Tutto cominciò con un orologio. O meglio due. A cavallo tra satira, fiaba neorealista e commedia degli equivoci, Glory - Non c'è tempo per gli onesti, opera seconda dei registi Kristina Grozeva e Petar Valchanov, si barcamena tra opera politica e racconto morale. Un Frank Capra bulgaro, ma con un sottofondo amaro assai spiccato. Il protagonista di questa incredibile (dis)avventura è Tzanko Petrov (Stefan Denolyubov), solitario operaio delle ferrovie che un giorno rinviene sui binari un'ingente somma di denaro. L'onesto Tzanko decide di consegnare la somma alle autorità, ma la sua buona azione si trasforma in un incubo quando l'uomo finisce nel mirino di Julia (Margita Gosheva), rampante addetta alla comunicazione che si occupa di ripure l'immagine del corrotto Ministero dei Trasporti bulgaro.
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Per Julia, ossessionata dal lavoro ben più che dai tentativi di concepire un figlio operati insieme al paziente marito, l'umile Tzanko è proprio la persona adatta per dare il via a una "operazione simpatia". L'uomo viene così trasformato in eroe dai media e viene organizzata una cerimonia per ringraziarlo pubblicamente attraverso la consegna di un nuovo e moderno orologio. Tzanko, però, è tutt'altro che un sempliciotto e dietro l'aspetto dimesso e il fare taciturno nasconde un animo appassionato e polemico. Così quando durante la cerimonia di consegna del nuovo orologio, Julia perde inavvertitamente il vecchio orologio da polso appartenuto al padre di Tzanko (Slava, titolo originale del film, è la marca russa dell'orologio), quest'ultimo intraprenderà una vera e propria odissea per riavere il ricordo di famiglia.
La vecchia Bulgaria si protegge dal nuovo che avanza
Dietro la patina comica, Glory si configura come un'aspra critica al sistema sociale bulgaro. Nessuno viene risparmiato dagli strali di Kristina Grozeva e Petar Valchanov. Julia, simbolo della carrierista in piena ascesa, è talmente presa dal proprio lavoro da trascurare completamente il proprio privato e gli affetti. La donna rifiuta di porsi domande sulla corruzione che alberga nel sistema in cui è pienamente integrata e ne accetta i mali, gettando fumo negli occhi dell'opinione pubblica per abbellire la facciata. Se i colleghi della donna deridono Tzanko per gli abiti e l'aspetto dimesso, non si salvano neppure i ceti bassi, visto gli altri operai delle ferrovie non trovano di meglio che dileggiarlo per aver deciso di restituire i soldi e arriveranno anche ad aggredirlo nel momento in cui il suo comportamento ribelle si ripercuoterà sulla loro posizione.
Se Julia abbraccia il sistema ignorandone le magagne o cercando di schivarle, Tzanko è un outsider. Lo strenuo attaccamento al suo orologio demodé è il simbolo della resilienza di un uomo onesto, coraggioso, legato al vecchio mondo e al suo sistema di valori. A Tzanko interessano solo il lavoro e gli adorati conigli che cura con amore. Il suo ostinato mutismo è un modo per proteggersi da quel mondo moderno che irrompe come un ciclone nella sua esistenza per via dell'incontro con Julia. Nel ruolo del tenace operaio, Stefan Denolyubov è perfetto, ma è soprattutto la Julia di Margita Gosheva a rubare la scena con un personaggio granitico, estremo, ossessivo, privo di quei cedimenti che lo farebbero sentire più umano e dunque più vicino a noi.
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Uno sguardo ironico sulle miserie dell'umanità
In molti hanno paragonato lo stile di Kristina Grozeva e Petar Valchanov a quello dei fratelli fratelli Dardenne. Vedendo Glory, se ne comprendono le ragioni. I registi raccontano la loro vicenda tragicomica con sguardo documentaristico, lo stile è asciutto e immediato. Le scene si susseguono l'una dopo l'altra con precisione millimetrica. La sensazione è che non ci sia neppure un momento sprecato né un dialogo di troppo. La concatenazione degli eventi cela colpi di scena e sorprese a ripetizione, frutto di uno script ben calibrato e originale.
Man mano che la storia avanza, il mood lieve e ironico di Glory si rovescia nel suo opposto dando vita a momenti di grande intensità drammatica. Lo humor si fa più nero e cattivo, mentre ogni minuto che passa diviene sempre più chiaro che il lieto fine, in questo universo caustico e privo di empatia, non è qualcosa di dovuto. La fiaba di Tzanko si trasforma in un incubo kafkiano, ma lui non si dà per vinto. L'uomo solo contro il sistema è un tema che era stato già affrontato, ma la ricchezza di Glory deriva proprio dal taglio scelto dai suoi autori e dalla loro capacità di mantenere un distacco ironico sulle miserie umane alle prese con le storture del passato e del presente.