Un'eterna luna di miele sembra quella (ri)vissuta dalla malcapitata protagonista che come nome porta il titolo del film, ovvero quello di Elizabeth Harvest. Lunghi capelli rossi e fascino da femme fatale per questa novella sposa che ci introduce alla visione con un breve background utile a identificarci in lei e a sottolineare come le toccherà suo malgrado essere alpha e omega a cui tutti gli eventi successivi ruoteranno inevitabimente intorno.

Il motivo di tanta sfortuna lo scoprirà ben presto il pubblico, giacché quel fresco matrimonio è soltanto il preambolo a un qualcosa di via via sempre più misterioso e inquietante. D'altronde la raccomandazione del più maturo marito, il brillante scienziato premio Nobel Henry, è quella di non entrare mai in una particolare stanza della loro avveniristica e isolata dimora di campagna, una regola che se trasgredita potrebbe trasformarsi per la ragazza in qualcosa di molto pericoloso.
Elizabeth Harvest: l'altra donna

E senza andare a svelare il cliffhanger che, relativamente presto, trasmuta le coordinate narrative, è ovvio che proprio il non seguire tale accorgimento darà inizio all'incubo, con Elizabeth che si trova catapultata in un inferno di terrore dove non potrà fidarsi più di niente e di nessuno, donna sola in questo microcosmo patriarcale dove anche le figure femminili comprimarie sono sempre e comunque assoggettate, per impotenza o compiacenza, all'universo maschile.
E in questo caso risulta fondamentale il personaggio di Claire, interpretata da una smagliante Carla Gugino - moglie del regista Sebastian Gutiérrez - al quale spetta anche il compito di raccontare i flashback di quel diario svela-tutto, che permette finalmente ad Elizabeth Harvest di far luce su quell'oscuro passato dal quale dipendono tutti i suoi problemi attuali.
Dimmi la verità

L'eugenetica qui è al servizio di un impianto thriller relativamente prevedibile, che purtroppo finisce per sfaldarsi minuto dopo minuto pur dopo una premessa intrigante, che però non viene sfruttata pienamente e che anzi spara fin troppo presto le sue rocambolesche rivelazioni, lasciando che la seconda metà sia un susseguirsi di spiegoni e di risvolti monotoni, annacquati in un'ultima mezzora non avara di forzature.
Alcune influenze da una grande fiaba popolare come Barbablù ma anche punti in comune con l'archetipo storico di Enrico VIII e la sua a dir poco complessa situazione coniugale caratterizzano una sceneggiatura che si sgretola progressivamente sotto il peso delle proprie ambizioni, e che non trova adeguato supporto da un impianto emotivo che si dimostra freddo come gli stessi protagonisti del racconto. Abbey Lee nel ruolo principale buca lo schermo con il suo fascino glaciale, con lo sguardo immortalato da numerosi primi piani, ma anche per via di una caratterizzazione ai minimi termini - per ovvi motivi - non può far molto per rendere effettivamente credibile la sua Elizabeth.
Lotta di classe e lotta dei sessi?

L'impressione data dai cento minuti di visione è quella di voler ambire a dire qualcosa di profondo che riflette e si riflette anche all'interno della società contemporanea, ma il risultato è alquanto maldestro, scadendo a tratti nel kitsch involontario. Non mancano alcuni discreti spunti tensivi, ma la curiosità viene meno non appena compreso il leit-motiv e anche i colpi di scena che fanno capolino nella succitata "resa dei conti" sono stati ampiamente suggeriti in precedenza, uscendone di fatto depotenziati.
E quando l'immagine perde forza è la parola ad acquisirne, con i voice-over e i salti indietro nel tempo che prendono il sopravvento al fine di espletare il tutto per filo e per segno, negando veri e propri sussulti che accompagnino le fasi clou della vicenda. E molto spesso in Elizabeth Harvest si ha l'impressione che il regista, anche unico autore dello script, non abbia pienamente l'idea di cosa volesse raccontare e che l'insieme proceda su una stanca, inscalfibile, inerzia fino ai titoli di coda.
Conclusioni
L'anima turbata della protagonista, prigioniera di promesse tradite e verità da svelare, non riesce a squarciare il velo dell'apatia emotiva che avvolge il racconto e il film con esso. In Elizabeth Harvest rimangono frammenti di visioni e guizzi di tensione irrisolta, con la storia che si perde in un intreccio freddamente labirintico di spiegazioni e simbolismi incompiuti. Una storia di eros e thanatos al servizio di una fantascienza che gioca con la scienza, dove gelosia e violenza repressa segnano il destino dei protagonisti, immersi in una casa isolata dove l'orrore si cela dietro stanze nascoste e il male ha un volto, e una genesi, sin troppo comuni. Peccato che proprio nella sua banalità il film fallisca il proprio intento, perdendo via via di vista l'obiettivo.
Perché ci piace
- Una premessa potenzialmente intrigante, per quanto non originalissima.
- Guizzi di tensione e un pizzico di curiosità nella prima mezzora...
Cosa non va
- ...che si esauriscono non appena compreso il canovaccio alla base.
- Personaggi schiavi di evidenti limiti narrativi.
- Il racconto si sfilaccia progressivamente.
- La "resa dei conti" finale è ripetitiva e avara di emozioni.