Avrebbe dovuto uscire il 7 marzo, ma l'abbondanza dei film italiani in arrivo nelle nostre sale questo fine settimana, termine ultimo per poter essere considerati eleggibili ai prossimi David di Donatello, ha convinto i distributori a spostare la data di uscita di Nelle tue mani. Realizzato senza l'aiuto del finanziamento statale, non essendo stato considerato di interesse nazionale, e presentato allo scorso Festival di Torino, il nuovo film di Peter Del Monte ha come protagonisti Kasia Smutniak (nella foto) e Marco Foschi che interpretano una giovane coppia che s'incontra per caso e s'innamora, ma dopo il matrimonio e la nascita di una bambina deve affrontare inquietudini che condurranno al disastro. Il film è stato presentato oggi a Roma dal regista e dai due attori protagonisti.
Peter Del Monte, qual è stata la genesi del film?
Peter Del Monte: Oggi i film si affrontano generalmente per tematiche così da esprimere la propria indignazione verso un particolare aspetto della vita. Una volta, invece, i registi trovavano motivazioni più poetiche. Io preferisco attenermi a questo "indefinito" perché poi si traduce in qualche modo nella natura stessa del film che non è perfettamente classificabile, che è appunto indefinibile. Amo il cinema astratto, così come amo gli attori astratti, cioè quelli che mentre recitano hanno una parte di loro che è da qualche altra parte.
Qual è il percorso che l'ha portata a costruire i personaggi?
Peter Del Monte: Parto sempre dal maschile, quindi da me. Già altre volte nei miei precedenti film ho raccontato personaggi apparentemente stabili, sicuri di sé, a cui improvvisamente capita qualcosa di inaspettato che finisce per sconvolgere il loro equilibrio. Ho una predilezione per personaggi femminili inquieti, un po' disturbati, fa parte delle mie cattive inclinazioni e le sconto. Teo è un astrofisico, un uomo razionale che ha bisogno di certezze e rassicurazione. Il suo impatto con Mavi, che rappresenta l'ignoto, è il suo viaggio "into the wild", per riprendere il titolo del bel film di Sean Penn che ho visto recentemente, ma a differenza del protagonista del film di Penn, Teo non ha bisogno di andare in Alaska per questo contatto con l'ignoto che gli fa riscoprire se stesso. C'è una frase nel film di Penn che dice "se c'è la possibilità che la ragione governi la vita, allora non c'è la vita", un punto di vista che sposo in pieno. Il caos che ci spaventa tutti e che entra nella vita del protagonista fa parte della vita e del mistero del cosmo su cui lui indaga.
Come mai il personaggio femminile del film è così tormentato?
Peter Del Monte: Provo sempre un po' di fastidio nel vedere come il cinema italiano rappresenti il femminile, al quale, nella migliore delle ipotesi, ci si accosta in modo idealizzato, con un atteggiamento adolescenziale. Credo che sia finito storicamente il periodo in cui si parlava mettendo su un piedistallo il femminile, perché le donne vanno guardate per quello che sono, un misto di luce e tenebra. Galimberti, un filosofo che si esprime spesso sulla maternità, invita, anche alla luce dei fatti di cronaca, a considerare la maternità stessa non come un approdo di rassicurazione e calore, ma portatrice di una zona d'ombra latente che se non controllata può deflagrare. E' il momento di chiamare le cose col loro nome.
Nel film lei parte da una famiglia tradizionale, con madre, padre e figlia, per poi arrivare alla fine a una famiglia allargata, con figli nati da altre relazioni. Era nelle sue intenzioni procedere ad uno smantellamento della famiglia tradizionale?
Peter Del Monte: Mentirei se dicessi che il mio intento nel fare il film era di questo tipo, perché non rientra nelle mie corde raccontare la realtà italiana, fare un piccolo affresco sociale. Il film potrebbe per esempio anche sembrare anti-abortista a qualcuno, ma non era certo quella la mia intenzione.
Altro motivo di dibattito del suo film potrebbe essere questo accenno alla differenza di religione tra i due protagonisti: lui ebreo, lei cattolica. Perché ha voluto mettere in evidenza questo particolare?
Peter Del Monte: Non ho voluto mettere a confronto e in contrasto due personaggi di religione diverse per inserirmi in un tema su cui si discute spesso oggi, ma m'interessava semplicemente raccontare il background di Teo, il protagonista maschile, perché anch'io sono ebreo e quindi sono cose che conosco.
Come mai la scelta per il ruolo della protagonista è caduta su Kasia Smutniak?
Peter Del Monte: A me interessano i contrasti. Avendo scritto un personaggio così turbolento, con continue accensioni di furore, avevo bisogno al tempo stesso di un segnale più positivo. Facendo i provini Kasia ha tirato fuori tutto questo e ho visto in lei la possibilità di esprimere un appello segreto, una richiesta inascoltata.
Kasia Smutniak, come si è preparata al ruolo?
Kasia Smutniak: Il primo giorno sul set ho cancellato tutta la mia preparazione perché ho capito che c'era bisogno di un lavoro diverso. Ho buttato al vento tutte le mie idee e mi sono affidata completamente a Peter. La mia Mavi è un personaggio difficile e l'unica cosa che ci legava era che mentre giravo anch'io come lei avevo una figlia di un anno e mezzo. Questo mi ha permesso di giustificare certe sue reazioni, ma da lei mi divide una linea molto sottile che non attraverso mai, sia per come sono cresciuta che per la mia capacità di distinguere il bene dal male. Mavi è un animale che non guarda al dopo, ma solo al presente, e come le volpi abbandona il proprio figlio per seguire il suo istinto. La sua non è pazzia, ma uno stato normale.
Come ha affrontato la scena del film in cui, all'apice del suo tormento interiore, si denuda completamente per strada?
Kasia Smutniak: In quella scena il personaggio raggiunge il punto massimo del suo autolesionismo, della sua sofferenza. Per me però ci sono state altre scene dove ho umanamente raggiunto l'apice. La scena più dura da affrontare è stata quella del parto. In fondo credo che spogliarsi dei propri sentimenti sia più difficile che spogliarsi fisicamente. E' una scena che doveva essere molto forte, Mavi non ce la fa più e questo suo spogliarsi dei vestiti significa per lei lasciare dietro il presente, tutte le cose che la legano all'adesso. Forse questo denudarsi rappresenta per lei una rinascita.
Marco Foschi, come ha affrontato il suo personaggio?
Marco Foschi: Mi sono affidato alla materia che Peter ben conosceva avendola scritta. Ho letto la sceneggiatura un anno prima dell'inizio delle riprese e quindi ho avuto tutto il tempo di lasciarla sedimentare dentro me. Mi sono messo in una situazione di ascolto e accoglienza propria del mio personaggio. Teo è attratto dai misteri dell'irrazionale, sia nel lavoro che nella vita. La sua dolcezza e la sua capacità di comprensione sono stati un insegnamento per me.
Come sceglie i suoi ruoli?
Marco Foschi: Ho sempre scelto i progetti a cui partecipare, non ho mai accettato a scatola chiusa solo per la riuscita certa di una tale operazione. Quando inneschi un meccanismo simile poi sono gli altri che ti vengono a cercare. Spesso i progetti più contenutistici rispetto al cinema mainstream non sono tutelati a monte e non godono dei finanziamenti pubblici. In questo senso uno tenta, camminando come un funambolo, di salvaguardare la propria possibilità di scelta.