Recensione Aujourd'hui (2012)

Per raccontare la storia di Satchè, il regista punta su una fotografia cromaticamente ricca e dettagliata, piena di luce, e giocata su primi piani ravvicinati e fuori fuoco, ma è soprattutto il colore ad avere un ruolo di grande importanza e in contrasto con l'idea che tutti abbiamo della morte.

Finchè avrai fiato e vita

Esiste un luogo, su questa Terra, in cui la Morte annuncia il suo arrivo, e, in un luminoso e caldissimo giorno d'estate, tocca a Satchè, un giovane senegalese che dopo aver trascorso un periodo negli Stati Uniti, è tornato nel suo paese d'origine per ritrovare i suoi affetti e i luoghi che gli appartengono. Quando apre gli occhi, al suo risveglio, Satchè si rende conto che c'è qualcosa nell'aria che gli fa capire chiaramente che la giornata che ha davanti a sé sarà molto particolare, perchè l'ultima della sua vita. E come lui, anche coloro che lo conoscono e gli vogliono bene, sanno che gli restano poche ore di vita, e gli si stringono attorno in un caloroso abbraccio, senza riuscire a frenare le emozioni contrastanti.

Presentato nella sezione competitiva della 62esima Berlinale, Aujourd'hui del regista francese Alain Gomis è il poetico racconto dell'ultima giornata vissuta dal suo protagonista, qui interpretato dal musicista americano Saul Williams, che nell'arco di poche ore saluta la gente del suo quartiere, si confronta con gli amici e conoscenti, il suo primo amore (interpretata da Aissa Maiga, che il pubbico italiano conosce per essere apparsa in Bianco e Nero della Comencini) e la sua famiglia. Un percorso d'addio che non ha nulla di funereo, ma inizia con una passeggiata per le strade del suo paese, che in breve si trasforma in un colorato e vivace corteo di gente che incontrando Satchè, lo segue unendosi agli altri e lo saluta con calore e regalandogli quello che ha da offrire, che si tratti di un paio di scarpe, del pane o fiori. Il tragitto prosegue poi con altri incontri, più o meno importanti, che nel loro insieme raccontano quella che è stata la vita di Satchè fino a quel giorno.
Per il suo terzo lungometraggio Gomis affronta un tema opposto a quello trattato nel suo esordio, L'Afrance (che trattava il tema dell'immigrazione) e lo fa raccontando di un uomo che torna in Senegal e si confronta nuovamente con la realtà locale, che si svelerà meno positiva di quello che ricordava quando era all'estero. Il lungo corteo che apre il percorso di Satchè si scioglie quasi subito per far spazio ad ulteriori incontri, fino alla fine della giornata, che l'uomo decide di trascorrere giocando con i figli, in giardino.
Per raccontare la storia di Satchè, il regista punta su una fotografia cromaticamente ricca e dettagliata, piena di luce, e giocata su primi piani ravvicinati e fuori fuoco, ma è soprattutto il colore ad avere un ruolo di grande importanza e in contrasto con l'idea che tutti abbiamo della morte, qui vista come qualcosa di invisibile e concreto che accompagna coloro che ci lasciano verso un altro percorso da intraprendere, e non come qualcosa di oscuro, di cui aver timore.

Alle sequenze più riuscite - tra cui quella già citata del corteo, così come quella che chiude il film - se ne allineano altre di impatto minore, dal punto di vista narrativo e scenico, ma nel complesso il film riesce a trasmettere l'inaspettata vitalità che il suo autore voleva dargli, sviluppandosi come un piccolo racconto poetico sulla morte e la vita.

Movieplayer.it

3.0/5