Lo spirito noir, declinato in una variante locale, di una serie come Romanzo criminale - La serie ha evidentemente lasciato il segno nei telespettatori italiani e più in genere nella produzione di fiction. La fortuna della serie dedicata alle gesta della Banda della Magliana ha spianato la strada ad alcuni prodotti analoghi, che raccontano la storia del nostro paese puntando sullo stesso, felice intreccio di cronaca giudiziaria e fiction: tra questi, spicca sicuramente questo Faccia d'angelo, storia romanzata di quella Mala del Brenta che insanguinò il Veneto dalla metà degli anni '70 fino a tutto il decennio successivo. Quello diretto da Andrea Porporati è in realtà un film televisivo in due parti, che saranno proposte da Sky Cinema 1 rispettivamente nelle serate del 12 e 19 marzo; un prodotto ispirato al libro di Andrea Pasqualetto e Felice Maniero Una storia criminale, che tuttavia, come ha tenuto a precisare il regista, non si propone di raccontare la reale storia della banda guidata da Maniero. Piuttosto, lo scopo del regista è illuminare la realtà di un territorio ricco e progredito, nel periodo della sua massima floridità economica, in cui prospera e vive un'esperienza criminale di inedita ferocia; una vera e propria mafia del nord, gestita da un leader che attira su di sé la luce dei riflettori con un fascino e un carisma tale da colpire, in modo duraturo, l'immaginario collettivo.
Del film e delle sue implicazioni hanno parlato, in un'affollata conferenza stampa, il regista, il protagonista Elio Germano e l'interprete di sua madre Katia Ricciarelli, la produttrice Gabriella Buontempo e i responsabili di Sky Nils Hartmann e Roberto Amoroso."Abbiamo voluto affiancare a dei grandi talenti un cast di giovani meno conosciuti", ha detto Hartmann. "E' questa la nostra politica. Inoltre, era interessante che la storia fossa ambientata in una zona particolare come il Veneto". Amoroso ha aggiunto: "Si tratta di un film con elementi di genere, ma che contiene anche momenti più personali e originali. La responsabilità di ciò è sia di Elio che del regista."
"Per me è stata una bella proposta", ha ammesso Germano. "E' una storia emblematica, non solo la storia di un criminale. E' un film su una patologia, che è quella della nostra epoca storica, nata negli anni '70 e '80: quella del seguire a tutti i costi il successo e la supremazia territoriale, quella del primeggiare. Il percorso è quello di un personaggio che si riduce a vivere in un mondo di tristezza e solitudine; un percorso che ho trovato interessante sia da interpretare che da raccontare agli spettatori. Partendo dalla storia di Felice Maniero, il primo lavoro è stato quello di informarsi, attraverso materiale audio-video ma anche atti processuali; poi ho voluto staccarmi da lui e giocare soprattutto sull'immaginario che lui ha lasciato nella gente. Non racconto lui, i fatti sono stati un po' romanzati; ho creato piuttosto un personaggio che rimandasse a lui attraverso il modo in cui la gente lo ricordava. Mi sono dovuto preparare col dialetto, e lì mi hanno aiutato anche i ragazzi che interpretavano gli altri ruoli: abbiamo dovuto trovare una mediazione tra l'italiano e il veneto stretto". A prendere la parole è stata poi Katia Ricciarelli: "Per me l'approccio linguistico è stato più semplice, ovviamente. Era bello, comunque, palare con Elio in veneto, perché dava un bel senso di intimità tra me e lui. Io ho vissuto quegli anni e me li ricordo, volevo dare al personaggio ciò che di umano e tenero deve avere una madre nei confronti di suo figlio, a prescindere dal fatto che sia un criminale."
"Non conoscevo la storia nel dettaglio", ha dichiarato Andrea Porporati. "Ne avevo solo sentito parlare da ragazzo, ma quando Gabriella Buontempo e Massimo Martino me l'hanno proposta, l'ho trovata subito una storia straordinaria. Ho raccolto una rassegna stampa parziale, e ho visto che era una storia che rompeva i cliché sulle mafie: questa era una mafia composta esclusivamente da veneti, in una delle zone più ricche del nord Italia. Inoltre, questa mafia che controllava le attività criminali nel nord est oggi non esiste più: è stata sgominata completamente, caso praticamente unico tra tutte le mafie del nostro paese. Un altro motivo di interesse per la storia era il fatto che tutta l'organizzazione ruotasse intorno a una figura di gangster imprenditore: un uomo che fin da bambino cercava di essere il migliore, di primeggiare, che viveva il mito del successo in modo così totale da aver l'impressione di poterlo gestire, di poter fare colpi perfetti, senza spargere una goccia di sangue. Si accorgerà poi che non è così, che il sangue viene sempre versato, e che quel 'successo' ti distrugge, colpendo persone innocenti ma anche la tua stessa vita e la tua famiglia."
Anche Gabriella Buontempo si è dichiarata soddisfatta del risultato: "E' stata una felicissima esperienza, ma soprattutto un felice connubio con Sky: avevamo una linea editoriale condivisa, con l'idea di poter coinvolgere attori locali, mantenendo così un'autenticità nel raccontare la storia". Qualcuno suggerisce un parallelo del film con recenti prodotti ispirati a figure di criminali come Carlos e Nemico pubblico n°1 - L' istinto di morte. "Alcuni di questi film ci hanno influenzato, sì", ha ammesso Porporati, "ma comunque il gangster movie è un genere molto antico, una tradizione cinematografica di cui io sono appassionato. Questa storia aveva comunque caratteristiche provinciali, legate al territorio, e poco raccontate dal cinema italiano; anche il veneto, come dialetto, sembrava scontrarsi con una storia di gangster. Si chiama Faccia d'angelo ma poteva anche intitolarsi Schei, che in veneto significa soldi: i soldi, in questo film, contano più del potere vero e proprio. E' un discorso che riguarda non solo i criminali."
Germano ha aggiunto: "L'aspetto del criminale che appare quasi come una rock star è sicuramente interessante. Io ho insistito molto sul look, sul sorriso, il mio è un criminale affascinante e soprattutto un imprenditore: una persona rispettabile, di cui tutti si fidano e che convince tutti. Il rapporto con la madre è il primo specchio per il suo proposito impossibile di fare tutto in modo pulito. La sua è un po' una scalata al successo, come quella di un musicista che vuole diventare famoso o quella di un attore. Nel momento in cui incontra una donna con cui avere un rapporto vero, però, si crea una prima crepa attraverso cui si snoda poi il dramma e la successiva caduta." Qualcun altro ricorda ad attore e regista le parole del vero Felice Maniero, che dopo la visione del promo ha polemizzato duramente contro il film ("E' una visione distorta della malavita, non è così che si comporta un malavitoso", ha dichiarato Maniero. "Questa è solo una misera fiction da cassetta"). "Ma noi non volevamo raccontare la sua vita", ricorda Germano. "Se avessi interpretato un biopic sarei andato a cercarlo per parlarci, ma non l'ho fatto. Per me questa è una storia parallela, la sua storia è stata un po' un escamotage per raccontare altro. Certo, un po' il suo pensiero mi incuriosisce, ma è solo curiosità personale. Capisco che qualsiasi persona viva con difficoltà il fatto di vedersi rappresentata sullo schermo, ma non è una biografia, ripeto che il mio scopo non era interpretare lui, quanto piuttosto giocare con l'immaginario".
"Tra l'altro", ha aggiunto il regista, "la sua dichiarazione parte dalla visione di un semplice promo, dovrebbe casomai vedere il film intero per parlarne. Ho sentito anche che si sarebbe preoccupato che il film possa dare di questo criminale un'immagine positiva, che ne faccia un modello: voglio rassicurarlo sul fatto che non è assolutamente così."
"Sono polemiche inutili", ha concordato la Ricciarelli, "come se ne fanno in ogni occasione, Sanremo compreso. Mi piacerebbe però sapere anche cosa pensa la vera mamma di Maniero, mi piacerebbe tanto parlarci. So che era una persona molto 'attiva', un bel tipino, ma capisco che vivere un'esperienza del genere dev'essere stato doloroso per lei."