Don’t Move, la recensione: una variazione sul tema per un film da divano

Sam Raimi produce un thriller basato su un buon meccanismo narrativo. Il problema è nella perdita di mordente e nella prevedibilità dei suoi risvolti. Meno male che dura poco. Su Netflix.

Kelsey Asbille Chow in Don't Move

"La vita prende ciò che vuole", "non c'è nessun Dio", "ci siamo solo noi" e via dicendo. Un leitmotiv chiaro e coinciso quello in cui si muove Don't Move, il nuovo thriller targato Netflix diretto dalla coppia, specialista in horror e i suoi derivati, composta da Brian Netto e Adam Schindler e prodotta da niente poco di meno che da Sam Raimi.

Don T Move Scena
Kelsey Asbille Chow in Don't Move.

Dopo tutto la protagonista della pellicola, interpretata da Kelsey Asbille Chow, non vuole più vivere, svuotata da un'esistenza che l'ha messa così tanto alla prova da indurla ad arrendersi al dolore. Se c'è però un merito che alla vita non si può non riconoscere è quello di essere sempre piena di possibilità. Il problema allora diviene inerente al tipo di possibilità, anche se anche quelle che sembrano le più avverse a volte possono rivelarsi incredibilmente utili.

Il titolo si basa su questo gioco parossistico, in cui una persona che non vuole più vivere si ritrova in una situazione al limite della sopravvivenza in cui lo stato d'animo catatonico diverrà improvvisamente anche la sua condizione fisica. Un film piuttosto leggibile dall'inizio, che prova ad allargare il suo ventaglio grazie ad un sottotesto politico, ma che rimane, in fin dei conti, un prodotto da fruizione casalinga.

La trama: l'angelo della morte

Don T Move Kelsey  Asbille Scena
Una scena di Don't Move.

Iris (Asbille Clow) si alza una mattina, lascia il telefono a casa e il marito a ronfare nel loro letto, si veste per una scampagnata e se ne va al parco di Big Sur, in California (Don't Move è incredibilmente preciso in questo riferimento geografico), per smentire tutta quella letteratura che vuole il contatto con la natura come un'incredibile fonte di benessere. La ragazza infatti si arrampica fino alla cima di una collinetta con l'intento di buttarsi di sotto.

Pensa di essere sola e invece no, perché dal nulla compare un certo Richard (Finn Wittrock). Un uomo di bell'aspetto che da subito entra in empatia con lei, non solo intuendo le sue intenzioni, ma anche trovando le parole giuste per farla desistere dal compiere l'insano gesto. Un talento naturale per il samaritano più buono della California.

Don T Move Sequenza
Finn Wittrock in uno dei faccia a faccia di Don't Move.

Il nostro Richard è infatti un talento naturale per essere un plurifemminicida ancora a piede libero, che nella nostra protagonista ha visto una sua nuova potenziale vittima. Il suo modus operandi è semplice ed efficace: iniettare un paralizzante nella ragazza prescelta in modo da ridurla alla sua mercé per poi disporne come meglio crede. Richard ha quindi deciso di andare da Iris per salvarla solo per poi ucciderla con le sue stesse mani? Forse sì o forse no, perché una cosa il belloccio l'ha capita sulla ragazza: la vita l'ha spezzata, ma non per questo ha perso la speranza.

Don't Move, un titolo dalla doppia valenza

Don T Move Protagonisti
Kelsey Asbille Chow e Finn Wittrock in Don't Move.

Il titolo Don't Move ha probabilmente una doppia valenza. Da una parte richiama ovviamente la catalessi in cui versa la protagonista per tutta quanta (più o meno) la pellicola. Uno status di completa impotenza nonostante il quale deve riuscire comunque a difendersi dal piano omicida del suo salvatore/rapitore. Intorno a questa trovata ruotano non solo tutti i giochi tensivi e orrorifici della pellicola (tra l'altro solo fino ad un certo punto), ma anche il significato politico sopracitato: la ribellione al patriarcato.

L'intuizione, che è abbastanza prevedibile, ma funziona piuttosto bene per la coerenza con la quale è costruita, risiede nel modo in cui la protagonista recupera un moto interiore, una spinta verso la vita (la stessa che poi aveva individuato il suo aspirante carnefice) che la porta a lottare per sopravvivere. Proprio in una situazione in cui costretta a rimanere immobile. Lotta che avviene quasi come un on the road all'interno di un western evocato tramite la solitudine in cui versa il panorama, metafora di quella di ognuno dei personaggi che si muovono al suo interno.

Don T Move Kelsey Asbille
Una delle sequenze poco ansiogene di Don't Move.

Il problema di fondo di Don't Move è come il mordente si perda troppo presto, portando lo spettatore a non avere mai realmente paura per la sorte dei Rachel e, a dispetto dell'ottima prova di Finn Wittrock, a non avere neanche così tanta curiosità per il rapporto che si costruisce tra i due protagonisti di questo viaggio tra la vita e la morte. Infatti, i vissuti dei vari personaggi così come le modalità con le quali cercano di combattere il senso di abbandono, risultano banali, come se fossero solamente delle scuse per mettere in scena questa trovata. Se letta così, palese quanto la sceneggiatura soffra comunque di una scrittura piuttosto debole.

Conclusioni

Nel catalogo Netflix trovate un perfetto thriller da visione casalinga, Don't Move di Brian Netto e Adam Schindler è una divertissement con un paio di trovate che lo rendono una buona variazione sul genere senza troppe pretese. Gli spunti che regala a livello registico e i giochi di ribaltamento, nonostante contribuiscano a creare un buon meccanismo, sono infatti depauperati da uno svolgimento prevedibile e dai risvolti piuttosto banali.

Movieplayer.it
2.5/5
Voto medio
4.1/5

Perché ci piace

  • L'interpretazione di Finn Wittrock e le evocazioni da western esistenziale.
  • Il gioco basato sui ribaltamenti.
  • Il meccanismo tensivo funziona bene....

Cosa non va

  • ... anche se viene abbandonata anzi tempo.
  • I risvolti tematici e politici sono abbastanza prevedibili.
  • La perdita di mordente nei confronti dello spettatore.