Festival di Berlino, l'incontro con la giuria della 62.ma edizione

Conferenza affollatissima per la giuria composta tra gli altri da Ashgar Farhadi, Charlotte Gainsbourg e Jake Gyllenhaal e presieduta da Mike Leigh; 'Col suo spirito la Berlinale sta sconfiggendo Hollywood', ha sentenziato il regista inglese.

Un plotone di registi e attori di prima classe per la giuria della 62° edizione del Festival di Berlino. Nel giorno di inaugurazione della kermesse teutonica, avvolta dal gelo ma non per questo meno affascinante, il presidente Mike Leigh, e i 'colleghi' che assieme a lui hanno il compito di assegnare l'Orso d'Oro 2012 hanno incontrato i giornalisti per una chiacchierata informale alla partenza di questa dieci giorni di immersione totale nel cinema. Al fianco del grande autore inglese sono scesi in campo il vincitore della scorsa edizione, l'iraniano Asghar Farhadi, che ha stupito il mondo con Una Separazione, il fotografo e regista Anton Corbijn, la musa di Lars Von Trier, la francese Charlotte Gainsbourg, l'interprete americano Jake Gyllenhaal, il regista François Ozon, lo scrittore algerino Boualem Sansal e l'attrice e cantante tedesca Barbara Sukowa. Più di 400 titoli inseriti nelle varie sezioni (la competizione è aperta dal transalpino Farewell My Queen di Benoît Jacquot, con Diane Kruger nei panni di Maria Antonietta) per una edizione che si annuncia ricchissima, pienamente 'sintonizzata' con quello che il direttore Dieter Kosslick ha definito 'Mondo in rivolta'. In accordo con il filo rosso della riflessione sul passato, sulle rivoluzioni che hanno segnato la storia umana, la giuria si è soffermata su diversi punti, alcuni dei quali, come quello relativo allo stato di salute del cinema internazionale, hanno dato vita ad un dibattito brillante e vivace.

Signor Leigh, primo giorno per la 62.ma edizione del Festival di Berlino, cosa può anticiparci su questa avventura che si appresta a compiere in qualità di presidente di giuria? Mike Leigh: Non possiamo naturalmente anticipare nulla in questa conferenza, vi basti sapere che noi cercheremo di avere la mente più aperta possibile. Al momento è inutile esprimermi, e parlo per tutti, in maniera adeguata su di un film, senza averlo visto nel modo più appropriato, cioè inserendo l'opera stessa in un preciso quadro politico, sociale ed artistico, cioè tenendo conto di tutte queste implicazioni. Se così non fosse falliremmo il nostro compito di giuria. E come ogni giuria che si rispetti, siamo al momento tutti d'accordo.

Può spendere però qualche parola sul Festival... Mike Leigh: Per l'esperienza che ho maturato in questi anni, frequentando tantissimi festival internazionali, tutti molto diversi fra loro, sono arrivato alla conclusione che Berlino sia uno di quelli che amo di più e ogni volta per me è quasi una festa. Amo questa rassegna per il suo spirito informale, per la gioia di vivere che sa far trasparire. Forse la sua magia è anche legata all'inverno, può darsi che in estate non ci sarebbe lo stesso risultato. E l'intensità dell'atmosfera si è ulteriormente rafforzata dopo la caduta del Muro. Qui c'è una vera celebrazione dei film ed è un grande onore presiedere la giuria.

Immaginiamo sia anche un onere non indifferente... Mike Leigh: Essere in una giuria è bellissimo perché riesci ad andare al di là del tuo punto di vista e soprattutto si possono vedere tanti film diversi fra loro ed è semplicemente bellissimo.

Siete tanti e di diversa nazionalità, in che lingua vi confronterete? Mike Leigh: Ci parleremo tutti in inglese e francese. Anche con Dieter ci parleremo tranquillamente in inglese, lingua che sa parlare in maniera fluente. E non potrebbe essere altrimenti se vorrò fare con lui delle discussioni di cinema un po' più sofisticate. Sebbene io abbia imparato il tedesco a scuola, il mio vocabolario è alquanto ristretto.

Ha già preparato un piano d'azione? Farete qualche tour della città? Mike Leigh: No, non gireremo per Berlino, ma mangeremo un sacco. Principalmente siamo qui per questo (ride).

Quando siete stati contattati per far parte della giuria, come avete reagito? Ashagar Faradi: Sono stato felice di essere stato chiamato, anche se all'inizio ho tentennato un po'. Avevo promesso a mia figlia che mi sarei fermati per qualche tempo, dopo aver viaggiato in lungo e largo per promuovere Una separazione. Poi però Dieter mi ha elencato i nomi degli altri giurati. Ne sono stato talmente affascinato che non ho potuto rifiutare.
Anton Corbijn: Figuriamoci, io sono un debuttante assoluto, sto appena muovendo i primi passi nel mondo del cinema. E' quasi come andare a scuola. E a proposito del mangiare un sacco, voglio aggiungere che il cibo a Berlino è ottimo.
Boualem Sansal: Mi sentivo un po' fuoriluogo in quanto scrittore, ma poi ho accettato perché penso che sia importante esprimere sé stessi fuori dalla propria patria e dal proprio ambito. Anche se in un certo senso, anche io ho a che fare con le immagini e le parole. Ma ho l'atteggiamento di chi sa che deve imparare molto.
Jake Gyllenhall: Non dirò molto perché penso che i nomi che sono al mio fianco spiegano più delle parole. Mike Leigh, poi, lo seguivo da quando ero un ragazzino. Quanto a Dieter, beh, il suo entusiasmo mi ha letteralmente conquistato.
Charlotte Gainsbourg: Non conoscevo Dieter di persona, ma non abbiamo faticato ad andare d'accordo. Che dire poi di tutti loro? Sono davvero elettrizzata per l'avventura che mi aspetta. Ho avuto da poco un bambino e non vedo l'ora di ricominciare a vedere film.
Francois Ozon: Non è un lavoro che faccio spesso quello di giurato, ma si dà il caso che avessi del tempo libero, visto che sto completando il montaggio di un film e allora ho colto la palla al balzo. Essere da questo lato della 'barricata' mi intriga.
Barbara Sukowa: In effetti quando hai molto tempo a disposizione ti chiamano da un sacco di festival. Che dire, stimo Dieter e tutti i membri della giuria sono in cima alla classifica delle mie preferenze cinematografiche.

In qualità di giurati di un festival internazionale, qual è secondo voi lo stato di salute attuale del cinema? Mike Leigh: C'è il buon cinema e c'è Hollywood. Fortunatamente in questo ultimo periodo, e lo dico con orgoglio da cineasta europeo, e come presidente di giuria di un festival europeo, lo strapotere di Hollywood si sta lentamente sgretolando. Questo anche grazie alla vetrina che offrono rassegne come Berlino, Cannes e Venezia. Sono anche molto felice che negli Stati Uniti si stia rafforzando il lavoro di autori indipendenti. Credetemi, se steste al mio posto, capireste quanto sia difficile competere con certi concorrenti.
Barbara Sukowa: Aggiungo, per quanto concerne la mia esperienza, che tanti giovani registi tedeschi, per lungo tempo, hanno imitato lo stile di registi americani. Ora non è più così.
Francois Ozon: Non solo, ma le nuove tecnologie aiutano i giovani cineasti a lavorare con piccoli budget e questo li aiuta ad emergere e a farsi notare. In Francia noi abbiamo la fortuna di vedere distribuiti tantissimi film, quindi, sì, il mercato è dominato dal cinema americano, ma ci sono anche degli esempi virtuosi.

Sentite in un certo qual modo il peso di poter decidere le sorti 'artistiche' di un giovane regista? Mike Leigh: Ho partecipato ad un sacco di Festival. Ho ricevuto dei premi, così come è successo il contrario, quindi sì, sento forte la responsabilità che mi deriva dal fatto di dover decidere del futuro di un'opera, le nostre scelte possono avere delle conseguenze, ma tutti i registi in gara sanno che noi stiamo dalla loro parte, facciamo tutti parte di un grande gruppo.
Barbara Sukowa: Ma certo che sento la responsabilità. Fortunatamente Mike ci dice sempre di mantenere un atteggiamento flessibile e di avere una mente aperta, lasciando da parte ogni pregiudizio. Certo, siamo umani quindi è normale che ci siano delle discussioni, ma confrontarsi è importante.

Signor Farhadi, lei ha vinto lo scorso anno con Una separazione. La vittoria ha avuto delle conseguenze positive per il suo Paese? Ashgar Farhadi: Quando ho vinto l'Orso d'oro lo scorso anno sono stato felicissimo proprio perché il premio mi ha dato l'opportunità di far vedere il mio film fuori dai confini dell'Iran, dove peraltro hanno gioito molto per il riconoscimento.