Il mondo politico e sociale sudamericano resta un luogo la cui realtà viene spesso distorta in Europa. Pesa, in tal senso, ovviamente, l'intromissione pluri-secolare delle potenze occidentali, fino alle pesanti colpe degli Stati Uniti che, in particolare negli anni '70, sono intervenuti appoggiando ora l'uno, ora l'altro dittatore pronto ad effettuare il rituale colpo di Stato. La storia della Bolivia in tal senso non fa eccezione e, solo di recente, con la figura di Evo Morales - il primo presidente indio nella storia del paese che proprio in questi giorni è stato eletto per la terza volta - sembra essersi profilata una svolta.
Morales ha costruito negli anni la sua leadership come sindacalista del movimento cocalero, i coltivatori della coca che in Bolivia viene usata per motivi medicinali, oltre che essere considerata una pianta sacra; costoro si oppongono fermamente al desiderio statunitense di bloccarne la coltivazione. Su questo ed altri argomenti scottanti relativi al paese sudamericano che prende il nome da Simon Bolivar prova a dire la sua Ferdinando Vicentini Orgnani - già autore di Vinodentro - che in Un minuto de silencio racconta l'altra faccia di Morales, una faccia repressiva e violenta. Il regista è venuto alla Casa del Cinema a Roma per presentare il film, in uscita a novembre.
La nascita di Un minuto de silencio
L'idea di Un minuto de silencio nasce cinque anni fa, come ci racconta Vicentini Orgnani: "Avevo finito da poco la produzione esecutiva di Viva Zapatero! di Sabina Guzzanti e mi era capitato di conoscere la moglie di un attore croato mio amico, Rade Serbedzija. Lei è di origini boliviane ed è la nipote di Gonzalo Sanchez de Lozada [presidente della Bolivia nell'arco di due mandati, dal '93 al '97 e dal 2002 al 2003, n.d.r.]. Mi chiese perciò se avessi voglia di fare un documentario su suo zio. Io ritengo che girare film sia anche un modo per conoscere meglio il mondo e, non a caso, ho girato diversi documentari in Sud Africa o anche negli USA; perciò ho deciso di accettare. Mi interessava in particolare questa figura di potente decaduto, che era quella di de Lozada per l'appunto. Però, anche se ha accettato di farsi intervistare, lui non se la sentiva di essere il protagonista di questo film. Quindi ho deciso di allargare il discorso, mettendomi a raccontare quanto stava succedendo in Bolivia, dal momento in cui era salito al potere Evo Morales, che è stato eletto la prima volta nel 2006. Perciò è andata così".
Posizioni politiche e controversie
Visto che lo spunto iniziale del film è arrivato attraverso l'avvicinamento ad un oppositore politico di Morales, viene da pensare - anche in base al modo estremamente negativo in cui viene descritto l'attuale presidente boliviano - che Vicentini Orgnani sia partito da posizioni parzialmente prevenute e ostili nei confronti del leader politico sudamericano. Ma il regista ci assicura che non è così: "No, assolutamente. Le due cose non sono in relazione, anzi. Nel corso di questi cinque anni ho potuto assistere al modo in cui è scemata la partecipazione politica dei cittadini. Appena arrivato per la prima volta in Bolivia, ricordo una manifestazione di piazza con ben due milioni di abitanti, tutti lì a festeggiare Morales. E sono numeri impressionanti, visto che la popolazione complessiva di questo paese conta appena dieci milioni. Ma, poi, pian piano, le cose sono cambiate ed è venuta fuori l'altra faccia del potere, quello repressivo". Sta di fatto che Morales ha vinto per la terza volta consecutiva le elezioni con quasi il 60% e che le condizioni economiche del paese sono nettamente migliorate da quando lui è al potere. "È vero - ci dice il regista - ma questo non significa che il suo esercizio del potere non si possa definire una dittatura soft. Morales ha adottato una nuova Costituzione, riconoscendo la natura di Stato pluri-nazionale della Colombia con la sua molteplicità di popoli indigeni, ma l'approvazione di una neonata carta costituzionale gli ha anche permesso di essere eletto una terza volta, cosa che altrimenti non sarebbe stata possibile. Inoltre, è ancora in corso la querelle intorno al Tipnis, un parco nazionale boliviano in cui il governo vorrebbe costruire un'autostrada. Questo è, del resto, il finale del documentario, perché mi sembra l'elemento che, anche per via della repressione della polizia, meglio di altri possa riuscire a dimostrare come sia cambiata la gestione del potere di Morales. Senza parlare poi del suo stretto legame con i cocaleros...".
Con o senza Morales
Pur avendo al centro la figura di Evo Morales, Un minuto de silencio vede apparire solo in un paio di momenti il leader politico boliviano, ripreso nel corso di un incontro governativo. "Questo è successo - ci dice Vicentini Orgnani - perché Morales ha sempre rifiutato di incontrarci. Per ben quattro volte eravamo riusciti a organizzare, poi lui si è rifiutato. È successo una volta anche quando era qui a Roma". Nel film compare però il vice-presidente Alvaro Garcia Linera, presente quasi esclusivamente nella prima parte di Un minuto de silencio, quella meno critica nei confronti di Morales. Come mai Linera non appare anche nell'ultima parte, quella in cui si affrontano i temi più 'caldi', come ad esempio il discorso sulla coca e sul narcotraffico e quello delle proteste relative all'autostrada nel Tipnis? "Perché Linera su questi argomenti non ci ha voluto rispondere". Morales però è presente, come voce, all'inizio e alla fine del film quando chiede un minuto di silenzio per tanti rivoluzionari che hanno combattuto contro il potere coloniale. "Sì, ho deciso di mettere una parte di questo discorso, ripetendolo all'inizio e alla fine, perché volevo dimostrare quanto fosse nascosto dietro quelle parole, volevo far vedere l'altra faccia della gestione della propaganda politica. Magari mi potete dare del conservatore che rimpiange le dittature sudamericane degli anni '70, ma vi assicuro che non è così. Le cose sono molto più complesse di quanto non sembri vedendole dall'Italia".