Si è svolta in sede virtuale la conferenza stampa di presentazione di Ero in guerra ma non lo sapevo, il nuovo film diretto da Fabio Resinaro, prodotto da Luca Barbareschi. Un film tratto da una storia vera, che racconta gli ultimi giorni di vita di Pierluigi Torregiani, interpretato da Francesco Montanari, gioielliere ingiustamente accusato dalla stampa di essere un giustiziere, dopo un tentativo di rapina, che si ritroverà a diventare bersaglio dei terroristi del Pac, durante gli anni di piombo milanesi del 1979. Alla presentazione del film, oltre al regista e il produttore, anche Montanari e l'attrice protagonista Laura Chiatti, Paolo Del Brocco di Rai Cinema e il figlio di Torregiani, Alberto. Il film esce al cinema come evento per tre giorni dal 24 al 26 gennaio 2022, distribuito da 01 Distribution.
Un'uscita di valore
Proprio l'uscita nelle sale cinematografiche, in 200 copie, è stata una scelta necessaria, un vero e proprio atto d'amore verso un film che merita la dimensione del grande schermo. "Era una storia che andava raccontata" racconta Paolo Del Brocco "Non solo perché è una storia umana, ma anche un pezzo di storia dell'Italia. Di conseguenza era quasi doveroso per la Rai poter mostrare questo racconto storico importante e farlo nella dimensione che merita, quello della sala cinematografica, proprio per rispettare il grande pubblico a cui questo film è rivolto". L'uscita nei cinema è il traguardo di un percorso lungo e sofferto, perché come spiega il produttore Luca Barbareschi: "Era un progetto che avevo in mente da tempo, almeno sei anni, ma nessuno sceneggiatore era disposto a scrivere la storia e questo mi feriva molto. È invece importante poter raccontare vicende italiane che sono importanti. Perché è proprio grazie a queste storie che può avvenire un'elaborazione dell'identità del nostro Paese, cercando di superare i lutti e riconoscere gli errori".
Un protagonista atipico
Gli spettatori avranno modo di assistere a un Pierluigi Torregiani che sembra lontano dalla figura totalmente positiva a cui si è solitamente abituati. Anzi, il Torregiani di Montanari sembra più freddo del previsto, ma è una scelta da contestualizzare e che presenta fini artistici. "Non abbiamo fatto un docufilm" sottolinea Montanari "Ci siamo ispirati a un fatto di cronaca italiana, ma il Torregiani che si vede sullo schermo non è il vero Torregiani. È la nostra interpretazione di quell'uomo che si ritrova in una dinamica di prepotenza e arroganza, più forte di lui, dentro il quale non vuole stare. A suo modo è ottuso, un pragmatico. Non accetta il fatto che la sua vita deve cambiare sotto imposizione di qualcun altro. 'Sei ciò che fai', questo è il suo modello di vita, il modo in cui incarna le proprie responsabilità. Deve ostentare sicurezza sempre per nascondere questa crisi identitaria, quasi esistenziale. All'inizio può sembrare antipatico, ma via via che avanza il film s'inizia a formare un'empatia con lo spettatore. Può sembrare respingente, ma è la forza del film perché ci pone una domanda su cui riflettere: cosa avremmo fatto noi al suo posto?". Anche Laura Chiatti, co-protagonista del film nel ruolo della moglie Elena ("una donna emancipata che ha scelto di essere mamma e prendersi cura della propria famiglia, ma che a un certo punto non comprende più il modo lascivo del marito") non trova crudeltà nell'interpretazione del personaggio di Torregiani ma "un carattere forte che può apparire impavido proprio perché l'insicurezza e l'impotenza porta a uno sguardo non obiettivo sulla situazione". Raramente si assiste a una fragilità così rappresentata, sotto traccia, tra le pieghe del personaggio. La figura del vero Torregiani è, però, rispettata grazie alla consulenza del figlio Alberto in fase di realizzazione: "Il film riesce a dare quella giusta prospettiva, quella verità, troppe volte taciuta. Mio padre era forte, austero, capace di scontrarsi con le difficoltà per poter esprimere i propri sogni, ma è anche un padre che deve nascondere le proprie paure. L'interpretazione di Francesco [Montanari] è di una sensibilità enorme, che evita la figura della vittima sacrificale".
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Una storia intima che parla a tutti
Non è un semplice biopic, il film di Fabio Resinaro. Nel raccontare la vicenda abbraccia il punto di vista del protagonista Pierluigi Torregiani, ma si dà anche molta risonanza all'universo domestico, quello della famiglia composta dalla moglie Elena, dal figlio Alberto e le figlie Marisa e Anna. "Per un fatto di cronaca così tanto dibattuto era necessario evitare la stilizzazione e abbracciare un approccio più realistico" dichiara il regista Resinaro che ha scelto di concentrarsi non tanto sulla cronaca, quanto sulla dimensione intima della persona. La storia, quindi, evolve e si trasforma in una narrazione che colpisce tutti da vicino. Prosegue Resinaro: "Mi sono accorto proprio in quest'ultimo periodo quanto sia rilevante questa storia. Ci racconta come una persona che tiene alla propria libertà si ritrova coinvolta in una narrazione di sistema più grande di lui. Era importante riflettere sul modo in cui la singola persona diventa meccanismo di un ingranaggio. Il punto di vista del film è vicino alla persona ed era quello che volevo esplorare e, proprio perché si smarca dalle solite posizioni contrapposte, è l'unica vera scelta politica del film". In questo modo, la storia riesce a dialogare e comunicare con il proprio pubblico, mettendo in atto il motore principale che alimenta la fruizione della sala cinematografica.