Il cinema di Robert Guédiguian resta fedele a se stesso, come evidenzia la nostra recensione di Gloria Mundi. La nuova pellicola del regista marsigliese in concorso a Venezia 76 è una parabola morale sui mali del capitalismo e sulla morte del socialismo riflessa in una microstoria familiare. Gloria Mundi si apre con un parto. La nascita della piccola Gloria allieta i genitori Mathilda e Nicolas, la nonna Sylvie e il nonno Daniel, che poco dopo esce dal carcere dove ha scontato una lunghissima pena per omicidio colposo.
La felicità per il lieto evento dura ben poco. Nicolas, autista di Uber, viene attirato in una trappola da alcuni tassisti che gli rompono il braccio con una mazza. L'uomo è, così, impossibilitato a lavorare; nel frattempo la moglie Mathilda, commessa in prova, deve sopportare i giudizi sarcastici della sorella, che gestisce con profitto un negozio di compravendita dell'usato. Anche Sylvie ha difficoltà economiche: l'impresa di pulizia dove fa il turno di notte entra in sciopero rivendicando un aumento per i dipendenti e il secondo marito, autista di bus, viene sospeso perché pizzicato a telefonare mentre guidava. La crisi economica, implacabile, colpisce tutti nel privato mettendo alla prova l'amore tra le coppie e l'armonia familiare.
Uno sguardo sul reale in costante peggioramento
Per Robert Guédiguian il cinema è un intervento sul reale. Ecco che il regista torna sul luogo del delitto, la sua Marsiglia, per affrontare i temi sociopolitici che gli stanno a cuore calandoli in un contesto il più realistico possibile. Marsiglia, suggestiva città di mare, offre paesaggi diversi che il cineasta piega di volta in volta ai propri scopi. In questo caso Guédiguian predilige la periferia metropolitana, i quartieri più popolari coi muri scrostati e la biancheria appesa alle finestre, per raccontare l'impatto della crisi sul ceto medio. Ma c'è spazio anche per temi più intimi come la memoria, il passare del tempo, il senso di appartenenza incarnati nella figura di Daniel, detenuto che ha perduto la famiglia e trent'anni di vita per le conseguenze di un'intemperanza giovanile. Il ritorno di Daniel fornisce al regista l'occasione per mostrare scorci più poetici come la spiaggia, la promenade e le terrazze che si affacciano sul Porto Vecchio.
La retorica delle buone intenzioni
Squadra che vince non si cambia. Fedele nei temi e nella forma, Robert Guédiguian ama tornare a lavorare, film dopo film, con gli stessi attori. La moglie Ariane Ascaride guida una pattuglia di volti noti che comprende Jean-Pierre Darroussin, Gérard Meylan e la giovane Anaïs Demoustier, tutti pronti a passare con fluidità da una storia all'altra del regista militante.
Purtroppo le convinzioni radicali di Robert Guédiguian vengono veicolate attraverso una forma volutamente poco curata e uno script a tesi gravato da un pesante sottofondo ideologico. Nel gridare il suo no al capitalismo, l'autore rinuncia a sottigliezze e humor scegliendo soluzioni a effetto che risultano forzate. Per denunciare la degenerazione dell'epoca contemporanea causata dal capitalismo, Guédiguian contrappone a una vecchia generazione generosa e idealista giovani edonisti, individualisti e amanti del denaro che agiscono senza una morale e passano il tempo a trastullarsi col telefono. Diversamente dalle opere precedenti, Gloria Mundi è costellato di atti di violenza, anch'essi spia del degrado morale causato dal desiderio del denaro. Di fronte a uno stile registico così antispettacolare da risultare trascurato, ciò che conta, per il cineasta francese, è solo e unicamente il messaggio a cui fa capo tutta la sua poetica. Messaggio che forse risulterebbe più efficace se veicolato con toni meno retorici.
Conclusioni
La recensione di Gloria Mundi sottolinea la voglia di Robert Guédiguian di portare avanti un discorso coerente che fa leva sul rimpianto per la morte del socialismo e la denuncia dei mali del capitalismo. A un cinema rigoroso corrisponde scarsa attenzione alla forma e la voglia di forzare la mano per dar vita a un'opera a tesi che talvolta mette alla prova lo spettatore con svolte drammatiche forzate. Il ritorno di un tema rodato di attori che collabora col regista film dopo film fino a dar vita a una vera e propria famiglia teatrale rappresenta una garanzia di continuità in un'opera che però difetta in sottigliezza.
Perché ci piace
- Appartiene a un filone militante e antispettacolare di cinema apertamente schierato.
- Malgrado il passare del tempo, Robert Guédiguian non ha rinunciato ai principi di un cinema ideologico.
- La forma rinuncia a ogni abbellimento a favore del contenuto...
Cosa non va
- ..scelta questa che rischia di far sembrare il look della pellicola eccessivamente trasandato.
- Per dimostrare i propri assunti, il regista fora la mano a una narrativa che risulta appesantita da un eccesso di retorica.