Flamin' Hot, la recensione: il piccante sapore della rivincita

La recensione di Flamin' Hot, esordio alla regia di Eva Longoria dove la vera storia di Richard Montañez tenta di farsi modello ispirazionale per coloro che hanno grandi idee, ma paura di far sentire la propria voce.

Flamin' Hot, la recensione: il piccante sapore della rivincita

Vi è un termine, "meritocrazia", che nel corso del tempo ha perso di prestigio, credibilità, passando da certezza a mera chimera. Non più base solida su cui credere e fondare un proprio obiettivo, dentro questo piccolo mondo si è compiuta una rivoluzione, una battaglia incendiata dall'implosione di un'altra illusione come quella del sogno americano.

Come sottolineeremo in questa recensione di Flamin' Hot, il film di esordio alla regia di Eva Longoria (e disponibile su Disney+) tenta di recuperare la mitologia del self-made man scavando a fondo, con ironia e umorismo, nell'archivio biografico di storie sorprendenti per recuperare quella fiducia nei propri sogni e nella ormai debole "meritocrazia". È un racconto di speranza, di chi parte da zero e arriva a mille senza intraprendere scorciatoie, o ricatti, ma solo credendo in se stesso, Flamin' Hot: una narrazione piccante, che brucia gli spiriti e li anima infondendo loro quel dolce sapore di una speranza ormai perduta, anacronistica, perché figlia di un tempo che pare disintegratosi come Cheetos tra i denti.

Flamin' Hot: la trama

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Flamin' Hot: una scena del film

Periferia di Los Angeles, anni Sessanta: Richard Montañez è solo un bambino, ma ha già imparato l'arte del sapersi arrangiare. Figlio di immigrati e con un padre alcolista, inizia a lavorare da giovanissimo. Inizialmente invischiato nella criminalità, decide allontanarsi da quel mondo per il bene della famiglia e della moglie Judy. Dopo anni di ricerca, finalmente trova un lavoro come addetto alle pulizie in uno stabilimento della Frito-Lay, sentendosi per questo l'uomo più fortunato del mondo. Le cose però vanno subito male e l'azienda rischia di chiudere, lasciando tutti i suoi operai per strada. Richard è sempre stato un uomo pieno di inventiva e iniziativa, e con l'aiuto della famiglia ideerà un nuovo gusto di snack salato piccante, denominato Flamin' Hot. Il resto è storia.

La vita è meravigliosamente piccante

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Flamin' Hot: una foto del film

Non è un uomo ambizioso, assetato di successo, pronto anche a nutrire con pochi spiccioli i figli dell'età consumistica pur di alimentare il proprio ego come Ray Kroc (Michael Keaton) in The Founder. Il protagonista di Flamin' Hot è buono, sognatore, la perfetta cartina di tornasole di un uomo comune, visionario, capace di colmare la mancanza di istruzione con la potenza dell'esperienza e della creatività. Quella di Richard Montañez è la storia di uno su mille; un'esistenza, la sua, intrisa di sorpresa, a tratti quasi fiabesca, trasposizione reale di morali favolistiche e per questo colma di una certa straripante retorica pronta a far breccia tra le cornici della settima arte.

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Flamin' Hot: una scena del film

E in effetti quella narrata in Flamin' Hot è la perfetta parabola umana capace di attecchirsi al mondo del cinema, soprattutto quello ottimista, figlio delle commedie brillanti dell'epoca d'oro. Ma il mondo è cambiato, e con lui anche quella finestra sulla realtà in formato di celluloide che lo rappresenta. Non è più un paese per Frank Capra quello contemporaneo: le commedie motivazionali, intrise di buoni fanno certamente bene al cuore, ma quello qui narrato non corrisponde più alla nostra attualità. Viene così a crearsi uno scarto generazionale, culturale ed economico che solo la retorica - e fin troppo melenso sentimentalismo - andrebbero a colmare, addolcendo una storia che invece vorrebbe bruciare gli animi dei propri spettatori, infiammarli come una spezia piccante, scuoterli e spingerli a credere in se stessi come un messaggio rilasciato dal proprio CEO su un vecchio tubo catodico.

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Flamin' Hot: una scena del film

Non sarà al passo con i tempi, Flamin' Hot, anzi, è un film che cade con estrema facilità nel campo dell'edulcorazione e della semplice retorica; ciononostante, quella immortalata da Eva Longoria è una danza latina lanciata a perdifiato sul palco della vita. L'esistenza di Richard Montañez si muove lenta come un tango, per poi essere scossa da improvvisi cambi di ritmo che la fanno volare in alto, tra piroette e casquè. Un ballo della vita che la stessa regista sa tradurre nello spazio di riprese dinamiche, tra panoramiche e carrellate, movimenti in avanti e primi piani emozionanti. Ma una casa non si costruisce con l'accostamento di semplici mattoni, e allora ecco che a sostenere l'impianto registico della ex-Desperate Housewife ci pensa un montaggio altrettanto movimentato, capace di alternare realtà immaginata e quella aderente ai fatti.

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Flamin' Hot: un'immagine del film

Per un film dedicato alla potenza della creatività e alla capacità di credere nei propri progetti, la componente umana riveste un ruolo essenziale, e la Longoria lo sa bene: la regista capisce quando è il momento giusto per isolare il proprio protagonista, caricandolo di emozioni ed elevandolo a portavoce di dolori e sofferenze, e quando invece coglierlo come parte di una comunità come quella latina, tra campi lunghi e riprese ad ampio respiro. Gli stessi protagonisti vengono restituiti da performance coinvolgenti capaci di supplire a una sceneggiatura elementare che li tratteggia come bozze bidimensionali e abbastanza stereotipate. Grazie alla modulazione espressiva di Jesse Garcia, tutta la bontà e infantile genuinità che brucia in Richard si fa corpo e anima, sguardo e occhi docili, resi tangibili e condivisibili da un attore abile nel restituire tutta la passione tenuta in vita dal proprio personaggio.

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Flamin' Hot: una scena del film

Certo, Garcia si limita a interiorizzare la caratura psicologica e affettiva di Richard e farla propria, senza azzardare o sfociare in grandi slanci interpretativi; ciononostante, quello compiuto dall'attore è il perfetto lasciapassare per un'immedesimazione spettatoriale da compiersi senza ostacoli, scendendo giù come sorsi d'acqua dopo aver assaggiato patatine buone, ma troppo piccanti.

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È una tortilla dal gusto famigliare, insignita di un ingrediente inedito e per questo venduta come qualcosa di rivoluzionario, quando rivoluzionario non è, Flamin' Hot. Quello della Longoria è un racconto biografico, figlio di opere passate e dai buoni sentimenti, che tenta di scoppiare in bocca, ma che finisce per lasciare un retrogusto di qualcosa di insipido e secco. Nessuna novità, nessun sapore piccante, ma solo tanta dolcezza per un'opera capace di trasformare il sapore pungente della vita, in un melenso racconto di rinascita.

Conclusioni

Concludiamo questa recensione di Flamin' Hot sottolineando come il film di esordio alla regia di Eva Longoria tenti di elevarsi a modello motivazionale per uomini schiacciati dalla paura, o dal pregiudizio altrui, spingendoli a far sentire la propria voce e condividere le idee, scadendo spesso nella facile retorica per un racconto anacronistico e fuori dal tempo. La fortuna e la meritocrazia che ha baciato Richard Montañez è perfetta per il cinema, ma ormai anche la Settima Arte vive di altre storie, altre biografie con cui insidiarsi nella quotidianità dei propri spettatori. Non è comunque un progetto da cestinare fLAMIN' hot, tutt'altro; merito della regia dinamica della Longoria e della performance attoriale di Jesse Garcia.

Movieplayer.it
3.0/5
Voto medio
4.0/5

Perché ci piace

  • La performance di Jesse Garcia.
  • La regia dinamica e movimentata come un ballo latino di Eva Longoria.
  • La volontà di fondo di infondere ottimismo nei propri spettatori.

Cosa non va

  • La carica di retorica che investe lo spettatore.
  • La troppa dolcezza con cui vengono affrontati certi passaggi narrativi.
  • La volontà di raccontare una storia alla Frank Capra fuori tempo,