Fratelli dello spazio
Chi è stato qualche anno fa un videogiocatore accanito si ricorderà sicuramente della casa spagnola Pyro Studios - per un certo periodo una delle più note in ambito europeo - e della serie che la ha resa famosa, Commandos, il cui primo capitolo risale al 1998. Si trattava di un gioco strategico in tempo reale, in cui il giocatore guidava una squadra scelta di soldati americani durante la Seconda guerra mondiale con lo scopo di portare a termine alcune missioni belliche, mettendo a frutto più le doti d'astuzia che di potenza di fuoco. In parole povere, una vera e propria trasposizione di Quella sporca dozzina in chiave videoludica, con personaggi molto ben delineati. E probabilmente è stato proprio il taglio spiccatamente "cinematografico" - in un periodo in cui cinema e videogioco erano ancora due ambiti parecchio separati - a decretare il successo per certi versi inaspettato di Commandos, tanto che gli ideatori svilupparono numerosi sequel e mission pack, realizzando una vera e propria trilogia narrativa come quelle che si vedono su grande schermo.
Questa lunga parentesi serve a dimostrare come Pyro Studios avesse sin dagli esordi la Settima arte nel sangue. Nel momento in cui il cinema d'animazione computerizzato è divenuto una realtà, è stato quindi del tutto naturale per i fondatori della casa dare vita a un nuovo dipartimento, Ilion Animation Studios, che a partire dal 2005 si è dedicato esclusivamente alla realizzazione del loro primo lungometraggio animato. Una vera impresa per una piccola società europea che non può certo competere con i faraonici budget di Pixar, Dreamworks e Blue Sky. Ilion Animation ha dovuto così cercare di massimizzare il più possibile le risorse tecniche, potendo comunque contare su un equipaggiamento più che valido: 200 postazioni Hewlett Packard a lavoro su 56 Terabyte di memoria. Il frutto di questi quattro lunghi anni di fatiche è Planet 51, film per ragazzi che ribalta i tradizionali stereotipi della fantascienza anni Cinquanta per veicolare un messaggio sull'accettazione della diversità. È probabile che Ilion Animation - nel timore di una concorrenza sempre più agguerrita nel campo dell'animazione - non si sia sentita sufficientemente forte per elaborare in proprio anche una sceneggiatura. È così che i produttori hanno deciso di affidarsi a un nome di tutto rispetto in questo settore come Joe Stillman, conosciuto ai più come co-sceneggiatore di Shrek e Shrek 2. E, in effetti, il meccanismo cui ruota Planet 51 non si discosta poi molto da quello della saga straccia-botteghini della Dreamworks (oltre al fatto che gli alieni protagonisti di questo film condividono con l'orco puzzone delle favole il medesimo colore dell'epidermide). L'unica differenza è che in questo caso a recitare la parte del "diverso" non sono i classici omini verdi dell'immaginario fantascientifico, bensì un essere umano: l'astronauta pasticcione Chuck Baker, atterrato in missione esplorativa sul pianeta Glipforg. Per così dire, questa volta è lui a essere l'"alieno" in un mondo di alieni. I verdi "glipforgiani" vivono, infatti, come gli americani negli spensierati e ingenui anni Cinquanta e guardano terrorizzanti film di fantascienza, in cui i mostri venuti dallo spazio si chiamano però "Humaniacs". Naturale, dunque, che Chuck sia visto come una creatura mostruosa e avida di cervelli da fagocitare, e che l'esercito gli dia la caccia per ucciderlo e vivisezionarlo. Meno male che l'astronauta riesce a trovare un amico: Lem, adolescente timido ma molto curioso dell'universo che lo circonda. Il ragazzo farà comprendere ai suoi concittadini che i pregiudizi sono frutto dell'ignoranza e della paura e che siamo tutti "fratelli dello spazio". La morale è esposta in maniera un po' troppo didascalica, ma è sempre utile ribadire alle giovani generazioni un messaggio di tolleranza e integrazione (soprattutto in questi tempi oscurantisti in cui viviamo). Planet 51 condivide inoltre con la serie di Shrek la foga citazionista spinta fino ai massimi livelli, in questo caso prevalentemente confinata al genere sci-fi. Si parte da un incipit che ricalca una sequenza ricorrente del cinema fantascientifico Anni '50, e si prosegue con vari rimandi ai classici del genere: da un cagnolino modellato sulle fattezze della creatura di Alien (che non per niente si chiama Ripley), alla colonna sonora di 2001: Odissea nello spazio, solo per citarne alcune. A ciò si aggiungono poi diversi rimandi alla cultura popolare degli anni Cinquanta , come le auto, le acconciature e l'abbigliamento. Ma in realtà questo tipo di meccanismo citazionista è ormai così abusato da riuscire a strappare appena qualche sorriso.I registi Javier Abad e Marcos Martinez provengono dal mondo dei videogiochi, e paiono interessarsi particolarmente alla resa tecnica e visiva del film. L'aspetto più convincente di Planet 51 è proprio relativo alla componente grafica, che si attesta su livelli superiori rispetto a quelli della media di analoghe produzioni europee. I realizzatori sono riusciti ad aggirare i limiti di risorse optando per un look estetico che privilegia la gommosità e la "plasticosità" delle superfici (rendendo l'immagine molto simile a quella dei film realizzati in plastilina) e giocando con le linee rotonde e morbide del design, prese direttamente in prestito da quelle dei classici dischi volanti. Particolare attenzione viene posta anche ai riflessi di luce (in particolare a quelli del robottino Rover, mascotte del film modellata un po' su WALL·E), nonché ai movimenti di macchina, che presentano un taglio molto cinematografico.
Un ulteriore punto di forza del film è il doppiaggio originale, che può contare su nomi come Jessica Biel, Justin Long, Gary Oldman e un divertente John Cleese nella parte dello scienziato pazzo Kipple. Ma anche l'adattamento italiano per una volta si affida a solidi doppiatori come Luca Ward e Alessandro Tiberi, lasciando da parte vip improvvisati. Le partecipazioni straordinarie della combriccola di Radio Dj (Linus, Albertino, Nicola Savino, La Pina e Platinette), legate a un gioco a premi, sono confinate invece solo ad alcuni ruoli di contorno.Planet 51 conferma l'intreccio, sempre più inestricabile, ormai esistente tra cinema e videogioco. Ai fan di vecchia data di Pyro Studios rimane un unico cruccio: se i produttori avessero avuto il coraggio di puntare su una sceneggiatura meno convenzionale, adattando per il grande schermo le adrenaliniche avventure dei Commandos, allora sì che ne avremmo viste delle belle.