Scrivere la recensione di Dracula, nuova serie tv della BBC disponibile internazionalmente su Netflix nel gennaio 2020, significa fare i conti con tre elementi in particolare: il romanzo di Bram Stoker, rielaborato in modo fedele ma al contempo molto libero; la scrittura di Steven Moffat e Mark Gatiss, che tornano a raccontare a modo loro un classico della letteratura come hanno già fatto con Sherlock (e, nel caso di Moffat come autore unico, anche Jekyll); e l'ibridazione delle nuove modalità di fruizione dell'audiovisivo, dato che in patria questa storia tripartita è andata in onda per tre sere consecutive su BBC One, nei primi tre giorni dell'anno, mentre fuori dal territorio britannico è disponibile, per intero (quattro ore e mezza in totale), sulla più nota delle piattaforme di streaming. Tre ingredienti che fanno di questa nuova versione del famigerato conte una rilettura affascinante e, nel bene e nel male, perfetta per i nostri tempi. N.B. L'ultimo paragrafo, appositamente contrassegnato, contiene spoiler.
Ritorno alle origini
Come spiegato da Steven Moffat e Mark Gatiss (quest'ultimo uno dei massimi esperti inglesi in materia di horror), il fascino di Dracula sta tutto nel personaggio principale, che loro hanno deciso di rendere il vero protagonista del progetto, cosa non facile quando si vuole anche aderire al canovaccio letterario di Bram Stoker, poiché nel romanzo, un tomo epistolare raccontato dal punto di vista dei personaggi umani, il conte è una presenza minore, talvolta solo suggerita (persino Dracula di Bram Stoker, ufficialmente l'adattamento più fedele del testo, dovette aggiungere la sottotrama di Mina Murray come reincarnazione della moglie di Vlad Dracula per dare al vampiro il giusto spessore drammaturgico). Questo comporta un approccio che rispetta la struttura del libro, ma non la lettera, con una formula letteralmente tripartita: il primo episodio è incentrato sull'incontro fra Dracula e Jonathan Harker in Ungheria (nel 1897, anno in cui fu dato alle stampe il romanzo), il secondo racconta il viaggio della nave russa Demeter (passaggio che molte trasposizioni tendono a omettere per questioni di ritmo), e il terzo è interamente dedicato alla permanenza londinese del carismatico e inquietante non-morto.
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L'approccio dei due autori è al contempo rispettoso e irriverente, proponendo un cocktail (rigorosamente rosso sangue) di diversi elementi associati al mito del personaggio: la natura epistolare del libro di Stoker è apertamente omaggiata, e il conte, il cui look si rifà a quello classico di Bela Lugosi, dice la celebre frase "Io non bevo... vino". Altrove c'è un senso dell'umorismo che a tratti richiama la produzione Hammer (vedi il ruolo delle suore), e ovviamente non manca il gusto del postmoderno, evidente soprattutto nella reinvenzione molto intrigante del personaggio di Renfield. E poi c'è la componente erotica, che Moffat aveva schernito in sede di interviste ma che in realtà si palesa già nei primi minuti quando la suora Agatha chiede a Harker se tra lui e Dracula ci sono stati rapporti sessuali, una rilettura ironica che continua quando il vampiro stesso definisce Jonathan "la mia sposa" e successivamente si presenta davanti al convento completamente nudo, sfruttando la fisicità nordica dell'attore danese Claes Bang, notevole protagonista del film The Square.
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Un vampiro per le nuove generazioni
Proprio la presenza di Bang dà alla miniserie una marcia in più, con una performance divertita e divertente che è auspicabile godersi in lingua originale: alla trasformazione fisica del personaggio, fedele alla versione di Stoker, si aggiunge infatti quella vocale, con Dracula che inizialmente si esprime in un inglese stentato con accento ungherese e poi si fa progressivamente British, con annesso humour. Emblematica, in tal senso, la scena in cui Harker gli dà del mostro, al che il conte risponde "E tu sei un avvocato. Nessuno è perfetto." È un vampiro che domina ogni singola inquadratura e compensa le pecche visive (la CGI lascia occasionalmente a desiderare) e narrative (alcuni passaggi sono un po' raffazzonati), imponendosi con un carisma accompagnato da un'aura sottilmente minacciosa, equilibrio perfetto tra eros e thanatos in un progetto che non esita a mettere in scena tutta la splendida brutalità di un villain spietato, qui parzialmente trasformato in antieroe per riconquistare una storia che, al netto del suo nome nel titolo, non è sempre stata incentrata su di lui. Il suo fascino è tale da rendere appetibile anche la prospettiva del binge-watching su Netflix, reso più difficile in questa sede non solo dalla durata dei singoli episodi (circa 90 minuti a testa), ma anche dallo stacco netto, in termini strutturali, tra un capitolo e l'altro.
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Rilettura a tutti i costi
Attenzione, seguono spoiler ! Quello di Moffat e Gatiss è un lavoro interessante e tutto sommato divertente, ma nel terzo episodio si palesa anche quello che è stato il principale difetto delle ultime due stagioni di Sherlock (e, per certi versi, dell'operato di Moffat con Doctor Who): un certo autocompiacimento nella scrittura, dettato dalla voglia di reinterpretare il materiale nel modo più moderno e brillante possibile. Di per sé l'idea di trasportare Dracula nel presente (dopo il naufragio della Demeter rimane sott'acqua fino al 2020) non è male, così come la scelta, in pura salsa Hammer, di avere due versioni di Van Helsing, nel 1897 e oggi, con lo stesso volto (in questo caso femminile, ed è ammirevole la doppia performance di Dolly Wells, olandese quando fa la suora e britannica quando diventa una scienziata).
È coraggiosa anche l'idea di far uscire di scena Jonathan e Mina già nel primo episodio, ribadendo la centralità del vampiro, ma la loro assenza si fa sentire nel terzo capitolo, dove rimangono solo una pallida fotocopia di Lucy Westenra (da sempre il comprimario gestito peggio nella maggior parte degli adattamenti), Renfield come avvocato del vampiro (un' esilarante ospitata di Gatiss come attore), e una sceneggiatura che arranca in vista della svolta conclusiva: ciò che Dracula teme veramente è la propria incapacità di morire, problema che egli sceglie di risolvere bevendo il sangue di Zoe Van Helsing, affetta da un tumore allo stadio terminale (il sangue dei moribondi è velenoso). Tutto qui? Sì e no: le voci fuori campo alla fine suggeriscono che Dracula sia effettivamente destinato a tirare le cuoia, ma in assenza di un cadavere sullo schermo il dubbio che gli autori abbiano una scappatoia per eventualmente farlo tornare è legittimo. Cosa di per sé logica, perché se c'è un personaggio che non vuole saperne di morire è proprio Dracula. Speriamo solo che in quel caso il desiderio di trasgredire ceda il posto a un racconto con un'idea precisa.
Conclusioni
Arrivati al termine della nostra recensione di Dracula, è innegabile che questa nuova produzione BBC disponibile su Netflix sia un modo forte per iniziare l'anno, tra sangue e intrighi. Anche se la scrittura di Steven Moffat e Mark Gatiss non è esente da difetti, la rilettura del romanzo di Stoker presenta molti spunti interessanti, e l'attore danese Claes Bang si impone come il miglior Dracula dello schermo visto negli ultimi anni.
Perché ci piace
- La rielaborazione del testo originale è per lo più interessante.
- Claes Bang è affascinante e pericoloso nei panni di Dracula.
- Dolly Wells ruba la scena quando non è presente il conte.
Cosa non va
- Gli effetti speciali lasciano un po' a desiderare.
- Il terzo episodio è abbastanza irrisolto.