Federico Rizzo presenta Fuga dal call center

Presentato a Roma un piccolo film indipendente che, al pari di 'Parole sante' del sempre più impegnato Ascanio Celestini, potrebbe diventare un caso, visto il modo ironico e pungente con cui vengono evocate le condizioni di sfruttamento nei call center.

La Fuga dal call center ha fatto tappa a Roma, dove in uno storico cinema di Trastevere questo piccolo, coraggioso film italiano è stato presentato alla stampa. Vista l'usuale concomitanza di altri eventi cinematografici decisamente più pompati, i giornalisti che hanno seguito la proiezione non erano particolarmente numerosi; ma come si è notato al riaccendersi delle luci in sala e nel corso della successiva conferenza stampa, un clima di generale condivisione si è stabilito tra i presenti, lasciando intendere tutto l'apprezzamento per la pellicola indipendente firmata da Federico Rizzo, che tra l'altro in un call center ci ha lavorato davvero, per diversi anni.
Oltre al giovane regista sono intervenuti alla presentazione un nome importante del cinema italiano, ovvero il direttore della fotografia Luca Bigazzi, gli attori Angelo Pisani e Isabella Tabarini, il produttore Gianfilippo Pedote, ed un altro interprete del film, Peppe Voltarelli, che insieme ad artisti del calibro di Caparezza, Tre allegri ragazzi morti e Le luci della centrale elettrica figura tra gli autori della colonna sonora. Sentiamo pure cosa ci hanno raccontato i protagonisti di questo lavoro caratterizzato da un basso budget, ma da alto impegno umano e professionale.

Le testimonianze della vita nel call center filmate in bianco e nero sono interviste a persone che ci hanno lavorato realmente, oppure no?

Federico Rizzo: Sono testimonianze assolutamente reali, siamo partiti da Milano e abbiamo fatto un giro attraverso l'Italia toccando città come Torino, Roma, Brindisi, tutti luoghi dove in cui abbiamo posto annunci su pubblicazioni che facevano al caso nostro, come la locale free press, per cercare persone che avessero voglia di parlare della loro esperienza. Le interviste si sono poi tenute in luoghi neutri, ad esempio le sedi di determinate associazioni culturali. Il fatto è che ho lavorato per tre anni in un call center, ma realizzando questo film non volevo arrogarmi il diritto di rappresentare l'intera questione in base alle mie esperienze personali, volevo invece che ne risultasse una pluralità di punti di vista.
Ci tenevo, inoltre, che Fuga dal call center si sviluppasse come un film, fresco, spontaneo, quasi un "istant movie", tant'è che abbiamo scelto sin dall'inizio di rinunciare a una sceneggiatura classica, preferendo lavorare diversamente.

Come nasce invece la collaborazione con Luca Bigazzi?

Luca Bigazzi: Per quanto mi riguarda posso semplicemente dire che la collaborazione nasce da una lettera che Federico mi ha mandato, spiegandomi a grandi linee questo suo progetto, al quale mi sono subito appassionato

Federico Rizzo: Il fatto che Luca Bigazzi abbia accettato di partecipare al nostro film senza starci troppo a pensare e quasi gratuitamente ci ha dato grande fiducia, tra l'altro mi era piaciuto moltissimo un suo lavoro come direttore della fotografia, Mobbing - Mi piace lavorare, soprattutto per l'uso della macchina a mano che si vede lì.
Per il film che volevamo realizzare abbiamo lavorato di comune accordo su un'idea di buio esistenziale, puntando molto nella prima parte sull'ironia; la parte che si sviluppa dopo vuole essere più simbolica, tant'è che tende decisamente verso l'onirico; mentre la parte finale è molto asciutta, dovendo condurre a riflessioni come quelle sulla famiglia, un argomento sempre all'ordine del giorno per i nostri politici, visto però secondo un'ottica differente.

Pare che in un film del genere, che dedica tanta attenzione alle figure dei giovani arruolati nei call center, non ci sia quasi traccia di genitori e sindacati... come mai?

Federico Rizzo: Nella realtà quello che colpisce è proprio l'assenza dei sindacati, del resto abbiamo realizzato Fuga dal call center a prescindere dall'intervento della CGIL, che poi ha anche accettato di aiutarci, come per riflettere sulle proprie mancanze.
C'è un vuoto, a livello di tutela sindacale, quando io nella mia esperienza ho potuto assistere a cose atroci: a partire da certi "tutor", che io chiamo l'evoluzione lampadata del vecchio capoturno; per non dire dei comportamenti vergognosi verso giovani donne, magari madri di famiglie, sottoposte a spietate forme di mobbing.
In tutto questo abbiamo scelto volutamente di concedere poca visibilità alle figure dei genitori, anche perché in fondo il loro ruolo è stato finora quello di ammortizzatori sociali, che però faticano sempre di più ad assolvere a tale funzione, nonostante le discutibili opinioni in materia di chi ci governa. Piuttosto abbiamo volute mettere in evidenza i nonni, anche perché si assiste ora il paradosso di una generazione ancora precedente che può permettersi di fare certe cose, che forse saranno precluse a quella attuale, dal futuro sempre più incerto

Gianfilippo Pedote: Il film propone l'attrito tra due epoche, tra due mondi che fanno fatica a comunicare, come dimostra un momento molto intenso che è quello del furto al supermercato, con in primo piano la ragazza e il vigilante di mezza età, che ha lavorato per anni all'estero. Lì si trovano di fronte un mondo di matrice proletaria e una realtà nuova, ovvero due mondi tra cui non c'è comprensione, ma tra i quali si sviluppa almeno un'apertura, guarda caso a livello di base e di una solidarietà la cui assenza, durante il racconto, si fa sentire pericolosamente.

Sempre al produttore vorremmo chiedere qualche considerazione sul budget che il film ha avuto a disposizione e sull'uscita in sala.

Gianfilippo Pedote: Non ci siamo appoggiati alle televisioni e questo è un vero film indipendente, esiste perché vi era una forte volontà di farlo. Cinque piccole produzioni, tra cui la Gagarin qui rappresentata da me, si sono unite per sostenere il progetto. Fuga dal call center uscirà poi in una quindicina di copie, anche a Roma dove il film, per cominciare, potrà essere visto al Metropolitan.
Pur non essendoci in partenza grandi pretese commerciali, le aspirazioni non mancano, visto che al centro c'è un progetto in cui abbiamo creduto molto. Sullo sfondo vi è infatti l'esposizione, la componente di rischio da parte di piccole produzioni come la nostra, che si sta specializzando nell'esordio di autori giovani e promettenti; registi per cui il primo lungometraggio è già il coronamento di un percorso iniziato con altri lavori, ad esempio cortometraggi. Ricorderete probabilmente Fame chimica, un altro film che abbiamo prodotto qualche anno fa...

Per quanto riguarda invece le musiche, ci piacerebbe invece sapere come sono stati coinvolti artisti come il qui presente Voltarelli o come Caparezza, un altro da sempre proiettato verso il sociale.

Peppe Voltarelli: Nel vedere il film stamattina per la prima volta ho avuto l'impressione che i momenti ironici, divertenti, compensino in qualche modo quella la grande amarezza di fondo. La precarietà sperimentata da chi lavora ai call center si rispecchia del resto in tante altre forme di precarietà, da cui non è certo immune l'universo musicale.
Da parte mia sono orgoglioso di essere stato chiamato in causa, sia come interprete che come cantante, in un film che vede rappresentata una scena musicale reale, autentica, attraverso artisti come Caparezza, i cui concerti si susseguono da anni raccogliendo un pubblico estremamente partecipe; o come i Tre allegri ragazzi morti; o come Le luci della centrale elettrica, uno dei fenomeni più nuovi e interessanti, con un cantante che è stato già paragonato a Rino Gaetano o ad altri grandi della musica italiana.