È nella mente di tutti: la parola Rigopiano richiama alla memoria con un'immediatezza spaventosa la terribile tragedia che ha causato la morte di ventinove persone che soggiornavano o lavoravano all'Hotel Gran Sasso, conosciuto anche con il nome della località appartenente al comune di Farindola in Abruzzo. Il 18 gennaio 2017, infatti una valanga ha letteralmente spazzato via la struttura con all'interno i suoi occupanti: famiglie, coppie in vacanza, inservienti. Vittime di un destino che non detiene, però, tutte le responsabilità dell'accaduto.
Lo racconta E poi il silenzio - Il disastro di Rigopiano, nuovo podcast di Pablo Trincia e Debora Campanella, con la regia di Paolo Negro, disponibile su tutte le piattaforme e che presto diventerà una docuserie in onda su Sky dal 14 novembre per gli abbonati insider, e poi dal 20 per tutti, e in esclusiva su Sky TG24, Sky Documentaries e Sky Crime, oltre che in streaming su NOW.
Dopo Dove nessuno guarda - Il caso Elisa Claps presentata con la stessa formula, anche questa nuova produzione punta a rendere consapevole lo spettatore (o l'ascoltatore) di quelle cause e concause che hanno portato ad un evento così catastrofico, un fatto difficile da dimenticare e per il quale sono ancora in corso dibattimenti in sede legale. La docuserie è stata anche presentata al Lucca Comics and Games con Trincia presente e in questa occasione abbiamo avuto modo di fare quattro chiacchiere con lui per cercare di comprendere meglio anche il lungo lavoro che c'è dietro a questo tipo di produzioni.
La tragedia frutto di una vicenda complessa
La prima cosa che stupisce ascoltando il podcast e, immaginiamo, anche vedendo la serie, è quanto una concatenazione di fatti e negligenze abbiano portato ad una tragedia di tale portata. Questo sentimento di sconcerto lo ha provato lo stesso Pablo Trincia: "La cosa che mi ha stupito di più è stato scoprire quanto il crollo e la valanga in sé fossero un pezzettino di un mosaico molto più grande e anche di una timeline che partiva 25 anni prima. Quindi è stato veramente come allontanarsi e vedere questo quadro enorme che, purtroppo, raccontava le responsabilità di tante persone nel corso di anni, sia prima che dopo la tragedia."
Coinvolgere lo spettatore
Raccontare qualcosa di così delicato come il crime richiede un equilibrio, innato o cercato, che conferisca al racconto giornalistico una certa quota di imparzialità ed efficacia, tutte caratteristiche distintive dei lavori di Trincia e del team di persone che li rendono possibili: "Io di solito scrivo quello che per me è importante e rilevante ai fini del racconto. Narrare per me significa raccontare tutto quello che trovo anche se, ovviamente, non puoi poi raccontare tutto, ma anche portare l'ascoltatore o lo spettatore a vivere un'esperienza. Non solo, quindi, ad ascoltare una storia ma proprio a viverla a 360 gradi. Cioè, tu l'ascoltatore lo devi far vibrare, devi farglielo sentire il freddo, la paura, l'angoscia e quindi non mi pongo mai il problema del limite, dell'equilibrio, perché so di non essere morboso, so di essere rispettoso, non vado a cercare la lacrima facile, non faccio pornografia del dolore. Quindi io sono semplicemente me stesso, bisogna essere molto spontanei quando si fanno queste cose."
La scelta delle parole
In un racconto che sia efficace e diretto le parole solo importanti, parafrasando anche se involontariamente Nanni Moretti. Scegliere i vocaboli giusti ci permettere di identificare qualcosa, di dargli in qualche modo forma e questo è importante in un podcast, in una serie, ma anche nella vita quotidiana dove, come sta accadendo spesso, parole come genocidio, guerra, femminicidio e tante altre, diventano opinabili come fossero mero frutto di una speculazione linguistica: "È un tema enorme" dice Pablo Trincia: "Le parole sono fondamentali, la scelta delle parole è fondamentale, perché così come le piccole variabili di tutti i giorni fanno la differenza sulla nostra esistenza, anche l'uso delle parole la fa. Quando scriviamo con il mio team siamo molto attenti a scegliere i termini giusti per raccontare qualsiasi cosa, perché a volte magari stai scrivendo, ti vieni da usare un termine, non ne trovi un altro, invece poi lo scrivi, però poi ci devi tornare sopra ma non ti sembra la parola giusta o ce ne vuole una più efficace, un po' più centrata, un po' più a fuoco."
"Quello che sta succedendo in Palestina, io lo dico da dopo il 7 ottobre, è un genocidio a tutti gli effetti, quindi quella parola è importante, va usata, non come una provocazione, ma perché è il termine giusto, perché ci sono tutti gli elementi che ti portano a dire che sta succedendo quella cosa lì, e questo fa la differenza, perché nel momento in cui tu scegli quella parola, che è forte, che è una parola pesante, che ha un peso storico, beh allora cambia la narrazione e la narrazione può far cambiare anche la politica, per cui le parole sono fondamentali, la scelta delle parole è un'operazione politica."