Il cinema di genere italiano sforna spesso prodotti interessanti, e a dispetto di ogni possibile perplessità sul panorama cinematografico indipendente nostrano, a volte il risultato contraddice i più marcati pregiudizi e bias culturali più ingiusti. È ad esempio il caso di Headshot - al cinema il 20, 21 e 22 marzo -, sviluppato da Cine 1 Italia e diretto dall'esordiente Niko Maggi, figlio del più noto produttore e distributore Pete Maggi (anche tra i soci fondatori della mitica Eagle Pictures). Un film piccolo che ibrida insieme slasher e reference culturali eterogenee per raccontare il mondo degli e-sports e parlare agli attuali teenager della generazione Z, ma anche a tutti coloro cresciuti negli anni '90, subissati di commenti negativi tra famiglia e scuole sulle "passioni che non avrebbero mai portato a niente di buono".
Oggi invece il mondo degli e-sports conta un fatturato globale di più di 215 miliardi di dollari, con gli streamer via Twitch che generano incassi complessivi superiori al miliardo di dollari. Giocare bene è a tutti gli effetti un lavoro ben retribuito e tassato, ma ciò che interessa a Niko Maggi e allo sceneggiatore Gabriele Braschi è una sorta di Black Mirror di questo universo digitale tra videogame e social netowrk, di come il costante impulso alla ricerca di viralità, follower e successo possa tramutarsi velocemente in qualcosa di negativo e terrificante. In contesto, in un vero death match in un'arena boschiva tra i migliori giocatori professionisti e organizzato da una misteriosa associazione segreta nota come Deep Oblivion. D'ispirazioni, gestazione, lavorazione e messaggi di Headshot ne abbiamo parlato proprio con il suo regista, classe '91 e con un bagaglio stilistico e intellettuale davvero intrigante.
Al debutto
Ciò che salta immediatamente agli occhi entrando in Headshot è la cura dell'aspetto visivo e la varietà del modello di riprese. "In effetti la parte estetica è la più curata del film", esordisce Maggi: "L'abbiamo sviluppata quasi a livelli maniacali sia in termini di concettualità che di fruibilità. E sì, ne siamo davvero soddisfatti". Conoscenza del settore e tecniche le ha imparate direttamente sul campo: "È da quando ho 15 anni che sto sul set e ho fatto davvero di tutto, dal runner all'assistente di produzione. A 20 anni mi sono poi buttato sulla distribuzione e ho girato un po' il mondo dall'America all'Australia, tornando in Italia per lavorare alla Adler Entertainment già dai tempi in cui era appena una start-up e poi in un percorso con Imago Distribution. Alla fine sono tornato in famiglia con Cine 1".
Come è arrivata però la regia di Headshot, che come definisce lui stesso è "un po' un'antitesi dei suoi ultimi anni"? In una parola, pandemia. "Durante la crisi sanitaria, quando tante produzioni erano ferme, ci siamo guardati negli occhi domandandoci 'e mo' che famo?'", rivela Maggi: "Dopo tante chiamate via Zoom abbiamo iniziato a sviluppare questo progetto partendo da idee e concept che ci piacevano. Un giorno Gabriele Braschi se ne esce con questo mega soggetto per un trattamento filmico e in due settimane tira fuori la prima bozza di sceneggiatura per cui personalmente sono impazzito. Mi hanno allora proposto di girarlo e, anche se inizialmente ero incerto e titubante all'idea, alla fine ho deciso di accettare". Una lavorazione al debutto che non è stata per nulla fiacca, tra l'altro, considerando che uno dei ricordi di maggi è l'acido lattico alla gambe nei primi giorni di riprese: _"L'approccio alla lavorazione è stato forte e dinamico.
Cinema e videogiochi: l'attrazione (e imitazione) è reciproca
Io, l'assistente alla regia e il direttore della fotografia passavano giornate intere a capire come strutturare questa o quella sequenza. È stato un grande sforzo collettivo, e anche girarlo è apparso divertente ma in modo complesso_". Il motivo sono le location scelte dalla produzione, in punti che Maggi definisce ironicamente "paraculi" come la Faggeta del Monte Fogliano e l'Eremo di San Girolamo: "Arrivavamo a fine giornata distrutti ma è stata un'esperienza incredibile, come avventurarsi nei boschi in una gita tra amici. Ci siamo subito innamorati di quelle zone durante la scouting location. Avevamo altri 20 posti in lista ma non c'era proprio storia".
Onestà intellettuale
Una delle domande che si è posto Maggi a inizio sviluppo è stata "posso fare un film solo per adolescenti non essendo più io adolescente?". Questioni legate a una profonda onestà intellettuale che il regista non voleva tradire: "Pur sforzandomi di entrare nelle attuali dinamiche dei teenager mi veniva complicato immedesimarmici. Ho preferito cambiare approccio mentale e durante tante partite a Fortnite o Apex ho iniziato a parlare con loro, a entrare nel vivo delle chat di gioco per capire come ragionavano per arrivare poi a delle reali affinità tra il loro mondo e il nostro, quelle non legate all'elemento generazionale a stretto giro ma trasversali e più universali". Il dubbio che traspare dalla visione di Headshot è in effetti legato a questo discorso, e cioè se Maggi apprezzi o critichi il mondo degli e-sports per come è vissuto dalla generazione Z.
"In verità cerco di non prendere una posizione netta", dice lui, "anche se poi qualcosa di personale in anni di lavorazione traspare per forza di cose. Penso ad esempio alla concezione del Deep Oblivion così forte, che ricorda un po' Anonymus e la fSociety di Mr. Robot. In linea di massima devo però dire che riesco ad apprezzare l'universo e-sports, perché per la mia generazione era quasi un sogno riuscire a campare di questa roba. A mia madre continuo a dire 'mannaggia a te e a quando me dicevi 'ma do voi annà coi videogiochi'. Pensa se nascevo 5 o 10 anni più tardi. In realtà ci sono alcuni insegnanti del liceo che erano della stessa opinione su musica e cinema e oggi mi scrivono per complimentarsi. Lì pensi subito 'ah sì? mo si?!', anche se poi sei grato pur godendoti questa piccola rivincita".
Il cuore nero della viralità
Headshot mette al centro del discorso narrativo - anche esteticamente, sul piano visivo - l'impatto della viralità e delle piattaforme social sulla vita e il pensiero dei ragazzi, il che si traduce in una piccola riflessione sul modo di fruizione delle stesse e sulle conseguenze più o meno reali - sempre in sospensione dell'incredulità - sul loro modo di agire e relazionarsi. "Oggi forse c'è un'idea di social, video e metaverso un po' troppo vincolante", sostiene Maggi: "_Viralità e social sembrano rispecchiare in pieno la massima warholiana dei famosi 15 secondi di notorietà, anche se in favore di questi, adesso più di ieri, si sta perdendo il gusto della qualità in favore dell'instant content. Di fatto è la critica 'più alta' che muovo nel film, in un certo senso. Non credo che la viralità sia uno dei mali del secolo in senso tout court, ma che sia il nostro modo di concepirla e naturalizzarla almeno in questa fase storica a rendere tutto eccessivo e sopra le righe.
Il nostro Deep Oblivion cerca di innescare questo meccanismo e creare una sorta di grande fratello in live streaming brutale ed eccessivo dove però la brutalità viene spettacolarizzata e accettata. La soluzione sarebbe riuscire a dosare tutti questi strumenti_". Maggi vuole arrivare però anche alla sua generazione, quella degli anni '90: "Il core restano i teenager, ma doveva per forza di cose guardare in faccia anche i miei coetanei. Non puoi nasconderti da ciò che ti ha cresciuto e per questo mi sono circondato di reference personali e comode provando anche a interloquire cinematograficamente con noi ragazzi più adulti, magari cercando di dare una visione del mondo più matura che è una skill - per restare in tema - che non per forza arriva in età adolescenziale". Il regista crede anche che noi adulti non dovremmo metterci nella posizione di giudicare questa nuova generazione, perché ricadremmo negli errori che fecero con noi al tempo. Bisogna spezzare il cerchio: "Personalmente ho scoperto una generazione molto sottovalutata che anche io inizialmente percepivo piatta e che è invece capace di spiazzante profondità. Hanno idee, mentalità e visioni estremamente aperte e interessanti".
I videogiochi cinematografici del 2023
Per quanto riguarda le ispirazioni, infine, Maggi ne ha per tutti: Dragon Ball, Call of Duty, Ride di Jacopo Rondinelli, Fortnite, The Batman (per alcuni tratti fotografici che hanno provato a "imitare" orgogliosamente senza successo ma con tanta dedizione e buona fede), Metal Gear Solid e parte del cinema slasher anni '70, ovviamente revisionato in chiave moderna e ambito inedito: "Sempre per onestà intellettuale, ho scelto questo approccio per mantenere la bussola dritta in più di due anni di lavorazione. Viene tutto dal mio mondo ed è quello che conosco, anche in riferimento a un aiuto mentale o stilistico. Non riesco a precluderlo e anzi vedo tanti giovani che fanno cose davvero fighissime ma allo stesso tempo stranamente distanti da ciò con cui sono e siamo cresciuti". Mentre si gode il debutto di Headshot, Maggi pensa già al futuro, sonda il terreno per eventuali approdi in piattaforma streaming e a un'eventuale espansione del suo film d'esordio: "Da ragazzino ero abbastanza irrequieto e sempre attivo", conclude: "È un tratto della mia personalità che resta con me ancora adesso. Non riesco proprio a stare fermo".