Tra fiction per il piccolo schermo e lungometraggi molti sono i titoli che hanno ricostruito la vita privata e le lotte pubbliche dei due magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, uccisi rispettivamente nelle strage di Capaci del 23 maggio del 1992 e nella strage di Via D'Amelio del 19 luglio dello stesso anno. Due figure divenute storiche nel loto tentativo di mettere in ginocchio la mafia di Cosa Nostra per liberare la Sicilia dal mostro tentacolare infiltrato in ogni strato dell'isola, capace di insinuarsi anche nelle stanze del potere che quel male lo avrebbero dovuto combattere invece di aiutarlo a consolidare la sua presenza sul territorio.
Nel 1985, quando i due erano al lavoro per preparare l'ordinanza/sentenza del maxi processo contro Cosa Nostra, i Carabinieri dell'Ucciardone intercettano una minaccia di attentato ai danni dei due e delle rispettive famiglie, talmente concreta da convincere Antonio Caponnetto a trasferire tutti, in fretta e furia, quasi come se si trattasse di un sequestro, sull'isola dell'Asinara, sede del penitenziario e delle guardie che controllano i detenuti. Nella foresteria di Cala D'Oliva, senza documenti, pieni di paure e rabbia per quel lavoro interrotto e per l'impossibilità di azione, i due ci vengono descritti con un taglio inedito e circoscritto, familiare, nel quale i due uomini sono mostrati nelle loro differenze caratteriali, nel loro rapporto di amicizia e reciproca stima. Quella "vacanza" forzata, ricostruita nei dialoghi dalla regista insieme allo sceneggiatore Antonio Leotti, permette di scoprire dei tratti psicologici ben distinti, mettendo i due in relazione con le rispettive famiglie, anch'esse vittime delle mire omicide di Cosa Nostra e costrette a vivere con il fantasma della Morte sempre presente.
Un'angolazione nuova
Il film nasce da uno stallo lavorativo forzato nel quale Falcone e Borsellino si sono ritrovati loro malgrado. Un arresto vissuto con fatica e mal digerito data la mole di lavoro che avevano lasciato a Palermo ma che ha permesso ai due di consolidare quel rapporto umano che li legava nel lavoro così come nella vita, dando a noi spettatori, grazie al film, la possibilità di conoscerli sotto aspetti finora sconosciuti, nonostante la regia indugi eccessivamente nella stasi iniziale nella quale si ritrovano i due. "Lo spunto del film è nato in me dalla riflessione sull'inattività forzata alla quale sono stati costretti durante il periodo trascorso sull'isola. Ho conosciuto Agnese Borsellino ed i suoi figli, ho letto molto su di loro ed incontrato persone che li conoscevano. Con Antonio Leotti, lo sceneggiatore, ci siamo inventati una loro "vacanza" sulla quale non avevamo nulla. Mi attraeva che fossero chiusi in questa casa e fuori ci fosse un mare stupendo che entrambi amavano molto. Una strana contraddizione. E sopratutto cercare di capire cosa accadeva in queste due famiglie, così diverse, a due mesi dal più grande processo mai esistito nel mondo" ha affermato la regista che ha deciso con fermezza di girare Era d'estate nella stessa casa e negli stessi luoghi che avevano visto i magistrati e le loro famiglie vivere tra l'angoscia e la speranza. "L'isola è misteriosa, bellissima, inquietante e la considero una vera protagonista del film. È presente ovunque. Con il direttore della fotografia, Fabio Cianchetti, abbiamo cercato di mostrare sempre il mare che cambiava secondo lo stato d'animo dei protagonisti. L'avventura è stata girare il film all'Asinara con tutte le difficoltà del caso. Ma il fatto che i personaggi guardassero dalla stessa finestra, vederli in macchina e pensare a Falcone e Borsellino che si affacciavano dallo stesso punto per guardare lo stesso mare, ha reso tutto questo necessario. Il mio obiettivo era quello di realizzare un film geometrico, dove però ci fosse un continuo dentro/fuori".
Ritratto di una famiglia in un interno
Quello che si evince guardando il film è il bisogno della regista di indagare i rapporti personali e familiari, inseriti in una cornice circoscritta come un'isola e messi in relazione alla componente lavorativa dei due uomini. "Volevo unire la sensazione della morte, della paura, con la felicità, l'ironia. Falcone era famoso per le sue battute e anche Borsellino era ironico. Inoltre tenevo molto ai ruoli di Agnese e Francesca. Volevo scoprirle per ritrovare tutti e quattro con una certa solarità" ha sottolineato Fiorella Infascelli che per i ruoli di Falcone e Borsellino ha chiamato all'appello, rispettivamente, Massimo Popolizio e Beppe Fiorello.
"Questo è un ruolo che fa tremare i polsi. È questa la sensazione che ho avuto appena ho ricevuto questa proposta. La storia di Borsellino parla da sola. Ciò che mi ha confortato e dato sicurezza è stata la sceneggiatura. Mi sono sentito protetto, sicuro di portare a termine un personaggio che stava già nella mia immaginazione. Ho avuto grandi paure ma anche grande conforto dato da Fiorella. Non ho avuto bisogno di leggere nulla per prepararmi, mi è bastata lei e la sua conoscenza per lavorare" ha esordito l'attore siciliano parlando del suo ruolo. Una sfida quella di portare sul grande schermo delle figure così conosciute e rispettate che non ha lasciato indifferente neanche Massimo Popolizio. "Oltre la sceneggiatura mi confortava che non fosse una storia della vita di Falcone e Borsellino ma un sorta di interludio, una bolla delle loro vite. Si doveva lavorare sul micro e non sul macro. Quello che dovevo fare era costruire un personaggio malinconico ma anche umoristico e ci siamo tutti affidati al terzo protagonista del film, l'isola, ritrovandoci lì per quaranta giorni nello stesso posto e questo per gli attori e le interpretazioni conta molto".
La regista non si limita a raccontare gli uomini dietro i magistrati ma sottolinea l'importanza delle due donne che sedevano al loro fianco, sottolineando come si trattasse di una pena condivisa con consapevolezza e timore da tutte e due le famiglie, quella della lotta contro Cosa Nostra e delle relative minacce che attanagliavano e scandivano le loro esistenze. "Ho parlato molto con Gianmaria, la guardia carceraria che stava con loro in casa, e sono riuscita a capire dei tratti di quella donna. Sia lei che Falcone venivano da due precedenti matrimoni e lui era già una figura pubblica. Francesca era consapevole della vita che avrebbe fatto" commenta Valeria Solarino parlando di Francesca Morvillo, compagna e futura moglie di Giovanni Falcone con il quale condividerà la morte della strage di Capaci.
Fiorella Infascelli, per mostrare lo stato d'animo e psicologico dei suoi
personaggi ce li mostra nelle situazioni più quotidiane, dall'apparecchiare la tavola al pescare totani, ma in ognuna di queste inquadrature, apparentemente normali, inserisce elementi di disturbo (una guardia armata che segue Falcone quando va nel bar del paese a bere un caffè o la presenza costante di uomini di vedetta che circondano l'abitazione) per sottolineare - non senza una certa ridondanza che risulta fuori misura - la finzione nella quale vivevano ma che, contemporaneamente, a permesso a questi due distinti nuclei di avvicinarsi. "Per me tutto è realmente iniziato quando, durante una telefonata, Fiorella mi ha chiamata "Agnese". È stata un'esperienza forte. Stare su un'isola meravigliosa e ma anche ostica, perché non ha ospitato gioie e questo si sente. C'è una scena, dove il mio personaggio e quello di Valeria sono in acqua appoggiate ad un materassino, dove prima dell'inizio del ciak stavamo ridendo. Mi sono girata di scatto ed ho visto la pilotina con la scorta. In un'istante mi è arrivato tutto quello che hanno provato in quei giorni" commenta Claudia Potenza.
"Palermo ingoia tutto. Ingoierà pure questo"
Tra la paura di non poter preparare in tempo l'ordinanza da presentare al maxi processo e la frenesia del lavoro che inghiottisce i due nella parte finale del film, Fiorella Infascelli riesce, con uno spaccato umano e d'Italia, del 1985 a raccontare anche il nostro presente. "Palermo ingoia tutto. Ingoierà pure questo" è il timore di un Borsellino spaventato dalla capacità della sue stessa terra - che è anche la nostra - di sopportare tutto, di nascondere tutta la polvere sotto il tappeto, fingendo che non ci sia. "Una frase politica che prevede un futuro non molto cambiato e che recentemente ha toccato anche sua figlia. Palermo è metaforica. Potrebbe essere Roma o l'Italia ma non cambierebbe nulla nel significato ultimo della frase" commenta Beppe Fiorello, incalzato dalla regista che aggiunge: "La famiglia Borsellino ha visto il film e ci si è ritrovata. La sceneggiatura l'ho scritta due anni fa e nel film c'è proprio una frase di Lucia bambina che dice al padre: "Moriremo tutti. Prima tu e poi noi". Ha sempre avuto questa consapevolezza, fin da piccola. Poi in questi mesi tutto è tornato a galla con la cronaca che l'ha vista protagonista per poi scomparire, come è tipico nel nostro Paese".