Guida per riconoscere i tuoi pugni
Con un termine di paragone impegnativo come Guida per riconoscere i tuoi santi, esordio che gli valse anche il premio come miglior regista al Sundance Film Festival 2006, ci sembra tutto sommato normale e comprensibile che intorno al successivo lungometraggio di Dito Montiel potesse crearsi un clima di attesa. Soprattutto in considerazione del fatto che dopo un'opera autobiografica così dirompente, personale, avvincente sul piano narrativo e puntellata da annotazioni socio-antropologiche per niente banali, non sarebbe stato affatto facile ripetersi agli stessi livelli. Ed infatti Fighting non riuscirà forse a stupire quel pubblico e quella critica che avevano osannato Guida per riconoscere i tuoi santi, eppure vi si può percepire un appeal particolare, cui non è certo estranea la bravura del regista nel focalizzare l'attenzione sui più disparati ambienti newyorkesi.
Gli attici super-accessoriati. Il mito di Broadway. I luoghi d'incontro di Brighton Beach dove si sente parlare russo (come ben sanno coloro che si sono appassionati al cinema di James Gray, da Little Odessa a I padroni della notte). Le vie di Manhattan in cui qualche sbandato tenta di vendere merce contraffatta. Le più squallide e polverose aree periferiche. Le sfarzose dimore degli affaristi di China Town.Ebbene, se a prima vista Fighting è solo l'ennesimo film costruito sull'archetipo delle lotte clandestine e del farsi largo nella vita combattendo a mani nude, sotto questo strato epidermico, godibile ma non originalissimo, c'è decisamente di più. C'è innanzitutto il fascino di una New York la cui impronta multietnica, enfatizzata attraverso una rappresentazione che assume a tratti toni tribali, si riflette poi nell'estro di riprese che alternano l'incontrarsi dei personaggi a inquadrature aree dello skyline o a lunghe carrellate in strade popolate di varia umanità, con la macchina da presa votata a inseguire qualche soggetto particolarmente genuino, curioso, eccentrico. Al centro di questo universo dai ritmi frenetici si muove Shawn MacArthur (Channing Tatum), un giovane piovuto a New York con tante belle speranze ma col problema, nell'immediato, di sbarcare il lunario. Non si può dire che il passo dal vendere abusivamente in strada libri e dvd all'affermarsi come lottatore in qualche giro di combattimenti clandestini sia roba di tutti giorni; ma il talento del ragazzo per le risse viene notato, al pari del suo approccio impavido e fondamentalmente ingenuo a tali situazioni, da un traffichino della zona, quell'Harvey Boarden (Terrence Howard) che farà presto a introdurlo in ambienti dove gente ricca scommette pesantemente su incontri senza (o con pochissime) regole. La scalata di Shawn a questo mondo lo porrà di fronte a nuovi problemi, con implicazioni non facili da gestire a livello psicologico, sia per quanto riguarda la turbolenta storia sentimentale appena intrapresa con la bella Zulay (Zulay Henao) che per il peso di alcune vicende famigliari rimaste da troppo tempo in sospeso. Ci sono alcuni elementi, a margine del racconto, che vogliamo subito precisare. Nonostante la grezza spettacolarità delle scene di combattimento coreografate dallo specialista Mic Rodgers e interpretate con la giusta fisicità da Channing Tatum, già al fianco di Dito Montiel in Guida per riconoscere i tuoi santi, l'occhio dello spettatore sembra cadere più volentieri sulla cornice dell'azione, che sull'azione stessa; una cornice caratterizzata peraltro da dialoghi secchi, slang differenti che s'intrecciano tra loro, particolari invenzioni scenografiche, nonché dal carattere sinuoso di riprese che si appoggiano spudoratamente ai brani più cool della colonna sonora, modaiola ma con stile. Allo stesso modo si può osservare come la filosofia dei combattimenti non assuma mai il taglio eversivo, destabilizzante, di un film come Fight Club, limitandosi a esaltare lo scontro con avversari di volta in volta assai diversi (il campioncino russo del quartiere, l'orientale dalle movenze agili, il colosso nero) quale occasione di confronto con una realtà sociale estremamente competitiva, ed in fondo anche caotica, dispersiva; la maturazione del protagonista avviene così, a ridosso di un atipico racconto di formazione che deve molto alla riuscita del casting, col già citato Terrence Howard e l'onnipresente Luis Guzman ad incidere positivamente sulle scene più intense e vibranti del film.