Gli elementi portanti, se scardinati dalla base, e visti superficialmente, sembrano tutti al posto giusto. Un ottimo cast, una location efficace, una certa tensione. Tuttavia, l'esplorazione delle relazioni umane - a cominciare dal rapporto madre-e-figlia - sembrano impantanarsi in uno script che accumula senza una vera continuità di forma. Senza girarci troppo intorno, Echo Valley, il thriller emotivo di Michael Pearce, su script di Brad Ingelsby, risulta talmente tanto eccessivo, e in trepidante fermento nel cercare l'effetto, che perde ben presto la propria potenza e le proprie, interessanti, prerogative.
Echo Valley: Julianne Moore, Sydney Sweeney e le difficoltà di una madre

Un giro lungo, almeno negli Stati Uniti, quello di Echo Valley: annunciato nel 2023, nonché prodotto da Ridley Scott (che ha un legame forte con la piattaforma), è uscito prima al cinema selezionati in Nord America e poi, nel resto del mondo, è approdato su Apple TV+. Chiara la forte ambizione di Apple di puntare ad una certa experience, ciononostante i lungometraggi targati Cupertino sembrano faticare maggiormente, in fatto di qualità, rispetto all'offerta seriale, che risulta sempre sopra gli standard delle piattaforme rivali.
Come detto, le premesse, addobbate da una buona estetica, c'erano tutte: la storia è quella di Kate Garrett (Julianne Moore, a suo agio sempre e comunque nel giocare in sottrazione), mamma di Claire (Sydney Sweeney, che è eccellente, ma non 'sta volta), con una vita fin troppo in bilico. Morsa da una relazione tanto tossica quanto le droghe che consuma.

Kate lavora come addestratrice di cavalli, prova a superare il lutto della moglie appena morta, e intanto tenta di recuperare il rapporto con la figlia. Le cose però si mettono male: la ragazza è braccata da Jackie (Domhnall Gleeson), spacciatore che reclama un lauto debito. Di mezzo, tra l'altro, spunta pure un cadavere. In qualche modo Kate dovrà difendere Claire, rischiando tutto ciò che ha.
Un thriller che sfiora la caricatura

Si potrebbe intuire già dalla trama quanto Echo Valley sia estremamente e, aggiungiamo, inutilmente, caricato. Un pathos che ha il respiro corto, allungandosi nei 110 minuti che si rimpallano in una sequela di eventi e di punti chiave. Una continua e inesorabile svolta, che affonda le mani sulle emozioni più disfunzionali, modellando il tutto secondo i canoni della più classica (o diremmo solita?) messa in scena televisiva. Quello di Michael Pearce, al netto del grande cast (spunta pure uno sprecato Kyle MacLachlan), è l'esempio di quanto lo streaming abbia alterato le regole di scrittura: in questo senso, Echo Valley, sbanda direttamente dalla base, e quindi dalla sua idea. Acchiappare l'attenzione del pubblico, oggi, è una sfida complicata, e perciò serve un costante stimolo narrativo.
Chiarito il concetto, il titolo di Pearce sembra però abusare del materiale a disposizione, girando continuamente su se stesso. La tensione, padroneggiata da Pearce, prosegue lungo un climax forse ben stesso, se non fosse eccessivamente rigido rispetto al proseguo dell'azione, che resta legata alla cornice nerissima che avvolge Echo Valley: l'efficace geografia della Pennsylvania del sud è l'appiglio a cui proviamo ad aggrapparci (la location è protagonista, e indirizza la storia), in quanto le ombre che si accavallano nella fattoria di Kate sembrano far vibrare una sceneggiatura in cui l'intimità, ahinoi, appare grossolanamente vicina alla caricatura.
Conclusioni
Un climax che punta all'effetto, finendo per risultare eccessivo. Troppi colpi di scena, troppi cambi, troppe situazioni che girano su se stesse senza una vera continuità. Peccato, perché dietro Echo Valley ci sarebbe un ottimo materiale umano e geografico. A cominciare da Julianne Moore che, nonostante tutto, ce le mette tutta. Ma non riesce a salvare il film. Peccato.
Perché ci piace
- Julianne Moore ce la mette tutta.
- La location.
Cosa non va
- Una costante ricerca dell'effetto.
- A tratti caricaturale.
- Troppi plot twist.