C'era l'aria delle grandi occasioni alla presentazione napoletana di È stata la mano di Dio e non potrebbe essere altrimenti perché il nuovo film diretto da Paolo Sorrentino rappresenta un ritorno a casa per l'autore partenopeo. "È un film che era nella mia mente da molto e ho trovato il coraggio di fare perché per ragioni insondabili era arrivato il momento giusto" ci ha infatti raccontato nella conferenza stampa tenuta nella sua città d'origine, "avevo compiuto 50 anni che è un bel traguardo, avevo voglia di fare un film a Napoli in cui la città fosse anche protagonista." E lo è protagonista del film che è in sala dal 24 novembre in attesa dell'uscita su Netflix dal 15 dicembre, come lo è anche lui in prima persona, per una storia in cui riecheggiano le sue stesse esperienze passate, pur raccontando la storia di Fabio attraverso la prova di Filippo Scotti.
La Napoli di Paolo Sorrentino
"Mi piaceva l'idea di fare un film a Napoli in estate, mi sembrava anche uno svago in un periodo che è stato difficile per tutti" ha detto ancora il regista parlando della realizzazione del film, attento però a specificare come si sia concentrato sulla sua Napoli, su quella che aveva un valore per lui: "Ho affrontato la città sulla base dei luoghi che frequentavo da ragazzo. C'è casa mia, un piano sotto l'appartamento in cui vivevo, la scuola e i luoghi che verso i 17/18 anni ho scoperto. Non sono stato guidato da un'idea di Napoli, ma dal mio ricordo, da luoghi che sono stati fondamentali per me in base a eventi che mi sono capitati." Un approccio personale che è evidente guardando È stata la mano di Dio, che filtra Napoli in funzione del racconto che viene portato avanti.
Non è una Napoli da cartolina quella che emerge dal film di Sorrentino, ma è una Napoli vera e autentica pur in alcuni del suoi eccessi, emersa anche in conferenza attraverso un paio di divertenti aneddoti che risalgono alle riprese de L'uomo in più. "Sono molto emozionato di presentare il film a Napoli" ha detto infatti Sorrentino, "è come partecipare al mio matrimonio. Qui il film viene compreso in tutte le sue sfumature ed è una prova non facile da affrontare."
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La noia del dolore, l'esempio dei padri
C'è dolore nel passato di Paolo Sorrentino e nella storia di Fabio che lo rielabora nel portarlo su schermo. "Parlare sempre di questo film ha fatto sì che il racconto del dolore sia diventato quotidiano, anche noioso" ha spiegato l'autore napoletano, aggiungendo una riflessione interessante: "è un bellissimo modo di superare i propri dolori, renderli noiosi. Annoiarsi è una bella scorciatoia per non occuparsi più delle proprie pene." Non c'è però solo sofferenza in È stata la mano di Dio, ma anche un processo di crescita e presa di coscienza, veicolata anche attraverso l'insegnamento di diverse figure paterne. Una di queste è il padre di Fabio, interpretato da Toni Servillo: "Il mio è un padre che nella vita di Paolo ha avuto un epilogo tragico, ma ci siamo anche molto divertiti a raccontare certi papà che sentendosi inadeguati al ruolo finiscono per essere un po' simpatici nella loro cialtroneria."
Un'altra delle figure di riferimento è sicuramente Antonio Capuano, in quello che "è il momento più bello del film, quando mette Fabio di fronte a un quesito fondamentale". A un quesito e all'importanza del conflitto, come ha ricordato lo stesso Sorrentino: "avendo perso un padre a sedici anni, mi sarà mancato quel passo successivo all'adolescenza che ha a che fare con il conflitto. Ho cercato sempre rapporti con persone che mi dicessero con onestà quello che pensavano." Ma c'è anche l'esempio di Maradona nella scena in cui Fabio e il fratello lo guardano allenarsi a tirare punizioni_. "Più si ha talento" ha spiegato Servillo ricordando quella sequenza, "più si ha paura di esercitare il proprio mestiere. Quella scena racconta come un orfano con la propria paura scopre il proprio talento."
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Nei panni di Sorrentino
A dar vita al protagonista Fabio troviamo il giovane e bravissimo Filippo Scotti, che ha raccontato come "ho cercato di dimenticare la mia ammirazione nei confronti di Paolo Sorrentino, quando mi ha scelto, perché mi sono reso conto che non avrei potuto lavorare." Una cosa però Sorrentino ha chiesto al suo giovane interprete: "mi ha chiesto una verità. Sul set abbiamo affrontato la tematica dell'essere vero, tirar fuori la mia verità e poi quella del personaggio. Questo è stato importante soprattutto in una scena come quella con Capuano, in cui era importante prendere consapevolezza di un dolore personale e riuscire a metterlo in scena. "
E per lavorare al meglio, Scotti ha chiesto al regista di segnalargli anche quale musica ascoltasse in quel periodo, pur ammettendo che "non c'era musica nel walkman" che porta il suo personaggio. D'altra parte è stato lo stesso Sorrentino a spiegare che "il protagonista ascolta la musica, ma non la sente. O la sente, ma non è in grado di ascoltarla. È il motivo per cui c'è pochissima musica, anche se ho dovuto rinunciare a tutta una serie di tentazioni." Tentazioni musicali come visive, perché si tratta di un film più asciutto di altri dell'autore: "Questo film è debitore dei film che ho amato del Troisi regista. Il mio unico nume tutelare per questo film è stato lui e non Fellini."