Conosciuto in tutto il mondo per la sua opera seconda, Nuovo Cinema Paradiso, che nel 1988 si rivelò un fenomeno di portata internazionale e l'anno seguente ottenne il premio Oscar per il miglior film straniero, il regista siciliano Giuseppe Tornatore ha continuato a ricevere consensi grazie a titoli come L'uomo delle stelle, La leggenda del pianista sull'oceano e Malèna, ma occasionalmente si è avventurato anche nel cinema di genere con opere quali Una pura formalità e La sconosciuta, caratterizzate da una spiccata vena noir.
Ed è appunto al cinema noir, omaggiato alla tredicesima edizione della Festa del Cinema di Roma 2018 attraverso sequenze di cult movie inserite prima di ogni proiezione, che Giuseppe Tornatore ha dedicato il suo incontro con il pubblico all'Auditorium, giovedì pomeriggio: una 'lezione' sui codici del genere sviluppata a partire da otto grandi film noir, firmate da registi del calibro di Billy Wilder, Fritz Lang e Alfred Hitchcock, di cui Tornatore ha analizzato delle scene-chiave per poi illustrarne l'importanza storica e il carattere innovativo. Cominciando con una delle vette indiscusse del noir americano, quel capolavoro senza tempo intitolato Double Indemnity e distribuito in Italia come La fiamma del peccato...
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1. La fiamma del peccato
La fiamma del peccato è uno dei noir più belli della storia del cinema, l'ho sempre amato moltissimo. Una volta incontrai Billy Wilder, il quale mi confermò due aneddoti sul film. Durante le prove per girare la scena in cui Fred MacMurray e Barbara Stanwyck fuggono dopo aver ucciso il marito di lei, Wilder non era soddisfatto perché non c'era abbastanza tensione, così decise di interrompere le riprese per quel giorno. Si recò al parcheggio ma la sua auto non partiva, e d'improvviso capì cosa mancava alla scena e inserì questa situazione nel film per aumentare la tensione: un'idea narrativa straordinaria, usata qui per la prima volta e poi replicata migliaia di volte. Invece nella scena girata al residence, ricostruito in studio, Edward G. Robinson ha intuito la colpevolezza di Barbara Stanwyck, la quale nel frattempo si nasconde dietro la porta, in una scena ad altissima tensione.
Ma durante le prove, Billy Wilder rimase esterrefatto perché la porta si apriva verso l'interno, così chiese spiegazioni allo scenografo, che gli rispose: "Ma tutte le porte si aprono all'interno!". Wilder provò allora a modificare la scena, ma la scena era già perfetta di suo, così alla fine disse al macchinista di girare le cerniere della porta. La lezione di questi aneddoti: bisogna sempre essere attenti alla vita quotidiana e avere una conoscenza minuziona della realtà delle cose. In questo caso, però, la storia era talmente forte che il pubblico non si accorse della stranezza di una porta che si apriva verso l'esterno.
2. La donna del ritratto
Billy Wilder sapeva fare di tutto, mentre Fritz Lang specialmente i noir. La donna del ritratto è un film molto amato, ma dal finale controverso; il protagonista, Edward G. Robinson, è un docente di crimonologia al centro di un ingranaggio che lo porta a concepire e mettere in atto un crimine. L'ingranaggio della storia è complesso, diabolico e perfetto, ma la trovata del finale non piacque ai critici. Nella stessa inquadratura abbiamo un passaggio dal piano onirico al piano della realtà: un'idea fortissima, resa ancora più efficace dal bianco e nero. Preferisco i noir ai gialli: il giallo comincia dopo il crimine, il noir invece racconta il delitto mentre accade. Il tema centrale dei noir è il senso di colpa: i personaggi sono trascinati a commettere un'azione criminale. Negli anni Sessanta, grazie alla Nouvelle Vague, si capì quanto grande cinema ci fosse dietro il cinema di genere e iniziò una rivalutazione dei capolavori del noir.
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3. Lo specchio scuro
Il doppio è un altro tema fondamentale del noir. Lo specchio scuro ha un finale coraggiosissimo, che ci lascia nel dubbio. Per le sequenze con le due gemelle nella stessa inquadratura si usavano soluzioni miracolose, ricorrendo a trucchi artigianali e riprese complicatissime. Il tema del doppio è stato trattato con grande forza da Robert Siodmak, un grande regista oggi un po' dimenticato.
4. Ho ucciso!
Su Ho ucciso! pesa il senso di inadeguatezza rispetto al romanzo da cui è tratto, Delitto e castigo. Leonardo Sciascia sosteneva, anche a proprio discapito, che fosse impossibile fare un buon film da un capolavoro letterario; ma al di là delle sue debolezze, Ho ucciso! è comunque un film con alcune idee di regia formidabili. Il protagonista è uno studente di legge che commette un omicidio.
5. Le catene della colpa
Le catene della colpa è stato un film riscoperto nel corso degli anni: un film straordinario diretto da un regista conosciuto solo dai cinefili, Jacques Tourneur, e questa è la sua opera migliore. Ho sempre amato i suoi dialoghi dal taglio letterario, con battute secche e incisive che ricordano quelle dei western di Sergio Leone. Le catene della colpa ha un ingranaggio narrativo strepitoso, pari a quello de La fiamma del peccato.
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6. Detour
Detour ha qualcosa di speciale, è diventato grande con il tempo; a suo modo è un film leggendario, girato in poco più di una settimana. Ha un plot bellissimo ma 'scarcagnato', e si avverte il desiderio di fare i conti con la sfera letteraria già dal suo incipit straordinario, che comunica subito la sensazione di assistere a una storia grandiosa, con un vortice di elementi narrativi tipici del noir. L'autore, Edgar G. Ulmer, era stato l'aiuto regista di Robert Siodmak.
7. Il buco
Il buco è un film che si svolge tutto all'interno di una prigione, in cui un gruppo di carcerati organizzano un piano per evadere, usando strumenti artigianali. È un film che ho sempre amato: la storia ruota attorno a un oggetto, uno specchietto che si rivelerà un elemento essenziale della trama, pure nel finale. Si tratta di un noir molto colto, basato sulla precisione maniacale dei personaggi, e guardandolo ti sembra di trovarti lì insieme a loro.
8. Il delitto perfetto
Ne La fiamma del peccato, la donna trova un complice per uccidere il marito; ne Il delitto perfetto c'è lo stesso disegno ma rovesciato, con il marito che trova un complice per uccidere la moglie. Quando ho visto Il delitto perfetto per la prima volta ero un proiezionista e fu una folgorazione: lo vidi otto volte in due giorni. Il finale per me è la sequenza più significativa del cinema di Alfred Hitchcock: c'è l'ispettore che fa il regista, perché racconta agli altri personaggi quello che vede dalla finestra... un po' come un regista quando deve spiegare l'idea per un film a un produttore. In quella scena, Ray Milland si ricorda dove si trova la chiave giusta: è una geometria perfetta, con un personaggio che individua l'elemento mancante del proprio disegno, ma proprio per questo cade in errore.