Amare così tanto il cinema da non volere che l'emozione di un film finisca troppo presto. Che, quell'unica, indimenticabile prima volta in cui si vede un film tanto atteso, non si esaurisca nelle canoniche due ore ma vada avanti il più possibile. Come? Fermando il nastro e riavvolgendolo, tante volte, per non arrivare troppo presto al finale. Ce lo ha raccontato Fabio Guaglione, che, in coppia con Fabio Resinaro, ha firmato la regia di Mine e la sceneggiatura e la produzione di Ride. Fabio e Fabio sono tra i registi italiani più promettenti della loro generazione, anzi sono già una certezza. E allora abbiamo deciso di dedicare a Fabio Guaglione il nuovo appuntamento di MovieTalk, uno spazio in cui vogliamo parlare di che cos'è, cos'è stato, cosa rappresenta oggi il cinema per chi ogni giorno lo fa. Abbiamo deciso di parlare con gli artisti, registi, attori, sceneggiatori per capire da dove sia nato il loro amore per il cinema, come quella passione sia diventata un lavoro, e cosa voglia dire per loro il cinema oggi. Perché i registi, prima di tutto, sono spettatori. E allora ci capita spesso di trovarci sulla loro stessa lunghezza d'onda. Pensateci: è capitato anche a voi di guardare un film e volere che non finisse troppo presto?
MovieTalk. Marco Ponti e il cinema: un amore nato da Spielberg
Da La carica dei 101 alla 'sacra triade' di Fabio Guaglione
Fabio Guaglione, classe 1981, ha vissuto quell'era in cui il cinema, inteso come esperienza, in sala, era ancora un evento da vivere pienamente. "Ricordo ancora la prima volta che i miei mi hanno detto: oggi andiamo al cinema" rievoca Guaglione. "È una cosa dove tante persone insieme vedono contemporaneamente un film, vedrai, è molto grande, mi dissero. E siamo andati a vedere La carica dei 101". La passione con il cinema è scattata immediatamente. "Da quel punto lì io chiedevo sempre di andare al cinema" ci racconta il regista. "E la domenica era diventato un rito che mio padre, che in settimana vedevo poco perché lavorava, mi portasse al cinema. Essendo bambino l'ho trascinato a vedere cose di cui, ancora oggi, si lamenta, cose tipo Tartarughe Ninja e Labyrinth". Ma in quegli anni, in cui la sala era ancora un'emozione unica per gli spettatori, iniziavano ad arrivare anche i primi sistemi di home video. "Nonostante la fortissima sensazione della sala, però, devo dire che da piccolo ho visto tantissimo cinema con le VHS" precisa il regista. "Sia registrando i film e consumando all'infinito le cassette, sia noleggiandole. L'altro grande step, da piccolo, fu: hanno aperto le videoteche. È stato il delirio. Ricordo ancora quando ho affittato TRON". Fabio Guaglione ha una "sacra triade" di film che l'hanno segnato da bambino. "Sono film che mi hanno dato anche un certo imprinting nel modo di raccontare le storie: sono Ritorno al futuro, Ghostbusters - Acchiappafantasmi e Grosso guaio a Chinatown. È un film assoluto. Ovviamente poi c'è stato Steven Spielberg, e ci sono stati David Fincher e Christopher Nolan. Ero diviso tra la potenza della sala e la dimensione casalinga, in cui ti potevi riguardare un film e studiarlo".
Ghostbusters II e il sogno di un film che duri all'infinito
Ma quali sono stati i momenti più emozionanti, le scene chiave che Guaglione ricorda di aver vissuto al cinema? "I momenti forti che ricordo in sala sono quello in cui si alza il brontosauro di Jurassic Park e il momento in cui a un tratto ti trovi dentro al bozzolo da cui esce Neo in Matrix e ti rendi conto che la realtà è tutta una finzione" ci racconta. Ma il cinema era vissuto anche a casa, dove c'era la possibilità di "comandare" la visione di un film. Ed è in questo modo che è avvenuto il bellissimo episodio di cui vi raccontiamo in apertura di questo articolo. "Avevo videoregistrato Ghostbusters II e l'ho visto il giorno dopo, per la prima volta" racconta divertito Fabio Guaglione. "Volevo che non finisse mai... allora guardavo un'ora di film, lo stoppavo e tornavo indietro di venti minuti. Andavo avanti, stoppavo e e tornavo indietro per non arrivare subito al finale". In questo modo si creava una visione infinita, una sorta di binge watching sui generis. "Per vederlo ci ho messo un pomeriggio intero, volevo davvero che non finisse mai" continua il regista. "Sapevo che sarebbe stata la prima volta che avrei visto quel film, e la prima volta è solo una. E volevo che questa esperienza non finisse mai".
Ride e il rapporto tra cinema e videogiochi
Matrix: cinema e filosofia, allora si può fare!
Come avete letto, abbiamo parlato di Matrix come una delle scene più emozionanti viste al cinema. Ma Matrix è stato anche molto altro, anche il momento in cui Fabio Guaglione, e Fabio Resinaro, compagni di liceo, hanno capito una cosa importante. "Quando siamo andati a vedere Matrix è stata una bella botta" ricorda Guaglione. "È stato il film che ci ha fatto dire: ma allora si può fare un film che unisca l'action alla filosofia, gli Stati Uniti al manga giapponese. Da lì è iniziata". Ma quando hanno capito che il cinema sarebbe diventato il loro lavoro? "Ancora non me ne sono reso conto" si schernisce il regista di Mine. "Mi sono reso conto che alcune cose sono andate bene e mi continuano a piacere. Mine è diventato un piccolo classico, continuano ad arrivarmi testimonianze. Offre spunti di riflessione individuale, ognuno ci vede il suo, sui social è facile contattarci: succede che ci scrivano e ci raccontino storie molto intime e toccanti, che fanno impressione. Diciamo che non ho capito che è un lavoro, ma ho capito che ha un senso. E allora, se ha un senso, stiamo provando a continuare a farlo".
Fabio Guaglione e Fabio Resinaro, registi complementari
Ma come mai Fabio e Fabio hanno deciso di lavorare in coppia, in un cinema, come quello italiano, in cui l'autore è spesso un artista solitario? "È stato naturale, siamo molto diversi umanamente e per competenze" ci racconta Fabio Guaglione. "Il risultato delle due sensibilità sommate era più interessante del lavoro dei singoli". "Abbiamo scelto di non fare nessuna scuola di cinema, abbiamo deciso di iniziare a fare un corto e vedere come andava. Abbiamo usato il digitale, che all'epoca era agli albori. Era un corto di fantascienza, una cosa abbastanza folle". Ricorda il regista di Mine. "Lui storicamente è sempre stato più un tecnico, ha sempre parlato più con il direttore della fotografia, ha giocato con le macchine da presa e con i software di compositing. Io magari sono sempre stato più con gli attori e mi sono occupato della visione di insieme, e del montaggio. Mentre giriamo lui sta in camera e io al monitor per vedere l'effetto. In realtà c'è una confluenza. Una volta che in preparazione si studia bene il film, le divisioni diventano un fattore di praticità. In due vai più veloce, è come se ci fossero una mente e due corpi. E permette più attenzione; mentre uno nota come l'attore dice una battuta, l'altro dice come la luce rifrange sul muro". La cosa bella dei due artisti è che si completano ma prendono anche le loro strade: Fabio Resinaro ha girato un film da solo, Dolceroma, Fabio Guaglione ha scritto un libro, così ognuno può far uscire fuori anche alcuni lati più personali, "Per citare Ghostbusters, ci siamo divisi per fare più danno".
L'idea di factory
La cosa bella di Fabio e Fabio è la loro visione del cinema. Non solo lavorano in coppia, ma sono una vera e propria factory in cui collaborano con altri talenti. Ride, ad esempio, è scritto e prodotto dai due, ma è diretto (mirabilmente) da Jacopo Rondinelli. "A me interessa il discorso della factory" ci dice convinto Guaglione. "Credo che il cinema italiano debba diventare più un cartello, un movimento, autori che fanno cose diverse ma che si intersecano. Per questo motivo siamo spesso a contatto con altri registi, altri sceneggiatori. Mi piace dirigere solo alcuni tipi di cose, e mi presto a scrivere altre cose. Mi piace l'idea di factory perché permette di fare più cose contemporaneamente, e cose diverse". "La cosa che mi piace di me e Resinaro, Manetti, Rovere, Garrone, Sollima è che se guardi bene ognuno sta facendo cose diverse: non ci sono due autori che fanno la stessa cosa, ognuno sta prendendo una strada molto distinta" spiega il regista. "Per noi Ride è come un colpo di scena alla Shyamalan: che cosa fanno dopo Mine? Producono un film. E dopo? Ride è veramente una factory, è sfociato anche in un libro". La cosa che ci piace, di un progetto come questo, è un'altra cosa, solitamente molto poco italiana. Ride è un caso Transmedia storytelling, un fllm che non vive solo in quelle due ore ma crea un mondo che vive su altri media, come il fumetto o il gioco da tavolo. "Secondo me funziona molto" riflette Fabio Guaglione. "Certamente il pubblico italiano va educato. E non è semplice. Bisogna lottare insieme a produttori, distributori e al marketing. Serve trovare il pubblico giusto. Alcune cose è bene che vadano direttamente in streaming, è una cosa che per la serialità sta funzionando bene. Vedo una generazione di autori, e professionisti, che ha molto da dire".
Steven Spielberg, Alfred Hitchcock e Stanley Kubrick
Cosa piace a Fabio Guaglione, quali sono i suoi capisaldi? "Nel bene e nel male sono onnivoro" ci risponde. "Basta che le cose siano fatte bene. Mi nutro di quasi tutte le forme di comunicazione narrativa, romanzi, fumetti, videogiochi, film serie. Il problema è il tempo. Ho finito da poco la terza stagione di Twin Peaks". "Amo il cinema americano anni Ottanta e Novanta. Steven Spielberg è il più grande regista che sia mai esistito, assieme ovviamente a Stanley Kubrick e Alfred Hitchcock. E poi David Fincher" continua. "Per quanto riguarda le serie tv, credo che Lostabbia cambiato tutto, e lo abbia cambiato per sempre. E che Breaking Bad sia un'altra cosa da erigere nell'Olimpo. Tra i fumetti, da piccolo Dylan Dog mi ha aperto la testa, l'horror e le contaminazioni americane arrivavano in Europa: ha introdotto un nuovo modo di raccontare, attraverso il montaggio e l'approccio realistico".
Come guardare i film e le serie tv?
Ma qual'è il modo di consumo delle serie tv e dei film di Fabio Guaglione? Come li guarda, sala, dvd, piattaforme di streaming o le tivù satellitari? "Sono un po' vecchio" ci risponde. "Ho pile di Blu-ray, vado sempre in sala quando riesco, e non ho ancora fatto nessun abbonamento a piattaforme video, ho solo Prime Video perché sono abbonato ad Amazon Prime, dove ho visto la serie tv Il Cacciatore, che mi è piaciuta molto, un'eccellenza italiana". "Il punto è che non ho tanto tempo di vedere cose". Il discorso, allora, è scivolato sulla troppa offerta dei nostri giorni, delle serie tv che a volte durano troppo) (ne abbiamo parlato qui qualche mese fa, e della troppa facilità con cui si trovano le cose. "È un po' un discorso da vecchi, vuol dire che niente ha più valore" commenta Guaglione. "Prima un filmaccio introvabile un amico te lo registrava, ti veniva spedito da lontano, oggi si trova e si fruisce tutto troppo facilmente".
Il Guaglione scrittore: La fondazione immaginaria
Lo sceneggiatore è ovviamente anche scrittore, ma l'uscita del primo romanzo di Guaglione, IF. La Fondazione Immaginaria, è stato un altro colpo di scena. "Mentre postproducevo Ride, di notte, con il coautore, Maurizio Temporin, andavo avanti a scrivere" ci spiega. "Sto cercando di pubblicare un fumetto, anche i libri fanno parte del mio mondo". "IF. La Fondazione Immaginaria racconta una storia abbastanza semplice, nella premessa, mentre lo svolgimento è complesso" ci racconta l'autore. "La premessa è che tutto quello che immaginiamo, a seconda della chiarezza con cui lo visualizziamo, e il sentimento che mettiamo mentre lo immaginiamo, ha una certa probabilità di diventare reale. Più persone immaginano una cosa, più la cosa ha probabilità di diventare reale. Vuol dire che se la prossima settimana esce un bestseller che vende un milione di copie, scritto in maniera particolarmente angosciante, in cui un serial killer ammazza tutte le donne che escono con un ombrello blu, c'è la probabilità che a Londra qualcuno cominci a uccidere tutte le donne che lo fanno. Nel romanzo si immagina che da secoli esista un'agenzia segreta, la fondazione immaginaria, che si occupa di vigilare sul confine tra l'immaginazione e la realtà".
"La storia che raccontiamo è quella di un ragazzo italo-inglese, Leonard, che vorrebbe fare lo scrittore, ma è bloccato dal fatto che, quando era piccolo, il padre sia morto in un incidente proprio come lui lo aveva descritto in un racconto" continua Guaglione. "E quindi si trova diviso. Viene arruolato dalla fondazione, perché è un ragazzo con un grande potenziale immaginifico. Il libro è interessante perché parla della potenza dell'immaginario nel momento in cui stiamo immaginando o leggendo". E se il romanzo diventasse un film? Sarebbe l'ennesimo colpo di scena. Con Fabio Guaglione (e Fabio Resinaro) c'è da aspettarsi di tutto.