A volte le cose succedono per caso. Abbiamo da poco terminato la visione di quella meraviglia animata che è Flow e riceviamo una mail dall'ufficio stampa con la richiesta di una reaction al film. La mandiamo e approfittiamo per una richiesta dell'ultim'ora: c'è modo di scambiare due chiacchiere con Gints Zilbalodis? La risposta è rapida e positiva e nel giro di poco siamo al padiglione lettone dell'International Village di Cannes per parlare con il regista di Flow. Ed è una chiacchierata che conferma quanto di buono abbiamo pensato guardando il film (potete recuperare qui la nostra recensione): Zilbalodis non ha solo realizzato un gran bel film, ma l'ha costruito con criterio, idee e una dedizione unica, che ci ha raccontato nella nostra intervista.
Un gatto come punto di partenza
"Tutto è iniziato con un corto che ho fatto anni fa quando ero un adolescente" ci ha detto Gints Zilbalodis spiegandoci le origini di Flow, "parlava di un gatto che ha paura dell'acqua". Sì, proprio come il suo nuovo lavoro, il suo secondo lungometraggio, che segue le vicissitudini del gatto protagonista e dei suoi compagni di avventura animali, da un uccello a un cane e persino un capibara. "Quando ho deciso di renderlo un film" ha aggiunto infatti, "ho scelto di concentrarmi di più sul rapporto del gatto con altri animali, perché nel corto c'erano solo il gatto e un uccello." Uno spostamento, o forse ampliamento, dell'azione: "volevo lavorare sull'idea di un personaggio che è molto indipendente e autonomo che deve adattarsi al lavorare in gruppo" un po' come ha dovuto fare lo stesso Gints Zilbalodis, che nel lavoro precedente, Away, aveva fatto tutto da solo e qui si è dovuto adattare a lavorare in team.
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I gatti odiano l'acqua
Se il punto di partenza è un gatto che deve imparare a lavorare in gruppo, all'opposto è il percorso del cane, che "vuole che gli si dica cosa fare, che vuole far parte di un gruppo, ma impara a essere indipendente". Due percorsi all'opposto, per un gruppo di personaggi che funziona ed emoziona, anche perché il regista non ha voluto che ci fossero avversari nel film: "l'unico antagonista è l'inondazione. Ed è venuto molto naturale, perché tutti sanno che i gatti odiano l'acqua, quindi crea un conflitto molto comprensibile e interessante". Un sopravvivenza e nulla più, perché di niente altro ha bisogno Flow per stupire e appassionare. L'idea di base viene dal corto realizzato quando il regista era ragazzo, ma qualcosa ora cambia anche nei protagonisti: "il corto era animazione a mano e il gatto era molto più stilizzato, anche perché avevo 15 anni, mentre l'uccello ora è molto più grande: prima era un gabbiano, questa volta un grosso serpentario, perché volevo che fosse minaccioso e spaventoso."
Il ritmo di Flow
Anche il ritmo del film è cambiato dal corto al lungometraggio: "il corto aveva un montaggio veloce e molto dinamico, mentre in Flow volevo lavorare con la camera e avere riprese molto lunghe senza tagli. È la differenza principale dal punto di vista estetico, perché per me i movimenti di camera sono molto importanti, perché il film è senza dialoghi e uso le inquadrature per esprimere emozioni". E ci è riuscito benissimo Zilbalodis, perché i protagonisti di Flow riescono a comunicare benissimo con lo spettatore, e riescono a raccontare quella ricerca del senso di appartenenza che ha guidato la composizione del cast di animali, dal lemure al serpentario, fino ad arrivare al capibara che "dorme sempre ed è felice di tutto. È il paciere del gruppo, anche se poi crea ulteriori conflitti invitando altri animali sulla barca". Ma sono conflitti che capiamo, di cui riusciamo a percepire le ragioni, perché, ci tiene a sottolinearlo, "non ci sono antagonisti nel gruppo". Anche il gatto a volte "può essere un bastardo, ma lo perdoniamo perché è un gatto".
Luce, movimento e musica
Non usa storyboard Zilbalodis, non avrebbe avuto senso, perché la sua camera è sempre in movimento "ed è impossibile disegnarlo". Così ha realizzato degli animatic direttamente in 3D: "ho fatto un ambiente 3D e l'ho esplorato con la camera e cercato di mettere i personaggi all'interno per cercare le inquadrature migliori. Nel farlo ho anche aggiunto delle luci per capire le atmosfere e la direzione delle ombre. Sono cose che di sono si fanno in una fase successiva, ma era importante vedere le ombre molto presto perché influenzano il ritmo e la direzione della storia. Ho anche aggiunto la musica molto presto, ancor prima che lo script fosse terminato avevo abbozzato la musica". Ma è in particolare il lavoro sulle luci a colpire: "È molto difficile illuminare scene in cui la camera si muove per 5 minuti attraverso l'ambiente. È stata una grande sfida. Anche se è un mondo virtuale ed è più semplice che in live action, perché ho potuto barare in qualche modo, muovendo le luci all'interno dell'ambiente. Ho animato anche le luci, spostandole dove mi servivano".
Gints Zilbalodis ha fatto quindi anche da direttore della fotografia, usando la luce per assecondare il look stilizzato del film. "Volevo che sembrasse reale, anche se lo stile grafico è stilizzato. È immersivo, ma allo stesso tempo alcune parti sono più stilizzato ed eliminavo dei dettagli in modo che solo le parti importanti fossero presenti. È tutto molto preciso e solo le cose corrette sono nell'inquadratura, escludendo quello che non era necessario". Un lavoro non dissimile è stato fatto da Gints Zilbalodis sulla musica, che ha realizzato molto presto nel corso della lavorazione e "ha influenzato la storia". Il regista non è però un compositore esperto, né suona strumenti, quindi ha realizzato degli esempi elettronici con dei campionamenti da passare all'artista che si è occupato della musica. "Ho passato tutto a Rihards Zalupe che ha aggiunto molte più sfumature e ha reso il tutto più coeso. Ha suonato molti strumenti lui stesso e poi ha registrato tutto con un'orchestra. È stato incredibile ascoltare quei primi abbozzi che avevo fatto io suonati da un'orchestra vera!" D'altra parte la musica acquista ancor più importanza per l'assenza di dialogo.
Ispirazioni e amore per gli animali
Le ultime domande riguardano le fonti d'ispirazione di Zilbalodis, che lui identifica in primo luogo in Alfonso Cuarónn, soprattutto per le sue sequenze lunghe, per come la camera a volte "sembri avere una volontà propria, come se fosse distratta da qualcosa e guardi altrove, come se avesse una curiosità propria." E poi, ovviamente, i film dello Studio Ghibli, per come "sono imprevedibili. Non sai mai dove andrà la storia. A poi anche lì molte volte non ci sono antagonisti, come ne Il mio vicino Totoro che non ha personaggi cattivi. Inoltre anche in quei film ci sono molto sequenze senza dialogo, in cui sono importanti atmosfera e natura". Ci tiene però a specificare che non fa riferimento ad autori o film in particolare, che si tratta piuttosto di qualcosa che è sedimentato dentro di lui per essere stati le visioni con cui è cresciuto.
E noi scommettiamo che buona parte dell'ispirazione per Flow sia proprio negli animali, che hanno fatto e fanno parte della sua vita: "Avevo un gatto" ci ha detto infatti, "ma ora ho un cane. Potrei dire che la mia personalità è simile a quella di un gatto, ma preferisco la compagnia dei cani".