'Disgelo' ecologico
Alaska, 1988. Nella sperduta cittadina di Barrow, poche case e una distesa di ghiaccio e neve ai confini del mondo, il cronista Adam Carlson ha forse in mano l'occasione della sua vita. Proprio mentre sta cercando il modo per lasciare quel gelido centro abitato, in cui il suo lavoro non sembra necessario, Carlson si imbatte in qualcosa che porterà la sua cittadina agli onori della cronaca mondiale: tre grandi balene grigie sono rimaste intrappolate nelle acque ghiacciate al largo della costa, mentre stavano compiendo la loro annuale migrazione nel mese di ottobre. Da semplice curiosità di cronaca locale, il caso dei tre cetacei fa rapidamente il giro del mondo, accendendo i riflettori sulla piccola comunità di eschimesi, loro stessi cacciatori di balene, che nell'occasione cercano in tutti i modi di restituire i tre animali al mare aperto. L'attenzione dei media sul caso porterà a Barrow anche Rachel, stolida attivista di Greenpeace ed ex fidanzata di Adam, la rampante giornalista Jill Jerard della TV di Los Angeles, il magnate del petrolio J.W. McGraw, deciso a scrollarsi di dosso l'immagine di nemico dell'ambiente, e infine gli uomini della Guardia Nazionale, in diretta rappresentanza di una presidenza (quella di Reagan) che, alla fine del suo mandato, vuole lasciare all'opinione pubblica il ricordo di un'impresa a salvaguardia dell'ambiente. Ma gli sforzi congiunti di queste persone non sembrano sufficienti per salvare Fred, Wilma e il piccolo Bamm-Bamm (questi i nomi dati ai tre cetacei) da una sorte che appare inesorabile: l'unica soluzione praticabile sembra così essere quella di chiedere aiuto ai nemici sovietici, un azzardo politico in un mondo ancora rigidamente diviso in due blocchi contrapposti.
Ispirato a una vicenda reale che tenne l'opinione pubblica ambientalista (e non solo) col fiato sospeso, e in particolare al racconto che il giornalista Thomas Rose ne ha fatto nel suo libro Freeing The Whales, Qualcosa di straordinario arriva curiosamente sugli schermi poco dopo l'analogo L'incredibile storia di Winter il delfino: ambientalismo, buoni sentimenti, una storia facilmente in grado di coinvolgere ed emozionare il pubblico, sono i tratti che accomunano le due pellicole, affini nella concezione e nel target di riferimento. Espressioni di un cinema che una volta veniva definito "per famiglie", e che ha nelle tematiche ambientaliste (e in particolare nella difesa di certe specie animali) uno dei suoi motivi preferiti: va detto, tuttavia. che nel caso del film di Ken Kwapis la semplicità del soggetto sfiora spesso il semplicismo, e una certa stereotipazione nella ricostruzione della vicenda (e nella sua resa) fa sì che a latitare, paradossalmente, siano proprio le emozioni. L'ecologismo espresso dal film vuole evidentemente rivolgersi, con asserzioni difficilmente contestabili ma prive della necessaria contestualizzazione, a un pubblico più vasto possibile: ma quelle che la sceneggiatura ci presenta finiscono per essere figure da TV movie del sabato sera, senza sfumature ma soprattutto poco credibili nelle loro manichee e prevedibili opposizioni. La cocciuta e un po' infantile attivista di Greenpeace, interpretata da una Drew Barrymore spesso sopra le righe, è protagonista delle prevedibili schermaglie col perfido petroliere a cui dà il volto Ted Danson, tenuta a bada dal suo più razionale, ma in fondo fiero, ex-fidanzato. Persino i due strampalati inventori che giungono dal Minnesota col loro dispositivo rompighiaccio si rivelano funzionali a un canovaccio già abbondantemente sperimentato, che dalla realtà, evidentemente, vuole prendere solo lo spunto di partenza. In tutto questo, del tutto assente (o quasi) è il contesto degli eventi, la descrizione della vita della comunità eschimese, il contrasto, che poteva dar luogo a spunti interessanti, tra l'impresa a cui collabora la popolazione locale e la loro annuale attività di caccia alla balena. L'improvvisa salita della cittadina dell'Alaska al centro dei riflettori, il suo incontro/scontro con l'ondata di giornalisti, militari e curiosi, l'inevitabile apertura al mondo di una comunità per sua natura chiusa e conservatrice, tutto resta decisamente sullo sfondo, così come sostanzialmente sprecato (anche perché introdotto come voce narrante) appare il personaggio del piccolo Nathan, rappresentante degli abitanti del luogo e teorico occhio attraverso il quale lo spettatore è chiamato a guardare la vicenda. La regia di Kwapis e la colonna sonora caricano di enfasi, come da copione, i momenti in cui lo spettatore è chiamato a una partecipazione emotiva più intensa, ma il semplicismo della narrazione fa in modo che a tale chiamata non si risponda, di fatto, quasi mai. Una certa cura nella confezione, e in scenografie naturali affascinanti ma poco sfruttate in chiave narrativa, non riescono ad allontanare il fantasma della noia, che affiora sovente nei circa 100 minuti della pellicola; questo, nonostante la presenza di un cast in teoria interessante, quanto di fatto mal sfruttato e soprattutto mancante di convinzione (alla già citata Barrymore si aggiungono i poco ispirati John Krasinski e Kristen Bell, rispettivamente nei ruoli del reporter protagonista e della sua ambiziosa collega di Los Angeles). Così, a dispetto del titolo italiano (ma anche dell'originale Big Miracle) questo Qualcosa di straordinario non si lascia ricordare per alcuna caratteristica peculiare, finendo per confondersi con i tanti prodotti analoghi, destinati ad un analogo target, che periodicamente si possono vedere in sala o (più spesso) nel mercato del direct-to-video.
Movieplayer.it
2.0/5