Joseph Kosinski c'è riuscito, di nuovo. Puntellare e strutturare il (suo) cinema seguendo la traccia di un'epica spettacolare e avvolgente, senza rinunciare alla profondità e al sentimentalismo (anche tutto maschile, perché no). Il risultato? Il sedere incollato sulla poltrona, come quello dei piloti incastrati nelle monoposto da centinaia di dollari. Dopo Top Gun: Maverick - che secondo Spielberg ha salvato Hollywood - ecco quindi F1 - Il film, vidimato da Ehren Kruger e miscelato per esaltare il binomio (sempre vincente) tra cinema e sport.
F1: in pista con Brad Pitt

Il protagonista è Sonny Hayes - interpretato da Brad Pitt, perfetto come sempre - ex pilota di Formula 1 ritiratosi da trent'anni. Sulla schiena le cicatrici di un terribile incidente. Dorme in camper, fa colazione con il burro d'arachidi e si guadagna da vivere continuando a guidare come gregario, dalla Nascar a Daytona (ma ha fatto pure il tassista a New York). Bisogna dirlo: vogliamo subito bene a Sonny (e questo è essenziale se si vuol catturare il pubblico per quasi tre ore). È sgualcito, schietto, pronto alla battuta. Un cowboy dal cuore d'oro. La faccia migliore dell'America, o almeno quella più simpatica.

Hayes, che non si separa mai dal suo mazzo di carte, è l'uomo perfetto per risollevare le sorti di una scuderia in crisi: l'amico e compagno di corse Ruben Cervantes (Javier Bardem), ora proprietario della Apex, lo chiama per salvare il campionato, pensandolo come secondo pilota e, soprattutto, come mentore per il giovane Joshua "Noah" Pearce (Damson Idris). Noah è bravo, ma è anche troppo arrogante. Soprattutto, non ne vuole sapere di condividere le strategie di squadra con Sonny, anarchico e spregiudicato. Tra i due la spaccatura generazionale sembra insanabile, almeno fin quando un incidente cambia le dinamiche all'interno del team, guidato dalla direttrice tecnica Kate (Kerry Condon). Sottolineatura: non una mera quota femminile bensì personaggio essenziale.
Di poesia e di adrenalina: un film spettacolare

L'adrenalina testosteronica è la declinazione poetica scelta da Joseph Kosinski, tuttavia è il confronto tra Sonny e Noah ad essere il punto forte di una narrazione immersiva, e ben delineata secondo lo spazio, il linguaggio e il tempo messi a disposizione. F1, se divincolato dalla quantità stratosferica di loghi e product placement - va ricordato che la produzione targata Jerry Bruckheimer ha avuto il supporto della stessa F1, concedendo nomi, volti, marchi -, diventa uno spaccato generazionale che gioca sul concetto di dualismo e dualità, mettendo in opposizione (ma anche in accordo) due diverse prospettive, due diversi modi di pensare, agire e gareggiare. Un po' come avvenuto con Top Gun: Maverick (e infatti i due film sono speculari), arriva l'assunto che gli over 60 hanno ancora l'ultima parola, pur lasciando finalmente il campo (o il circuito) libero ai più giovani. Resta però il duello, un singolar tenzone che filosofeggia a parole povere e motori bollenti.
Uno sport movie per tutti
Proprio su questo si basa F1, e proprio da questo parte il racconto: potrebbe girare un po' troppo su se stesso, e potrebbe essere fin troppo stiracchiato vista la durata importante, ciononostante Kosinski, supportato dal montaggio ossessivo di Stephen Mirrione e dalla colonna sonora di Hans Zimmer, corre veloce verso un finale, per logica, addirittura sorprendente. Si resta con lo sguardo fisso sullo schermo - e F1 è uno spettacolo che merita lo schermo più grande possibile -, si resta imbambolati seguendo l'efficenza scenica di Brad Pitt, a suo agio in ruolo cucito su misura. Sentiamo l'odore dell'asfalto, la puzza delle gomme bruciate, i timpani che vibrano come vibra un motore fermo al pit-stop. Testo e contesto di un cinema voluto e pensato per afferrare e stupire.

Infine, contestualizziamo: chi sta scrivendo, di corse automobilistiche e di Formula 1 conosce ben poco. Questo per dire che la pellicola di Kosinski riesce ad essere ugualmente coinvolgente, squassando e divertendo anche quel pubblico meno avvezzo ai pistoni, ai tecnicismi, ai circuiti (e qui voliamo da Monza a Las Vegas). Dall'altra parte, gli intenditori, troveranno probabilmente l'opera definitiva, galvanizzante e potente (diversi camei importanti, c'è pure Roscoe, il bulldog di Lewis Hamilton). In fondo il concetto è chiaro: mirare all'esperienza cinematografica tout court, facendo sfrigolare una storia archetipica in cui si punta all'esaltazione massima dell'outsider. Cardine fondamentale negli sport movie che, come F1 dimostra, continuano a raccontare (e forse spiegare) la vita.
Conclusioni
Joseph Kosinski torna ad abbracciare il pubblico con F1 - Il film, un'epica spettacolare che, dopo Top Gun: Maverick, eleva al massimo il connubio tra cinema e sport. Potente, galvanizzante e trascinante, il film è arricchito da un montaggio capace di dare ritmo e storia, risuonando grazie alla colonna sonora di Hans Zimmer. Un film sulla Formula 1, ma non solo: incentrato sul dualismo generazionale e sull'esaltazione dell'outsider, la pellicola è capace di tenere lo spettatore incollato allo schermo grazie all'adrenalina e alla performance di Brad Pitt.
Perché ci piace
- Brad Pitt.
- Il finale.
- Il montaggio.
- Il senso drammaturgico.
Cosa non va
- Dura troppo.
- Troppi product placement.