A oggi l'applauso più caloroso udito nelle proiezioni stampa di questa 66° Berlinale è quello esploso sui titoli di coda di Fuocoammare. Un'accoglienza che fa sognare all'Italia un altro Orso d'Oro, ma il concorso è ancora all'inizio ed è troppo presto per fare previsioni. Oltre all'indiscutibile qualità artistica, però, il toccante documentario di Gianfranco Rosi ha dalla sua parte l'attualità. Il film affronta il tema della tragedia dei migranti piombando nel cuore del fenomeno, in quella Lampedusa che rappresenta il primo approdo dei sopravvissuti ai drammatici viaggi della speranza. E dal momento che il metodo di lavoro di Rosi è immersivo, l'autore ha scelto di non raccontare l'isola da un unico punto di vista, ma ha voluto mostrarne la quotidianità di chi vive direttamente o indirettamente il fenomeno fornendo accoglienza e un primo ricovero ai rifugiati.
Parlando del suo film, Rosi spiega: "Per me è essenziale immergermi nella realtà che racconto. L'Istituto Luce mi ha chiesto di girare un piccolo film su Lampedusa e dopo pochi sopralluoghi mi sono reso conto che era impossibile raccontare una realtà così complessa in un lavoro breve. Io ho bisogno di avere un ampio respiro, costruisco la mia conoscenza del luogo a poco a poco e ho avuto la fortuna di avere dei produttori che mi hanno permesso di stare a Lampedusa tutto il tempo necessario per trovare il mio filo drammaturgico".
Raccontare la tragedia con lo sguardo di un bambino
Nel suo percorso alla scoperta di Lampedusa, Gianfranco Rosi ha scelto di rappresentare la natura degli isolani focalizzandosi su un loro giovane rappresentante, Samuele. Bambino vivace, curioso e chiacchierone, Samuele incarna lo sguardo sperduto degli abitanti dell'isola, divisi tra la necessità di fronteggiare una tragedia più grande di loro e la volontà di portare avanti la loro esistenza quotidiana. "Sentivo di dover raccontare l'isola con lo sguardo di un bambino." racconta Rosi "Il mio assistente lampedusano mi ha fatto conoscere Samuele quasi subito. Dopo aver tirato un sacco con la fionda si è girato verso di me e mi ha detto "Ci vuole passione". Ho capito che era perfetto, ma nel lavoro con lui non ci sono state scene scritte o premeditate. Con Samuele è stato un gioco, lavoravamo in grande libertà, la troupe era composta solo da me e da un mio collaboratore".
Sul lavoro tecnico svolto per restituire un'immagine così ricca e crepuscolare dell'isola, il regista ammette: "Per me filmare è un modo per scoprire altre realtà. Non penso molto a dove mettere la macchina da presa, ma le condizioni di luce sono essenziali. Preferisco le luci invernali, fioche, infatti la Lampedusa di Fuocoammare sembra l'Irlanda. Io sono fotofobico, non amo molto la luce, quindi mi piace girare con poche luci. Per questo film ho usato una camera che mi ha permesso di girare di notte con solo una torcia".
Un film politico per scuotere le coscienze
A Berlino, ad accompagnare Gianfranco Rosi vi è il medico lampedusano Pietro Bartolo, responsabile della prima assistenza ai migranti che approdano sull'isola. Il dottore, che compare in alcune scene fondamentali, con la sua carica di umanità rappresenta un ingrediente fondamentale del documentario. Il regista ammette di aver inserito una scena col medico a film ultimato e già inviato alla Berlinale perché "senza sentivo che il film era incompleto. Fuocoammare è un film politico a prescindere. E' la testimonianza di una tragedia che sta accadendo davanti ai nostri occhi. Una tragedia di cui siamo tutti responsabili. I media oggi ci rendono partecipi, siamo bombardati da immagini e notizie perciò credo che il dovere della politica sia quello di fare qualcosa".
Terribilmente lucida la testimonianza del dottor Bartolo che aggiunge: "Mi occupo di immigrazione a Lampedusa dal 1990, fin dal primo sbarco in cui arrivarono tre africani. Ho visto accadere tante cose belle e tante brutte, bambini morti, donne stuprate. Sono stato intervistato da quasi tutte le televisioni del mondo e mi fa male parlare di queste cose, ma accetto perché spero che attraverso queste testimonianze si riesca a sensibilizzare l'opinione pubblica. Spero che anche il film di Rosi contribuisca a questa causa. C'è chi costruisce recinti per risolvere il problema, ma per me non si mettono neppure agli animali. I lampedusani non si lamentano mai degli sbarchi. La ragione? Sono un popolo di pescatori e tutto ciò che viene dal mare per loro è il benvenuto".