C'è un che di nostalgico nell'affrontare la recensione di Gretel e Hansel, e non solo perché si tratta dell'ennesima rilettura - piuttosto interessante - della celeberrima fiaba: da un lato, si tratta di un film che negli Stati Uniti è uscito a gennaio, quando andare al cinema era ancora qualcosa che davamo abbastanza per scontato, prima che sviluppi recenti trasformassero quell'attività, e molte altre, in un concentrato di incertezza; dall'altro, è una produzione della Orion Pictures, il cui logo vintage, che ricorda gli esordi di figure iconiche come Terminator e RoboCop, apre un progetto che si segnala sin dall'inizio come qualcosa di molto classico ma anche alquanto moderno allo stesso tempo. Un film che, pur non andando fino in fondo con l'aspetto autoriflessivo, si interroga in parte sul concetto stesso della fiaba, proponendo in chiave leggermente postmodernista la nozione della trasmissione orale del folclore e della mitologia, con tutte le modifiche del caso, fino ai giorni nostri. La componente autoriflessiva è presente anche a livello di marketing, per lo meno nei trailer americani che descrivevano il lungometraggio in questi termini: "A Grim Fairy Tale", duplice allusione ai fratelli Grimm e alla natura piuttosto cupa e brutale (grim in inglese) delle loro storie.
Tanto tempo fa, in un bosco lontano lontano...
Cosa cambia, dunque, in Gretel e Hansel? Non moltissimo, difatti il canovaccio di base rimane più o meno invariato. C'è però una storia più ampia, con un prologo che introduce l'atmosfera del film e la questione della mitopoietica: siamo in un non identificato villaggio tedesco durante il Medioevo, e per curare una bambina gravemente malata il padre si rivolge a un'incantatrice. Lei salva la piccola, dandole però poteri che si fanno progressivamente più letali per la comunità. Abbandonata nei boschi per morire, colei che ora è nota come la Bella Bambina con il cappello rosa, attira i propri coetanei e li uccide. Scopriamo che questa è la fiaba preferita di Gretel (Sophia Lillis), costretta a occuparsi da sola del fratellino Hansel dopo la morte del padre. Cacciata di casa dalla madre poiché non riesce a trovare un lavoro, la fanciulla si rifugia nel bosco, dove i due fanno la conoscenza di una donna anziana (Alice Krige), la quale offre un posto dove stare in cambio di aiuto con le faccende domestiche. Hansel, felice di avere modo di mangiare e dormire come si deve, non si fa troppe domande, mentre Gretel, tormentata da voci misteriose nell'aria, si interroga sulle vere intenzioni della padrona di casa...
Non la solita fiaba?
Il film è il terzo lungometraggio di Oz Perkins, un cineasta che ha l'horror nel sangue: come regista ha firmato February - L'innocenza del male (presentato al Torino Film Festival nel 2015) e I Am the Pretty Thing That Lives in the House (disponibile su Netflix dal 2016), mentre come attore ha esordito in Psycho II interpretando la versione giovane di Norman Bates, personaggio portato sullo schermo dal di lui padre Anthony Perkins. La questione della famiglia e del lascito è sempre stata centrale nei film del regista, e lo vediamo anche qui tramite una duplice riflessione sul rapporto tra genitori e figli, veicolata attraverso i meccanismi della fiaba (c'è anche un terzo aspetto della questione, ma più sottile, tramite un breve omaggio a Il ginepro, generalmente considerata una delle storie più cruente dei Grimm). Perkins si diverte a giocare con i meccanismi narrativi, pur non discostandosi troppo da ciò che uno si potrebbe aspettare da un progetto di questo tipo (siamo molto lontani dai toni scanzonati di un Hansel & Gretel - Cacciatori di streghe, per dire). Questo vale anche per il titolo del film, che inverte i nomi dei due protagonisti non per trasmettere un qualche tipo di messaggio, ma per riallacciarsi più fedelmente all'originale dove è appunto Gretel a porre fine ai tormenti causati dalla strega.
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Il gioco è per lo più simpatico, costruito con una grande precisione formale che trova il suo perfetto rappresentate iconografico nella casa dell'antagonista, una struttura triangolare che anche da lontano incute timore (e rinuncia, con fare intelligente, all'aspetto classico dell'abitazione commestibile). E se a tratti questa precisione nuoce lievemente al film, complice un PG-13 per il mercato americano che annacqua alcuni dei momenti più forti (soprattutto nel prologo, dove una scena viene appena suggerita), non riduce però l'impatto di un'atmosfera piacevolmente lugubre, condita dal duello recitativo di due icone di genere: la giovane Lillis, che qualche anno fa è stata Beverly Marsh in It, e la veterana Krige, nota soprattutto per essere stata la regina dei Borg in Star Trek: Primo Contatto ma anche memorabile presenza horror in progetti come I sonnambuli e Silent Hill. E anche se lei, per esigenze di copione, è destinata a rimanere a bocca asciutta, il film in sé è piuttosto appetitoso per chi cerca qualche brivido efficace sul grande schermo. Forse però, in questo caso, è meglio vederlo senza nutrirsi in sala.
Conclusioni
Chiudendo questa nostra recensione di Gretel e Hansel inauguriamo in un certo senso la vera riapertura delle sale italiane, con il debutto sul nostro territorio di alcuni titoli americani usciti in patria a inizio anno tra cui questa rilettura interessante della fiaba dei Grimm. Non aggiunge nulla di epocale, ma il lavoro sulla mitopoietica è piuttosto intelligente, e la tensione è costante.
Perché ci piace
- L'atmosfera è piacevolmente lugubre.
- Sophia Lillis dimostra una grande maturità recitativa.
- Alice Krige è inquietante come sempre.
Cosa non va
- Chi si aspettava una rilettura più radicale potrebbe rimanere deluso.
- Alcune sequenze sono un po' edulcorate a causa della censura americana.