio questi lo introduce al mondo criminale e dopo aver conosciuto la bella Blanka, che diventa la sua fidanzata, quel miraggio di un facile guadagno lo porta a cacciarsi in situazioni via via sempre più pericolose. E in un mondo come quello, il minimo errore può costare molto caro...
Hooligan: partite insanguinate
Operazione tanto accattivante quanto controversa questa miniserie di produzione polacca, nuova esclusiva del catalogo Netflix, che in cinque episodi di circa 40 minuti l'uno ci accompagna nel sottobosco del tifo violento, dove lo sport è soltanto una scusa per sfogare i propri istinti più brutali e nascondere paralleli loschi traffici criminali.
Accattivante perché ci accompagna di peso in un'ambientazione sporca e cattiva, che non fa sconti, mettendo a nudo i controsensi e i cortocircuiti di una realtà che - con le dovute proporzioni a seconde dei casi - riguarda anche molte città nostrane ed europee, con i telegiornali spesso invasi dalle notizie relativi a scontri tra ultras/hooligan o a relative attività illecite. Controversa perché non offre un effettivo percorso di redenzione nell'ascesa e caduta del principale protagonista, la cui maturazione sempre procedere al contrario in un percorso innescato dalla violenza più cruda e crudele.
Ultras, la recensione: Il tifo e la passione, oltre il campo di calcio
Un racconto ambivalente
Una figura che viene consumata progressivamente dai suoi stessi desideri, specchio di un male che non guarda in faccia niente e nessuno. Ecco allora che a risultare maggiormente equilibrato è il relativo contorno, in particolare per ciò che concerne le dinamiche familiari e il legame con quella fidanzata che diventa croce e delizia; lei, a differenza sua, troverà però una graduale e credibile evoluzione.
La narrazione va detto segue un filo logico amaramente coerente, riuscendo a dosare con una certa efficacia i ridotti colpi di scena e ad evitare tempi morti di sorta, con situazioni che bene o male sono tutte necessarie al percorso drammatico affrontato dai personaggi. Allo stesso tempo però lo schema si sarebbe tranquillamente potuto esaurire nell'arco di un lungometraggio.
Diventa predominante così quest'abisso morale che rischia di attirare tutti verso il fondo, ben tratteggiato da una regia solida che si incolla a quest'umanità sopraffatta, tra chi ancora cerca di conservare un barlume di umanità e chi cede inesorabilmente al lato oscuro, senza apparente via d'uscita.
Le vie della violenza
L'intento vorrebbe farsi quasi pedagogico, con uno sguardo di denuncia a certi ambienti che rischiano di cambiare profondamente anche chi non avvezzo di natura alla violenza. Ma quando l'ossessione per il proprio club diventa un semplice escamotage per (s)fuggire da situazioni difficili, la situazione può prendere derive insostenibili. Hooligan imbastisce uno spaccato nudo e duro, affrontato con un approccio cinico e disilluso.
Parzialmente realistico va detto, ma di contraltare incapace di creare una profonda connessione con la figura chiave, quel Kuba che diventa sempre più alpha e omega totalizzante del racconto, specialmente dopo quell'evento clou alla fine della seconda puntata che rivoluzione ulteriormente le dinamiche tra i contendenti. Evento che darà il via a quel tutti contro tutti che caratterizza un dittico conclusivo selvaggio e feroce, dove i nodi vengono al pettine ma non in maniera indolore, lasciando sanguinanti ferite su quei denti ruvidi.
Conclusioni
La trama principale, incentrata sul legame tra il mondo calcistico e lo spaccio di droga, è senza dubbio carica di spunti, non tutti sfruttati pienamente da una sceneggiatura che vuole mostrare, con potenziali intenti di denuncia, una realtà criminale che spesso contamina e sporca il mondo del tifo organizzato. Ma questo tardivo coming-of-age del protagonista, un diciassettenne in cerca del proprio posto nel mondo, non può contare su un'effettiva evoluzione del personaggio, favorendone invece quella rivoluzione totale che trascina storia e personaggi su esacerbate atmosfere nichiliste. Il buon cast e una regia che sa gestire tempi e modi tengono alta la tensione, ma le emozioni si forzano per sopperire a quell'estremizzata cupezza di fondo.
Perché ci piace
- Uno sguardo senza filtri al mondo del tifo violento.
- Buone interpretazioni del cast.
- Regia sempre sul pezzo.
Cosa non va
- Emozioni che latitano per via di personaggi volutamente respingenti.
- Colpi di scena ridotti.
- Durata complessiva (200 minuti circa) eccessiva per quanto vi fosse effettivamente da raccontare.