For Life, la recensione: l’avvocato carcerato sui generis arriva in tv

La recensione di For Life, il legal drama sul detenuto che difende gli altri detenuti ispirato dalla storia vera di Isaac Wright Jr., dal 14 gennaio su Rai4.

"Come è arrivato qui?" "Impegno e buona volontà. Non so il suo metodo"

For Life Cast
For life: un'immagine promozionale

Iniziamo con queste parole del protagonista Aaron Wallace (Nicholas Pinnock) - che ben rappresentato il self made man americano, anche se in questo caso in una circostanza molto particolare - la recensione di For Life, la nuova serie legal di ABC che arriva dal 14 gennaio su Rai4 in prima tv assoluta. La circostanza particolare è la prigione. Il protagonista infatti è un avvocato sui generis ispirato dalla storia vera di Isaac Wright Jr., un uomo di colore condannato all'ergastolo per un crimine che non aveva commesso. Mentre era in prigione, Wright riuscì con non poche difficoltà a diventare il rappresentante legale dei detenuti e a ribaltare la sentenza di una ventina dei suoi "colleghi", fino a provare finalmente la propria innocenza. Aaron è quindi l'alter ego narrativo di Isaac e anche lui è stato condannato ingiustamente. La serie inizia quando ha da poco ottenuto finalmente la licenza per esercitare come rappresentate legale dei detenuti, ovviamente attraverso uno stratagemma e un avvocato garante "di buon cuore".

UN LEGAL DRAMA DIETRO LE SBARRE

For Life Nicholas Pinnock 3
For life: un'immagine di Nicholas Pinnock

La prigione è un microcosmo che ha regole proprie e i "favori" diventano "debiti", come ci racconta il voiceover (forse un po' verboso e ridondante) di Aaron di episodio in episodio, che può mettersi in abito e stare senza manette solo per il tempo necessario al processo della settimana, e non può avvicinarsi a chi non dovrebbe in aula. Il serial propone quindi un legal drama classico con da un lato il caso della settimana e dall'altra la trama orizzontale della serie, ovvero riuscire ad avere un nuovo processo e soprattutto dimostrare la propria innocenza per Wallace.

For Life Nicholas Pinnock 2
For life: una scena della serie

Ciò che è meno classico è l'ambientazione e tutte le conseguenze che questa comporta. La scrittura è estremamente verbosa e per contro la regia e la fotografia sono asciutte, claustrofobiche: non solo per Wallace e gli altri detenuti, ma anche per la moglie e la figlia che nonostante siano andate avanti vivono ancora in funzione del marito/padre, sperando torni a casa un giorno. Opprimente è anche la situazione di Glen Maskins (Boris McGiver), il procuratore che aveva fatto incarcerare Wallace e che ora sente la terra tremare sotto i piedi mentre il detenuto si fa strada nel sistema giudiziario americano, lo stesso che lo ha messo dentro per sempre. Maskins si sta candidando a procuratore generale di Stato contro Anya, la moglie di Safiya Masry (Indira Varma), la direttrice del carcere, che è dalla parte di Aaron e vorrebbe aiutarlo nel suo caso.

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WALLACE IS THE NEW BLACK

For Life Nicholas Pinnock Indira Varma
For life: Nicholas Pinnock e Indira Varma

Proprio come in Orange is the New Black, tra le righe vi è una grande denuncia del sistema giudiziario e soprattutto penitenziario americano, che ha molte falle spesso legate al sovraffollamento, e al credere che ci sia un percorso di recupero e redenzione per i detenuti. La stessa Safiya si fa portavoce di cambiamenti più o meno drastici e sostanziali nei pochi mesi da quando è direttrice, anche a supporto della campagna della moglie contro Maskins. Tra le tematiche affrontate non mancano quella razziale e quella LGBTQ+, mai forzate ma sempre equilibrate al contesto e al racconto. Un po' come The Good Doctor mostra la situazione improbabile di un medico con una forma di autismo, in For Life assistiamo a un livello mai visto di "aree grigie" nel sistema legale: un detenuto che difende gli altri detenuti, un sistema corrotto da denunciare e "smascherare", insomma un intento nobile che però deve fare i conti con tutte le difficoltà quotidiane della condizione del protagonista. I "debiti" citati prima, i delicatissimi equilibri del carcere e anche quelli esterni della politica gerarchica che controlla il sistema. Un nuovo punto di vista come aveva già fatto per esempio All Rise mettendo in prima linea il giudice e non l'avvocato.

For Life Joy Bryant
For life: Joy Bryant in una scena

Ogni caso - oltre a quello orizzontale per discolpare Aaron - mostra infatti le moltissime limitazioni legate al carcere e alla missione di Wallace che sembra fare un passo avanti ma due indietro, come accade nella vita, dando realismo a una storia che vuole comunque essere un monito di speranza (visto anche l'epilogo nella storia reale di Wright). Nicholas Pinnock dà volto e voce a un protagonista che sentiamo vicino, anche se un po' troppo verboso, ma a brillare è la moglie Marie interpretata da Joy Bryant, che splende in un episodio a lei dedicato (il quarto) particolarmente interessante perché cambia la prospettiva della narrazione. Questo per ricordarci che non stiamo assistendo solo alla storia di Wallace, ma anche di chi gli sta intorno e di come anche la loro vita sia cambiata a causa (o per merito) sua.

Conclusioni

Chiudiamo la recensione di For Life felici di vedere come il genere legal sappia ancora rinnovarsi, anche se la serie risulta fin troppo oppressa dal clima claustrofobico che racconta. Convincenti le interpretazioni e i casi di puntata, estremamente legati all’ambiente del carcere ma forse un po’ troppo improntati sul procedurale e meno sul family drama. Menzione speciale per Joy Bryant e la sua Marie, a cui guarda caso è dedicato il quarto episodio con il cambio del punto di vista della narrazione.

Movieplayer.it
3.0/5
Voto medio
3.5/5

Perché ci piace

  • Il genere legal sa rinnovarsi ancora una volta, questa volta mescolandosi al jail drama.
  • Equilibrio fra i casi di puntata e quello generale portato avanti dal protagonista.
  • Nicholas Pinnock e Joy Bryant danno carisma a due personaggi dalle molte sfaccettature…

Cosa non va

  • …ma lui risulta troppo verboso anche nel voice over del racconto.
  • La regia e la fotografia claustrofobiche ben rappresentano la condizione del protagonista e degli altri personaggi ma forse risultano eccessive in alcuni punti, rendendo poco fluida la narrazione.