Ne abbiamo scritto, abbiamo intervistato gli attori più volte, fatto analisi, ma, ora che tutti gli episodi sono disponibili su Sky e NOW, è arrivato il momento di parlare del finale di Dostoevskij, la serie dei fratelli D'Innocenzo. Abbiamo avuto una grande opportunità: a chiarirci diversi punti fondamentali sono stati proprio gli autori.
Nella nostra intervista Fabio e Damiano D'Innocenzo non hanno paura di parlare di diversi elementi chiave del loro racconto, anche se, come ci hanno tenuto a dire all'inizio, per loro la cosa più importante è che lo spettatore si faccia la sua idea. Per tutto il resto c'è questa conversazione e, soprattutto, un libro: Indizi (edito da La nave di Teseo), in cui sono presenti gli storyboad della serie disegnati da loro.
Quindi andiamo ad approfondire i segreti di Dostoevskij, partendo dalla domanda più ovvia: chi è l'assassino? Attenzione: da qui in poi ci sono SPOILER!
Dostoevskij: intervista a Fabio e Damiano D'Innocenzo
Tutta la trama di Dostoevskij ruota attorno a una domanda: chi è il killer delle lettere? Se lo chiede il poliziotto Enzo Vitello (Filippo Timi) e noi con lui.
Tormentato, dal rapporto difficilissimo con la figlia Ambra (Carlotta Gamba), il protagonista ha dei lati oscuri, esattamente come il criminale che sta cercando. Forse è per questo che si sente così vicino ai concetti espressi nei messaggi lasciati accanto ai corpi delle vittime. Ma, contrariamente a quanto si potrebbe pensare in un primo momento, no, non è lui Dostoevskij.
Perché una serial killer donna
A sorpresa, Dostoevskij è una donna: un'orfana. Perché proprio una donna? Fabio D'Innocenzo: "Perché nessuno se l'aspetta. E in questa osservazione c'è qualcosa di molto interessante che riguarda il femminile: cosa è delegato al femminile, cosa può o non può fare. In questo caso decidere chi vive e chi non vive. Quindi ci sembrava giusto, coerente. Non essendo stata la nostra prima scelta, ha depistato anche noi. Ci ha fatto dire: che sciocchi!".
Altro colpo di scena: in che senso non era la prima scelta? Damiano D'Innocenzo: "Noi non lo sapevamo. Abbiamo scelto di non saperlo, perché volevamo vestire, anche emotivamente, i panni di Vitello. Se avessimo saputo chi era il killer sarebbe stato come sorpassare lui. A un certo punto però ce lo siamo dovuti chiedere".
"E quello di Dostoevskij (recensione qui) è un mondo in cui manca la donna. Se fosse presente la donna nel loro mondo cambierebbe tutto. Quindi ci siamo detti, in quanto maschi, sia noi che i poliziotti, a tutto penseremmo tranne che a una donna. Perché, soprattutto noi maschi, siamo idioti. Non credere che una donna sia capace di uccidere le persone è una semplificazione assoluta, che però rispecchia fedelmente quello che è l'Italia. Un mondo in cui, tutt'ora, la donna siede in panchina ed è unicamente legata a quattro-cinque aggettivi. Massimo. Quindi ci interessava una sorta di, non di denuncia sociale, non ci ho mai creduto, ma di punto esclamativo su un'evidenza".
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Il piano sequenza dell'episodio finale
Nell'ultimo episodio di Dostoevskij, il sesto, che si intitola Non siate crudeli con un finale, c'è un grande piano sequenza. In cui si vede, senza stacchi, anche il protagonista che cava gli occhi alla persona con cui si sta battendo. Come è stato costruire quella scena e perché era importante far vedere tutto?
Fabio: "Non è sadismo: doveva essere un piano sequenza emotivo. Quindi staccare su quella cosa sarebbe stato un po' da sciocchi: anche cinematograficamente era una scena appagante, non per il sadismo, appunto, ma per una completezza. Ci siamo detti: non stacchiamo. Lo spettatore rimane dentro quei dodici minuti senza stacchi".
"L'agguato è la nostra prima scena d'azione, non ne abbiamo mai girate. Quindi io ero completamente terrorizzato! Ci siamo rifugiati nel fare personalmente gli storyboard di quella scena: abbiamo disegnato tutte le inquadrature. Alle immagini associamo degli aggettivi, per raccontare cosa c'è oltre la sceneggiatura".
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Perché Vitello decide di diventare Dostoevskij
Alla fine Vitello ha la meglio sulla killer e ne ruba l'identità. Il poliziotto aveva già deciso di prendere il posto di Dostoevskij, oppure questa scelta è frutto di una concatenazione di eventi che l'ha favorita?
Fabio: "Invito il pubblico a fare un rewatch: Dostoevskij è una serie circolare, che inizia e finisce con un dialogo. C'è un dialogo tra queste due parti: è un racconto struturato e pensato in questo modo. Quindi riguardarla è anche un modo per capire dove sono seminati i germogli, dove c'è la costruzione di alcune politiche sentimentali dei personaggi. Mi piacerebbe moltissimo tornare su questo territorio, questo sentimento, che è stato Dostoevskij. Non so se ci sarà una seconda serie, però spero che ce ne sarà una terza".