Ospite del Lucca Film Festival 2023, Gabriele Salvatores ha celebrato 40 anni di carriera insieme al pubblico toscano. 40 anni da quel lontano Sogno di una notte d'estate che gli ha fatto fare il suo ingresso nella regia cinematografica. "I premi alla carriera mi fanno sentire vecchio" avverte, ricordando poi con ironia che il suo primo film "l'hanno visto tre persone, mia madre, mio padre e una delle mie sorelle. L'altra si è rifiutata".
Anche con l'Oscar conquistato nel 1992 per Mediterraneo, Salvatores ammette di aver avuto dei problemi: "Per un sacco di anni questo signore nudo e senza peli non lo volevo in casa. Ogni medaglia ha il suo rovescio. Il lato positivo è che la vittoria all'Oscar mi ha permesso di fare film come Nirvana, che altrimenti nessuno mi avrebbe finanziato. Il cinema italiano è figlio di due genitori possessivi, il neorealismo e la commedia all'italiana. In pochi osano avventurarsi nel territorio del fantastico e io ho cercato di infrangere qualche barriera".
Visioni futuristiche in Nirvana
Nirvana, proiettato al festival in versione restaurata, resiste al passare del tempo. Il film racconta la storia del protagonista di un videogame che, a causa di un virus, prende coscienza di sé. Una storia assolutamente futuristica per l'epoca che contiene aspetti di preveggenza. "In realtà l'idea alla base del film è nata in Messico, sul set di Puerto Escondido" ricorda Salvatores. "La sera giocavamo a calcio col Nintendo e Diego Abatantuono si chiedeva 'Ma quando noi andiamo a cena cosa fanno i calciatori? La doccia?'. Poi c'è stata la morte del cantate dei Nirvana, che ha lasciato la frase 'Non riesco più a stare in questo gioco'. All'epoca leggevo libri di filosofie buddiste, dove la realtà viene chiamata maya, cioè illuminazione. Il loro obiettivo non è reincarnarsi, ma raggiungere il nirvana".
Nirvana è rimasto un unicum o quasi nel panorama italiano, ma Gabriele Salvatores ricorda come non tutti furono colpiti dal film: "Cecchi Gori dormì tutta la proiezione, poi si svegliò e disse 'Interessante, ma non è un po' buio per la tv?'". Il regista ammette di essere sempre in cerca di storie che lo colpiscano, da raccontare con le immagini. Alcune di queste, come Educazione siberiana, Io non ho paura e Denti nascono dalla letteratura: "A volte sei tu che cerchi una storia e a volte sono le storie che vengono a cercare te" spiega. "Letteratura e cinema sono diversi, ma uno nutre l'altro. Autori americani come Cormac McCarthy sono figli del cinema. Io cerco di raccontare storie che mi emozionino, non penso ai gusti del pubblico perché cerco di stare un passo avanti come diceva Brecht". Se pensa a film realizzati in passato che oggi non lo rappresentano più, Salvatores cita Amnesia e confessa: "So che scontenterò qualcuno, ma per me è un film figlio del Prozac, visto che attraversavo una fase depressiva".
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L'importanza dei luoghi e delle storie
Seppur radicato a Milano, dove ha mosso i primi passo col Teatro dell'Elfo, Gabriele Salvatores rivendica la sua napoletanità e ricorda la sua famiglia tutta al femminile. "Da lì ho maturato l'idea di collettività. Mi piace lavorare in team, la solitudine mi fa paura. Per me l'amicizia è importante, è una costante mentre l'amore a volte scompare". L'importanza dei luoghi e degli affetti si ritrova nella cura delle location che traspare dalle opere del regista, come l'isola di Mediterraneo, un luogo "che mi è rimasto appiccicato addosso anche se, a differenza di Giuseppe Cederna, non ci sono più tornato. Tornare dove sei stato bene è sempre deludente. Truffaut diceva di scegliere delle location belle perché se il film ti viene male almeno hai visto un bel posto".
E pensare che per Salvatores il cinema è nato come una sfida quando, intorno ai trent'anni, gli diagnosticarono la leucemia. "Mi dissero che mi restavano cinque anni di vita, così mi sono comprato una piccola barca a vela e ho deciso di provare a fare cinema. Pensare di fare cinema a Milano negli anni '70 era follia, anche teatro in realtà, ma sentivo l'urgenza di raccontare delle storie. Volevo far passare i miei pensieri e la mia visione". Non che l'esperienza sul set sia sempre stata rose e fiori per l'emotivo Salvatores: "Mi è capitato di andare via dal set piangendo, chiudermi in roulotte a piangere e dirmi 'Non ce la faccio', ma non ho mai mollato. Forse questa sfida l'ho vinta".