Fin dal primo episodio, la nuova serie Paramount+ Happy Face ha provato ad affrancarsi dal genere di appartenenza, il true crime, partendo da un podcast e da una storia drammaticamente vera per provare a cambiarne il punto di vista solitamente utilizzato e il soggetto. Non il serial killer, ma la vittima.

Melissa Reed è la figlia di un assassino seriale, che scopre dopo anni di prigionia che forse c'era una vittima sconosciuta. Il padre pare disposto a rivederla per confessare - solo a lei - l'omicidio, mentre qualcuno sta pagando dietro le sbarre per un crimine che non ha commesso. Proprio ora che lavora ad un programma, il Dr. Greg Show, in cui da spazio ai familiari delle vittime di cronaca nera. Ad accompagnarla in questo viaggio assurdo dall'altra parte degli Stati Uniti la produttrice a caccia di storie, Ivy, mentre a casa rimangono il marito Ben e i due figli Hazel e Max. Ci siamo fatti raccontare dal cast in cosa si differenzia dagli altri questo show.
Happy Face, intervista ad Annaleigh Ashford, James Wolk e Tamera Tomakili
La serie Paramount+ utilizza il genere per parlare di rapporti tra genitori e figli, padri e figlie. Forse vuole che non siamo solamente il risultato del nostro sangue e che c'è la possibilità di affrancarsi da esso?
Dice Annaleigh Ashford che interpreta la protagonista: "Uno degli argomenti del nostro show è la natura contro il nutrimento. Sei nato così come sei o sei il risultato del contesto in cui sei cresciuto? Questa domanda tormenta Melissa: sono destinata a diventare come mio padre, è nel mio DNA, o il Male si è esaurito con lui? Penso che la questione sia irrisolta, ma credo anche che sia poco confortevole e affascinante vederla districarsi su quella domanda. Inoltre questo quesito si riversa anche sul pubblico, sul chiedersi se siamo il risultato della nostra famiglia oppure se siamo noi a scrivere il nostro destino?".
Il personaggio di Melissa è una truccatrice. Non è lei la star ma aiuta le stelle del programma tv a brillare: "Sono sempre molto vicina a chi lavora nell'ombra del set, specialmente con il reparto trucco e parrucco. Trascorro la maggior parte del tempo con loro, diventano veramente la mia seconda famiglia durante le riprese. Lo sono sempre stati da che ho memoria. Ho imparato a mettere le ciglia finte a otto anni (ride). Quindi interpretarne una mi è suonato molto familiare".
Eppure la protagonista, una volta deciso di imbarcarsi in questo viaggio, esce dalle tenebre per finire inevitabilmente sotto i riflettori. Diventa più sicura su se stessa. Il serial forse parla anche della sindrome dell'impostore che spesso colpisce molti di noi e per la quale troppe volte non diamo il giusto peso alle nostre capacità: "Il mio personaggio è una donna in un mondo di uomini, con un terribile segreto. Suo padre, inoltre, era un tipo molto corpulento e prepotente. Quindi tutto questo insieme è parte del perché si nasconda dietro il proprio ruolo di madre, moglie, truccatrice. Nel corso della serie, scopre di più su se stessa, sulla propria identità al di fuori da queste etichette. Diventa capace di far uscire fuori il trauma del suo passato e le dinamiche familiari da cui proviene".
Famiglia e lavoro nella serie Paramount+
Non c'è solo Melissa in Happy Face ma anche i suoi nuclei di affetti e colleghi, rappresentati rispettivamente da Ben e Ivy. Il suo villaggio, il suo gruppo di supporto, la sua rete di protezione. Ma allo stesso tempo sono coloro che la spingono ad uscire dall'ombra. Dice Tamera Tomakili: "Aiutiamo il suo recupero. Anzi il suo processo di guarigione. Questa è stato il tema ricorrente durante la produzione. Siamo lì per aiutarla ad uscire dalla sua comfort zone, almeno Ivy sul lavoro. Certo, è alla ricerca di una storia ma allo stesso tempo cerca di aiutarla in ogni modo, come avrebbe fatto con qualunque ospite del programma. Bisogna confrontarsi con ciò che è spiacevole". Le fa eco James Wolk: "Se lei è la spinta, il tiro invece arriva dal mio personaggio, che vorrebbe dimenticare tutto. Vorrebbe che tutta quella roba dentro la scatola finisse di nuovo sullo scaffale, dentro la cassaforte, per non pensarci mai più. Sono come due mondi che collidono".

Ivy è una produttrice agguerrita che vuole arrivare alla verità. Ben è un marito amorevole che vuole proteggere la propria famiglia. Entrambi sono disposti a tutto - e intendiamo a tutto - per raggiungere il proprio obiettivo. Dice Tamera Tomakili: "E Melissa è il nostro faro, il perno intorno a cui girano i nostri percorsi. Ivy sente la parola 'omicidio' e i suoi istinti professionali si risvegliano subito ed è pronta a corrervi incontro. Ma allo stesso tempo è consapevole della delicatezza delle situazioni e quindi è pronta ad affrontarle con tatto e cautela, ma in modo deciso. Forse è astuta e manipolatrice, ma senza quella spinta forse la protagonista non riuscirebbe a fare pace col proprio passato e andare avanti". Un effetto a catena, conferma afferma Wolk, quello di più di vent'anni prima sulle esistenze di adesso dei Reed, sulle conseguenze di quegli atti.
Ossessione per il true crime
Il Dr. Greg Show rappresenta la dipendenza del pubblico per il genere in auge, specialmente ai giorni nostri? Secondo James le persone vi sono attratte perché da esseri umani, sono portati a chiedersi come può un altro essere umano compiere un tale atto. Secondo Tamera, invece, si tratta di terrore.
"Io penso ci sia la paura dell'ignoto e di provare a comprendere il Male. In un certo senso c'è una parte di quell'istinto in ognuno di noi ma l'intento del true crime (e delle persone che ne sono affascinate) è capire qual è l'estensione di esso, l'estremo a cui può arrivare. Quali sono i segni, i sintomi per capire che quell'istinto si sta manifestando o sta andando oltre? In modo da provare un senso di sicurezza. La serie segue più il viaggio emozionale della vittima, come hanno affrontato e stanno ancora affrontando quel trauma e come affrancarsi da esso". Chiosa Wolk: "Se quello è mio padre, questo cosa dice di me?".
Un'idea che ha colpito il cast fin dalla prima lettura della sceneggiatura come chiude Ashford: "La prospettiva unica all'interno del crime. Di solito seguiamo il punto di vista del killer e forse gli diamo troppa attenzione e glorificazione. In Happy Face invece non si vedono mai scene cruente, sono state volutamente omesse. Non vediamo mai una donna brutalmente aggredita. L'altro elemento che colpisce è che Melissa nella realtà ha usato il proprio trauma e le azioni orribili del padre per qualcosa di buono. Li ha fatti diventare un monito per gli altri".