Recensione Il piacere e l'amore (2006)

Il dilemma dell'uomo moderno è scandito a viva voce in poche, interminabili sequenze; la regia che si avvale quasi continuamente di camera fissa fa il resto, inchiodando ogni concetto, senza possibilità d'equivoco.

Deserto di sentimenti

Isa e Bahar sono una coppia in crisi. Professore universitario lui, concentrato sulla ricerca e su se stesso, produttrice televisiva lei, si trovano in un momento del loro menage in cui l'incomunicabilità ha preso il sopravvento. Troppo egoista lui, uomo di poche parole, infantile ed ipersensibile lei, decidono di separarsi considerandola l'unica via d'uscita. Ma le ragioni del cuore possono condurre a scelte inattese, lasciando i protagonisti coinvolti senza soluzione di continuità.

Minimale e poco originale la sceneggiatura dell'ultimo film di Nuri Bilge Ceylan, Il piacere e l'amore, presentato al Festival di Cannes che lo aveva già visto trionfare con Uzak nel 2003, lascia ampio spazio all'analisi dei sentimenti. Sfumature impercettibili sono tratteggiate in ogni momento per delineare le evidenti difficoltà della società moderna. Coppie distrutte dal silenzio intessuto fra persone che si amano ancora; motivazioni dure che ergono barriere insormontabili, o semplice constatazione che l'amore è fuggito per sempre? Pericolo tanto reale da essere inaccettabile. L'amore finisce o si tenta di mantenerlo in vita fingendo che non si sia mai spento? Difficile capire dove arrivi il limite fra il sentimento autentico e il suo spettro. E' la solitudine che falsa la realtà; l'idea di appartenere ancora a qualcuno, senza considerare se c'interessa che rimanga. Così Isa prova insofferenza per quella moglie silenziosa che lo vive passivamente nell'attesa di un suo riavvicinamento; desidera allontanarsi da lei per risolvere quel silenzio che li insegue ovunque vadano. Discorsi banali, silenzi opprimenti e sguardi vuoti, in cerca di fuga in una risposta che possa cambiare di colpo le cose. L'incapacità di risolvere il nodo che li allontana ogni giorno di più viene riversata nell'interazione con altre persone, alle quali appigliarsi tentando di carpirne un piccolo segreto, facendone barriera al reale problema; oasi fatte di passioni travolgenti, così forti da stordire al punto da non sentire più il dolore del fallimento.
Quando il rumore di fondo si placa, il frastuono si fa più lontano, Isa torna solo, nel deserto dei suoi sentimenti, gelido come una distesa di ghiaccio, ed è proprio in una notte di tempesta, con la neve che appanna i vetri che tenta di recuperare il tempo perduto. Ricreare per poche ore ciò che ha perduto conferma l'ineluttabilità degli eventi.

Sottile l'opera di Ceylan che sceneggia, produce, monta, gira ed interpreta questo momento di riflessione sull'amore. La rappresentazione visiva viene spesso affidata a panorami o eventi atmosferici per spiegare con linguaggio universale la violenza dei sentimenti che avvince come in un turbine chi vi si affida. Nel suo messaggio l'amore è spesso confuso con la passione e viceversa; Isa insegue vecchi sogni e distrugge la realtà nel tentativo di capire quanto già evidente ai suoi occhi. La crisi personale è un pretesto per coinvolgere tutto ciò che ha di più caro senza giungere ad alcuna conclusione. Il dilemma dell'uomo moderno è scandito a viva voce in poche, interminabili sequenze; la regia che si avvale quasi continuamente di camera fissa fa il resto, inchiodando ogni concetto, senza possibilità d'equivoco.
Un uomo e una donna: esseri che tentano di sopravvivere l'uno all'altra in una lotta alla sopravvivenza, in un inseguimento di sentimenti che li sorprenderà ancora fragili.
Molto diretto il linguaggio espressivo che crea un'atmosfera di costante partecipazione alla vicenda; il rischio però è di perdersi in tempi a volte troppo lunghi.

Buone le interpretazioni, in particolare Ebru Ceylan che porta sullo schermo una sofferta Bahar, bellissima e fragile, ma dignitosamente forte nel suo dolore.