A un diario si parla, a un diario ci si confessa. Questo fanno i protagonisti della prima serie italiana per ragazzi di Netflix di cui vi parleremo in questa recensione di Di4ri. Una serie in 15 episodi, prodotta da Stand By Me, al debutto nel catalogo della piattaforma dal 18 maggio, in attesa di fare il grande salto globale ed essere disponibile in tutti i paesi in cui il servizio è attivo da fine luglio, e capace di affrontare con delicatezza i principali temi cari ai giovani di oggi, attuali nella società contemporanea, dal coming out al rapporto con i genitori e le difficoltà di crescere, tra solitudine e accettazione.
Compagni di classe
Al centro del racconto c'è una classe, la 2D di una scuola media di un'isola italiana, e ne sono protagonisti otto ragazzi: Pietro (Andrea Arru), Livia (Flavia Leoni), Isabel (Sofia Nicolini), Daniele (Biagio Venditti), Giulio (Liam Nicolosi), Monica (Federica Franzellitti), Arianna (Francesca La Cava e Mirko (Pietro Sparvoli). Otto ragazzi diversi tra loro, con i propri gusti, le proprie inclinazioni, le proprie forze e le proprie debolezze. Le proprie storie attraverso le quali raccontare esigenze e problemi di una generazione, spaziando tra i temi che le sono cari, dalle difficoltà di un coming out alle vicissitudini legate alle crisi e le discussioni familiari, dalla dislessia a tutte quelle problematiche relative a uno degli aspetti più delicati e complessi della vita: crescere.
Punti di vista diversi
Gli otto protagonisti di Di4ri ci accolgono nelle loro vite, mettendoci al cospetto delle loro emozioni e gli snodi delle loro esistenze, che a quell'età possono essere vissuti con grandi intensità, che siano i primi baci e amori, gioie e drammi più o meno grandi, litigi, confidenze e complicità. Lo fanno comunicando direttamente con noi, confessandosi, come in un diario, appunto, parlando direttamente in camera, annullando quella barriera che ci impedirebbe di comprenderli: in ogni episodio della serie, infatti, uno di loro è voce narrante e filo conduttore, così il suo punto di vista diventa centrale (mentre la prima puntata, più lunga delle successive, ci introduce a tutti loro). Una scelta e un espediente narrativo che ci è parso riuscito ed efficace nel rendere compiuto l'intento della serie, nel permetterci di entrare nelle loro vite e tra i banchi della 2D.
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Un microcosmo per raccontare il mondo di oggi
Di4ri ci accoglie nel suo microcosmo, che è duplice: la classe, ma anche l'isola da cui parte la storia. Si è girato a Ischia, ma l'isola della serie è un luogo generico, che può essere qualunque isola italiana, nel tentativo di non legarsi a un contesto specifico ma andare oltre nel raccontare questo spaccato di una generazione. Anche in questo caso, ci è parsa una soluzione riuscita, che permette di entrare in sintonia con i giovani protagonisti e i loro altrettanti giovani interpreti, che ha però una conseguenza meno efficace: nel tenersi lontani da una localizzazione specifica, si adotta a volte un linguaggio troppo neutro che rischia di apparire innaturale.
Non un grave difetto, perché i ragazzi, ben guidati da Alessandro Celli alla regia, si dimostrano abbastanza bravi da reggere il racconto: al netto di una predisposizione più o meno spiccata per la recitazione, infatti, il cast di Di4ri riesce ad annullare le distanze da chi guarda e si avvale di alcuni volti più noti che li accompagnano, come Fortunato Cerlino nei panni del bidello della scuola, per creare un insieme riuscito e vivace che sa trasmettere la forza dell'amicizia che li lega e che rappresenta una forza nell'età che stanno vivendo.
Conclusioni
Nel riepilogare la recensione di Di4ri non possiamo che considerare riuscita l’operazione e la prima serie italiana per ragazzi di Netflix, che sa raccontare un interessante spaccato di una generazione grazie a giovani interpreti efficaci che sanno annullare le distanze con lo spettatore. Peccato per alcuni dialoghi meno naturali, complice la scelta, efficace per altri versi, di non definire un luogo specifico per l’ambientazione, ma nulla che rovini la visione.
Perché ci piace
- L’impianto narrativo, che mette di volta in volta al centro del racconto uno dei protagonisti, sposandone il punto di vista.
- Il giovane cast, che funziona sia nei singoli che nella composizione del gruppo.
- L’ambientazione dell’isola, valorizzata dalle scelte di regia e capace di definire il microcosmo in cui si muovono i protagonisti.
Cosa non va
- Alcuni dialoghi meno naturali e forzati, ma che non rovinano la visione.