Poco più di un mese fa è stato ospite della Mostra di Venezia, dove la sua ultima fatica, Le verità, ha avuto l'onore di essere scelto come film d'apertura; sabato, invece, abbiamo ritrovato Hirokazu Koreeda alla Festa del Cinema di Roma 2019, che gli ha dedicato un'intera retrospettiva. Considerato uno dei maestri del cinema giapponese contemporaneo, negli ultimi anni Koreeda ha riscosso grandi consensi grazie a pellicole come Father and Son, Little Sister e Un affare di famiglia, che nel 2018 gli ha fatto guadagnare la Palma d'Oro al Festival di Cannes e la nomination all'Oscar come miglior film straniero.
Nell'incontro con la stampa romana Hirokazu Koreeda ha parlato soprattutto de Le verità, il suo primo lavoro realizzato al di fuori del Giappone: il ritratto, toccante ed ironico, di una grande attrice francese in procinto di tornare sulla scena, a cui presta il volto - con un'inevitabile compenetrazione fra realtà e finzione - una maestosa Catherine Deneuve (vi rimandiamo in proposito alla nostra recensione de Le verità, appena uscito nelle sale italiane). Ecco il resoconto della conversazione con Koreeda, che si è soffermato su alcuni fra i temi caratterizzanti della sua produzione...
Un giapponese in Francia: Le verità
Qual è il suo bilancio dell'ultimo film che ha diretto, Le verità?
Ho imparato molte cose, e non solo per le differenze nel lavoro fra una troupe giapponese e una troupe europea; inoltre ho avuto l'opportunità di lavorare con un'attrice come Catherine Deneuve. Realizzo film da venticinque anni e ormai non sono particolarmente teso quando arrivo su un nuovo set, ma per Le verità ero molto emozionato: potrei dire che è stata una nuova emozione. Siamo riusciti ad andare oltre le barriere linguistiche e culturali. Tutto è iniziato con Juliette Binoche, che mi ha invitato a realizzare una pellicola insieme, ma da lì in poi abbiamo sempre avuto bisogno di interpreti; non è stato semplicissimo, ma ce l'abbiamo fatta.
Le barriere linguistiche sono state un grosso problema?
Con Ethan Hawke abbiamo parlato del fatto che per creare un film insieme non è importante condividere una lingua, ma condividere una visione. Lui mi ha detto di aver percepito una visione comune per Le verità, e proprio in occasione di questo film ho imparato l'importanza di tale aspetto.
Cosa la colpisce maggiormente quando deve scegliere un soggetto su cui lavorare?
La scintilla iniziale può essere qualunque cosa, come il titolo di un articolo di giornale o una chiacchierata con l'avvocato di un mio amico: elementi della mia vita quotidiana che entrano nella mia visuale e da cui traggo informazioni che poi si sviluppano in un film. Per Le verità è cominciato tutto verso il 2003; prima di allora avevo già diretto diversi film, fra cui vari documentari, e avevo lavorato spesso con attori emergenti, giovanissimi o non professionisti. Ma avendo a che fare con gli attori avevo iniziato a pensare al mestiere stesso dell'attore: è stato questo lo spunto che mi ha portato a concepire Le verità, ovvero la storia di un'attrice.
Le capita di farsi ispirare dai romanzi?
Non sono un regista in cerca di romanzi da trasporre, piuttosto tendo sempre a trovare un elemento visivo per i miei film. Ma potrei essere interessato ad adattare un romanzo sui rapporti fra marito e moglie.
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Hirokazu Koreeda e i bambini
Lei dirige spesso dei bambini: come lavora con loro e quali sono le differenze rispetto alla direzione di attori adulti?
Anche per Le verità i bambini li ho scelti con delle audizioni; alla piccola Clémentine Grenier non ho dato il copione intero, ma le ho fornito spiegazioni giorno per giorno. È un metodo sperimentale, e fin dalle audizioni avevo cercato una bambina attenta e ricettiva. Con gli attori adulti non mi comporto in maniera particolare; a volte però recitare con un bambino crea interazioni ancora migliori fra loro e gli attori adulti.
Nello sguardo dei bambini trova che ci sia una particolare forma di saggezza?
Sì, forse perché io ero un bambino simile a quelli dei miei film. Da piccolo mi dicevano che ero un bambino già adulto, più maturo rispetto alla mia età; magari invece alla fine non sono diventato completamente adulto proprio perché nella mia infanzia ero già un po' adulto, e quindi ora sono rimasto un po' bambino. Nelle mie storie ci sono spesso dei bambini, ma anche persone che non ci sono più e sono venute a mancare: l'elemento della morte è necessario per far riflettere i vivi.
Da bambino qual era il suo sogno?
In un tema delle elementari scrissi che volevo diventare un giocatore di baseball, ma forse lo avevo scritto soltanto perché si aspettavano che scrivessi proprio questo. Però i miei compagni d'infanzia, quando li ho rincontrati qualche tempo fa, mi hanno detto che fin da piccolo già pensavo alla regia: non me lo ricordavo, ma si vede che è vero.
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Ritratti di famiglia e punti di vista
Da cosa nasce invece l'interesse per i rapporti familiari presente in tutti i suoi film?
In realtà non riesco a spiegarmelo chiaramente, ma mi rendo conto di essere interessato a storie di questo tipo. Ne Le verità la vicenda riguarda un personaggio, interpretato da Juliette Binoche, che è al tempo stesso moglie, figlia e madre, quindi ci sono varie sfaccettature; e questo vale per tutti i personaggi, cambiano prospettiva a seconda delle persone con cui interagiscono di volta in volta. All'interno di una famiglia quindi si riesce a trattare tantissime storie adottando punti di vista diversi, e in maniera molto 'economica'. Io prima avevo il punto di vista del figlio; poi ho perso i miei genitori e sono diventato padre, quindi la mia prospettiva ha subito una metamorfosi che ho applicato anche ai miei film. È interessante come i cambiamenti della mia vita si riflettano in qualche modo nel mio cinema.
Trova che ci sia una maggiore libertà nel cinema rispetto alla TV?
Non mi sono cimentato con il cinema solo per questioni di libertà. In Giappone, fra l'altro, oggi molti programmi TV godono di una grande libertà creativa, e mi piacerebbe tornare a lavorare per la televisione. E viceversa, pure al cinema ci si può scontrare con dei vincoli: l'industria cinematografica può essere a volte molto conservatrice e ci sono ancora alcuni muri da abbattere.
Quali sono le sue influenze? È vero che ammira molto Ken Loach e Nanni Moretti?
Ho ricevuto varie influenze da altri cineasti, e spesso mi viene detto di essere simile a Yasujiro Ozu; ma a volte mi sono sentito influenzato e ho preso spunti da autori di altre parti dell'Asia. Ho avuto modo di parlare con Ken Loach a Londra qualche giorno fa: lui non utilizza il termine "deboli", ma mostra uno sguardo amorevole verso le persone meno fortunate a livello sociale, qualcosa che condivido. E mi piacciono vari film di Nanni Moretti, come La stanza del figlio. Con registi come loro percepisco quanto il mondo sia piccolo e come, nonostante le distanze geografiche, si possano avere tanti aspetti in comune.
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