Figlio di un'insegnante di storia dell'arte, Stanley Tucci è stato immerso fin da piccolo tra quadri, sculture e biografie di artisti: non sorprende quindi che per il suo quinto film da regista abbia deciso di adattare un romanzo, , dedicato a un episodio della vita dell'artista svizzero Alberto Giacometti, interpretato dal premio Oscar Geoffrey Rush.
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Nelle sale italiane dall'otto febbraio, Final Portrait - L'arte di essere amici, racconta la genesi dell'ultimo ritratto realizzato da Giacometti, quello del critico americano James Lord, che ha il volto di Armie Hammer, ormai simbolo universale - grazie anche al film di Luca Guadagnino Chiamami col tuo nome - dell'ideale di bellezza a stelle strisce.
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Presentato fuori concorso al Festival di Berlino 2017, il film ha avuto una lunga gestazione, durata diversi anni, ed è l'occasione di Tucci per riflettere sul ruolo dell'artista. Occhi intelligenti, voce calma e un'eleganza che sottolinea con ampi gesti delle mani, abbiamo incontrato il regista e attore americano a Roma, dove ha presentato Final Portrait alla stampa italiana.
Ossessione che sfocia in neurosi e diversi punti di vista
Tucci ha raccontato che, quando aveva dodici anni, il padre lo portò a Firenze, e lo usò come modello per dei disegni: il regista ha potuto quindi basarsi su entrambi i punti di vista, quello dell'artista e del modello. Cosa ha imparato da queste esperienze? "È interessante questa cosa" ci ha detto, proseguendo: "perché ho preso anche lezioni di disegno: quando sei seduto lì a disegnare, più guardi una cosa più cambia mentre la guardi e contemporaneamente, se stai facendo un ritratto, anche la persona ti guarda e anche lei vede cose che non ha mai visto. Si crea una relazione nuova e silenziosa: dopo il mondo sembra diverso_".
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Giacometti ricomincia da capo il ritratto di Lord decine di volte, tanto da trattenere l'uomo a Parigi per ben diciotto giorni, invece dei due inizialmente concordati: anche i registi, a volte, corrono il rischio di fare sempre lo stesso film? "Sì a volte dobbiamo fare attenzione a non fare lo stesso film" ha detto Tucci, spiegando meglio: "Ci sono dei fili che legano i film di un regista, delle similitudini. È il motivo per cui i registi fanno tanti ciak. A volte però da qualcosa che è tecnico diventa una neurosi".
Ragionevoli dubbi e artisti che devono soffrire
Nel film Giacometti, nonostante il suo successo, afferma di avere dubbi sul suo lavoro: è questo che distingue una persona destinata alla gloria da chi invece non riesce ad affermarsi? Per Tucci: "Credo ci siano molte persone che non hanno dubbi e hanno un successo incredibile, ma vorresti che ne avessero! Fanno sempre la stessa cosa e non è poi così eccezionale. Ci sono persone che non hanno dubbi, hanno successo, e va bene così, e altre che hanno dubbi e comunque successo. Avere dubbi non è una cosa terribile: ti spinge a metterti in discussione, che è una buona cosa, a meno che non diventi un ostacolo e una spirale negativa. Devi sapere quando fermarti".
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Nella pellicola l'artista svizzero sembra molto egoista: è talmente preso dalla sua arte da dimenticarsi a volte come si trattano le persone. Perché spesso gli artisti hanno la fama di persone impossibili da trattare ma il pubblico è sempre pronto a giustificarli? "In Giacometti c'era senza dubbio dell'egoismo, ma non credo fosse una persona cattiva" ha risposto il regista, proseguendo: "Credo si sarebbe sentito in colpa facendo del male a qualcuno. Siccome gli artisti creano cose bellissime li perdoniamo, ma non dovremmo: non c'è motivo di essere una persona cattiva per creare. Si può essere creativi e gentili. Ci sono tante persone che sono davvero meschine e hanno molto successo e per qualche motivo pensiamo sia giusto: pensiamo sia normale se uno è un uomo d'affari. Perché? Perché si deve essere cattivi? È orribile! Si può essere concentrati e ossessionati da ciò che si fa, ma poi ricordarsi che si hanno dei figli". A proposito di cliché sugli artisti: si può essere veri artisti e contemporaneamente essere felici? In Final Portrait Giacometti parla di suicidio e di come si senta sempre infelice. Secondo Tucci: "Si può: ma non puoi essere felice tutto il tempo! Non è divertente. Tutti devono soffrire almeno un po'".