Da un romanzo iconico, epico e complesso come quello di Salman Rushdie, che racconta, attraverso gli occhi di un figlio della nuova borghesia, un sessantennio di storia indiana, la regista Deepa Mehta ha tratto un film che farà discutere. Altrettanto complesso del suo prototipo letterario, elaborato ma disunito, intimista e sfarzoso insieme, I figli della mezzanotte risente probabilmente della difficoltà a trasporre un romanzo come quello di Rushdie (anche autore della sceneggiatura) in un'opera di due ore e mezza. Resta comunque l'importanza dell'opera e la cura visiva con cui è stata realizzata, oltre all'indubitabile talento della sua regista, già candidata all'Oscar per il suo Water, e tra i nomi più importanti dell'attuale panorama indiano.
Proprio Deepa Mehta ha presentato il film alla stampa romana, in una città in tilt per lo sciopero dei trasporti pubblici, insieme al produttore David Hamilton, che prosegue così il suo sodalizio artistico con la regista indiana.
Come avete affrontato registicamente questa sfida? Com'è nata l'unione con Salman Rushdie?
Deepa Mehta: Conosco Salman da 7-8 anni, siamo amici, da anni parliamo di un film tratto da un suo libro. Inizialmente volevamo fare Shalimar il clown; una sera però a cena abbiamo parlato de I figli della mezzanotte, io gli ho chiesto chi detenesse i diritti del libro e lui ha detto "io". A quel punto gli ho chiesto se gli avrebbe fatto piacere se mi fossi occupata io della trasposizione cinematografica, e lui mi ha dato carta bianca, mi ha detto "_vai pu_re".
David Hamilton: Io non ero a cena con loro, Deepa me l'ha detto in seguito. La storia è molto profonda e complessa; alla fine, Salman è riuscito a scrivere una sceneggiatura che fosse fedele alla sua storia ma rientrante nei canoni della durata di un lungometraggio.
E un eventuale film su questa vicenda, lei lo dirigerebbe?
Sì, ne parlavo proprio oggi... credo sarebbe un film molto interessante da girare.
Come nasce l'idea della magia che si vede nel film? C'è qualcosa di vero, o si tratta di una leggenda?
No, non è una storia vera. I poteri magici in realtà sono immaginari: sono una metafora per il potenziale dei ragazzi, e una metafora più generale della speranza per l'India. Non volevo che l'elemento magico apparisse come nei film di Harry Potter o degli X-Men. Il nostro modello era semmai un film giapponese, I racconti della luna pallida d'agosto di Kenji Mizoguchi: anche lì c'era una magia basata sul realismo.
Lui non voleva scriverla, diceva che gli era bastato scrivere il libro. Ognuno di noi due voleva che fosse l'altro a scrivere la sceneggiatura. Anche David, però, voleva che se ne occupasse lui, perché è un libro molto complesso; inoltre, è molto simbolico, e solo lui poteva metterci le mani permettendosi anche di "mancargli di rispetto".
Andate ancora a cena insieme, ora?
Certo! L'amicizia continua, anche se su qualche cosa siamo stati in disaccordo. I dissidi, comunque, si sono sempre risolti, siamo sempre riusciti a parlare senza litigare.
Lui ha ripreso in mano questa storia dopo decenni. Si può dire quasi che sia stata riscritta da un'altra persona.
Esatto, ed è questo il motivo per cui l'abbiamo voluto. Ha avuto l'oggettività necessaria, il necessario distacco per guardare il libro da un punto di vista più esterno. Dopo 30 anni, ha mantenuto per la storia lo stesso affetto, ma è diventato ormai una persona diversa.
Io ho avuto momenti difficili con la censura, in passato, per esempio Water fu bloccato. Da allora, però, le cose sono sempre andate bene, non ho avuto più problemi e i miei film sono sempre usciti in India, anche con ottimi risultati. Con Salman ne abbiamo parlato, ma abbiamo accettato i rispettivi, potenziali problemi: la paura paralizza la creatività. Questo libro, comunque, è molto amato in India, è stato subito accolto bene e non ha mai creato controversie, a differenza de I versetti satanici. Il film è tranquillamente passato per la censura senza subire tagli, e di questo sono molto felice.
Ha mai pensato di adattare I versetti satanici?
No, già fare questo film è stato difficile. Non oso immaginarmi come potrebbe essere adattare un libro come quello.
Sono sfide diverse: qualche volta fare film più piccoli è più difficile che farne di grandi. Già Earth, comunque, aveva una scala più grande di Fire e Water. In qualche modo, comunque, ogni film ti prepara al successivo, e io li affronto allo stesso modo, che siano piccoli o grandi. Il film, comunque, è sostanzialmente la storia di un giovane che cerca un'identità, una casa e una famiglia: come diceva il mio maestro, Luis Bunuel, laddove sei particolare, là diventi universale. In questo caso, la storia di Saleem diventa la storia di tutta l'India.
In che lingua è girato il film?
Per l'80% in inglese, poi ci sono sette delle lingue che vengono parlate in India: tra queste, un po' di kashimiri, bengalese e urdu, che è la lingua che si parla in Pakistan.
Il film sarà distribuito anche in Pakistan? David Hamilton: Non credo, visto che lì non c'è più una vera e propria industria di distribuzione in sala. Uscirà però in DVD, visto che la società di distribuzione per l'home video è la stessa che lo ha fatto uscire in sala in India.
Sembra che, ultimamente, l'immagine del cinema indiano sia affidata soprattutto a donne... Deepa Mehta: E' vero, e penso sia una gran cosa!Qual è stato il budget? David Hamilton: In tutto, 10,7 milioni di dollari. Girare con una cifra del genere sarebbe stato impossibile se non lo avessimo fatto in Sri Lanka: quel paese, non essendo stato in guerra, è cambiato pochissimo negli ultimi decenni. In India, appena giri lo sguardo trovi un grattacielo: lì, invece, è stato molto più facile trovare le location.
Come avete deciso cosa mettere e cosa escludere dal film, della storia originale? Deepa Mehta: Prima di scrivere qualsiasi cosa, io e Salman ci siamo separati, siamo tornati ognuno a casa propria e abbiamo buttato giù, separatamente, due bozze della storia, per punti molto schematici. Quando ci siamo reincontrati per confrontarle, abbiamo visto che ciò che avevamo scritto era quasi identico. Quando abbiamo iniziato a girare, comunque, lui non era presente; ma durante le riprese ho dovuto anche aggiungere delle scene rispetto al libro, che avrebbero funzionato meglio al cinema: ad esempio, nel libro non c'è l'espediente del cesto magico con l'abracadabra, così come manca l'incontro tra Shiva e Saleem.
Voi avete raccontato i figli della mezzanotte. Come si immagina i nipoti?La nostra è un'economia che cresce a un ritmo vertiginoso, ma è anche tra quelle che creano più disparità. Ci sono differenze enormi tra ricchi e poveri, che tendono a crescere. Io spero che nel futuro queste disparità si attenuino, questo è l'auspicio che faccio per il nostro paese: se dovessi realizzare un film sull'India attuale, dovrei parlare proprio di queste enormi differenze.
In India ci sono moltissime religioni, ma nel film è rappresentata principalmente la parte musulmana. Come mai?
Saleem viene da una famiglia musulmana, ma è innanzitutto indiano. L'India è un crogiuolo di tantissime religioni diverse: la storia è incentrata su un ambiente musulmano, ma si vedono rappresentate anche le altre religioni. La scena finale, poi, rappresenta bene questo mix.
In India, il cinema viene mai usato nelle scuole, come strumento educativo?
Il cinema in India è un'industria, ed è innanzitutto intrattenimento. Ultimamente, però, c'è una maggiore presenza di film d'autore, opere indipendenti che vengono proiettate anche nelle scuole e nei villaggi. Certo, si tratta di una percentuale ridotta: su 1500 uscite annuali, quelle di questo tipo saranno sì e no 20.
Quali sono i suoi prossimi progetti?
Per ora, mi preparo a fare una lunga dormita!