Il nuovo Adolescence? Certo che no, ma Good Boy il film presentato in concorso alla Festa del Cinema di Roma e in sala nel 2026 con Minerva Pictures e Filmclub Distribuzione, ci va molto vicino. La serie Netflix è stata certo il più grande pugno nello stomaco di quest'anno, rimarcando una generazione che sembra aver perso gli strumenti per distinguere il giusto dallo sbagliato.

Costantemente bombardate da stimoli e informazioni senza riuscire a processarli correttamente, in un'età delicata e formativa come quella dello sviluppo, in cui siamo tutti più facilmente influenzabili e malleabili. Qualcosa di simile avviene nella pellicola del candidato all'Oscar Jan Komasa, in cui ritroviamo come attore protagonista Stephen Graham.
Good Boy: come si forma un "bravo ragazzo"?
"Sesso, droga e rock'n'roll". Potremmo riassumere così la giornata tipo di Tommy (Anson Boon), un diciannovenne chiaramente arrabbiato col mondo, che pensa che trattare male tutti, mettergli letteralmente i piedi in testa e considerarli una sua proprietà sia la normalità. Dopo l'ennesima serata di baldoria, si risveglia a casa di una famiglia all'apparenza gentile, ma in realtà chiaramente disfunzionale. Viene tenuto incatenato al collo, come una bestia.

A quel punto parte una riabilitazione forzata a suon di video educativi, riprese fai-da-te e condivisioni fatte sui social dallo stesso ragazzo sulle sue bravate, per vantarsene. Forse l'unico modo per fargli comprendere appieno l'orrore delle sue azioni? Ma che dire del capofamigilia Chris (Graham), della moglie Kathryn (Andrea Riseborough) e del loro figlioletto Jonathan (Kit Rakusen)? Il film enfatizza anche l'orrore perpetrato dalla famiglia, anche se nato "da buoni intenti e per una giusta causa". Tutti sono vittime e anche carnefici, e questo può destabilizzare lo spettatore.
Un film inquietante, duro, magnetico, contraddittorio
Si muove su più toni e generi Good Boy: dal thriller all'horror quasi grottesco, passiamo al dramma familiare e alla commedia intrisa di black humour. Si prova sempre un fastidio e un dolore di fondo nell'assistere tanto alle azioni di Tommy quanto a quelle della famiglia che lo imprigiona. Una situazione talmente paradossale da risultare drammaticamente vera: a cosa siamo disposti ad arrivare per difendere la libertà nostra e altrui?

Dalla scrittura asciutta alla regia chirurgica, che fa emergere tutte le sfaccettature dei personaggi, Jan Komasa riesce a costruire un racconto che tiene col fiato sospeso. È davvero difficile prevedere dove andrà a parare e quale sarà il suo epilogo. Jamasa, per sua ammissione, cita Kubrick, Hitchcock, Seurat, sfruttando riprese claustrofobiche realizzate negli interni.
Un cast fenomenale

Anson Boon è uno degli attori più promettenti della sua generazione, lo pensiamo da Pistol. Lo stesso vale per Stephen Graham, dai tempi in cui era Al Capone in Boardwalk Empire. Il loro incontro-scontro in scena, insieme a quello della candidata all'Oscar Andrea Riseborough, è un assoluto miracolo di casting in cui ognuno dà il meglio di sé, regalando una stratificazione complessa dell'animo umano, soprattutto in una situazione di crisi. La paura è il sentimento che guida la narrazione di Good Boy, con delle idee tra il geniale e l'inquietante che mettono a dura prova il nostro concetto di rieducazione giovanile.
Un messaggio forte

Il film vuole portare a chiederci cosa avremmo fatto noi al posto dei protagonisti; e soprattutto cosa saremmo disposti a fare per provare a sensibilizzare le nuove generazioni sulle basi del comportamento umano, quando tutto il resto sembra non funzionare. Domande scomode a cui Jamasa sceglie di non dare risposte ma invitare la società a guardarsi allo specchio e riflettere su cosa è diventata, cosa potrebbe essere e cosa auspica a divenire. Prima che sia davvero troppo tardi.
Conclusioni
Good Boy è uno spaccato decisamente drammatico e parecchio inquietante sulla gioventù odierna. Un film pieno di invettive che si muovono tra il thriller e il family drama, in cui la scrittura e la regia di Jan Komasa viaggiano sempre sul filo del rasoio. Proprio come questa storia di denuncia sociale che sembra continuare idealmente il discorso iniziato da Adolescence. Stephen Graham, Anson Boon e Andrea Riseborough sono un tris perfetto di casting per mettere in scena questo orrore umano in cui tutti interpretano un doppio ruolo: vittima e carnefice, ed è difficile dire dove inizia l’uno e finisce l’altro. Questi elementi possono destabilizzare lo spettatore e lasciarlo con più domande che risposte, ma forse l'intento iniziale era proprio questo.
Perché ci piace
- La scrittura asciutta e la regia chirurgica di Jan Komasa.
- Stephen Graham, Anson Boon e Andrea Riseborough: che trio!
- Il tema della riabilitazione giovanile in cui tutti sono sia vittime che carnefici...
Cosa non va
- ...una scelta che può destabilizzare il pubblico.
- Avere più domande che risposte potrebbe lasciare infastidito qualcuno.