Dear Comrades!, la recensione: la fine degli ideali

La recensione di Dear Comrades, il nuovo film di Andrei Konchalovsky, presentato in concorso a Venezia 77.

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Dear Comrades: una scena del film

Per iniziare la recensione di Dear Comrades vogliamo sottolineare sin da subito la scelta stilistica del regista Andrei Konchalovsky. Il suo nuovo film, presentato in Concorso a Venezia 2020, è girato in bianco e nero e in 4:3. Una scelta che vuole, sin dalla decisione di inserire l'inno dell'URSS gracchiante - come appartenente a un vinile ormai consumato - nei titoli di testa, mettere in scena qualcosa che non esiste più, di antico. Le prime immagini ci mostrano invece una coppia, appena dopo aver fatto l'amore, che discute sull'attualità socio-economica dell'URSS del 1962, anno in cui è ambientato il film, mentre, all'interno della stessa stanza, fiori di pioppo volteggiano nell'aria e si posano su di loro, come fosse polvere. Basterebbe questa prima sequenza per rappresentare la parte migliore del film di Konchalovksy, un'opera che, nonostante una regia molto attenta e quadrata, non coinvolge quanto vorrebbe.

La fine del sogno

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Dear Comrades: un'immagine del film

Siamo a Novocherkassk, cittadina dell'URSS dove sta avvenendo una manifestazione di operai che vogliono protestare contro il taglio dei loro stipendi. È un periodo delicato per l'URSS coinvolta nella Guerra Fredda con l'America e diverse difficoltà economiche che stanno fratturando a poco a poco la fiducia dei cittadini nei confronti del governo. Durante questa manifestazione, che prende una deriva violenta, molti dei protestanti vengono uccisi a causa di una sparatoria ordinata dal governo per reprimere lo sciopero. Lyudmila, una donna militante nel partito comunista, assiste a tutto questo e scopre che la figlia diciottenne, unita ai manifestanti, è scomparsa. Forse è morta. Per la donna inizia una ricerca personale tra coprifuoco, sotterfugi e un generale clima di paranoia che la porterà, da funzionaria del governo per cui prova cieca fiducia, a dubitare della riuscita del progetto comunista. Il discorso che vuole intavolare Konchalovsky è duplice: nostalgico verso un periodo storico - quello dei suoi genitori - dove si viveva nella piacevole utopia di creare una società nuova e idealistica; critico verso il fallimento del sogno politico che si è scontrato contro l'ineluttabile realtà dei fatti. Proprio nel personaggio di Lyudmila convivono queste due anime: da una parte la sua fiducia verso le istituzioni sembra essere intoccabile anche nei momenti in cui si scontra con il malcontento generale e la cruda realtà (spesso, soprattutto a inizio film, difende l'operato governativo e parla di momenti di difficoltà naturali e temporanei, come se lei stessa fosse intrisa della retorica su cui il governo si fa forza), dall'altra parte, però, sembra anche riconoscere le difficoltà insormontabili e l'incapacità di realizzare l'utopia comunista da parte del governo arrivando spesso a rimpiangere Stalin (un po' ricordando "i bei tempi in cui tutto funzionava").

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L'inizio della speranza

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Dear Comrades: una foto del film

Il film riesce ad evitare il pericolo di scadere nella faziosità riuscendo a bilanciare molto bene i diversi punti di vista. La scelta estetica del bianco e nero e del 4:3 convince proprio nel richiamare un mondo pieno di ideali e convinzioni così cieche e utopistiche che ormai non esiste più, di cittadini attivi politicamente che credono fermamente di vivere nel migliore delle realtà e che lottano fino alla morte. Evitando la retorica eccessivamente nostalgica (nonostante il titolo "Cari compagni!" ha indubbiamente un gusto malinconico) il film procede, però, senza grosse sorprese e senza riuscire a spingere nel lato del coinvolgimento emotivo. Colpa anche dei personaggi che, sebbene tra l'inizio e la fine del film riusciranno ad evolvere e ad arrivare a nuove consapevolezze sul mondo che li circonda, risultano poco approfonditi ed eccessivamente freddi. Non si ha mai la sensazione del panico e dell'ansia che la madre dovrebbe provare durante la ricerca della figlia e, di conseguenza, persino nel finale non si ha quella conclusione forte che il film avrebbe meritato. Se il modello sembra essere un altro capolavoro del cinema russo, quel Quando volano le cicogne di Michail Kalatozov, purtroppo il film di Konchalovsky non ne replica né la potenza narrativa né la cura fotografica. Un peccato perché, da qualche parte, ci sarebbe un film decisamente migliore.

Conclusioni

Concludiamo la nostra recensione di Dear Comrades con un po’ di amaro in bocca nei confronti del nuovo film di Andrei Konchalovsky. A un impianto formale decisamente riuscito e funzionale al racconto, capace di coinvolgere punti di vista diversi verso quel periodo storico senza risultare troppo fazioso, non si accompagna un vero coinvolgimento. Colpa sia dei personaggi che dello sviluppo della storia che procede e si conclude senza che ci sia una vera tensione tale da riuscire a creare un’empatia tra schermo e spettatori.

Movieplayer.it
3.0/5
Voto medio
5.0/5

Perché ci piace

  • Un’ottima regia e un buon impianto formale, adatto alla storia che vuole essere raccontata.
  • Il film non scade in facili faziosità e allo sguardo nostalgico unisce un sentimento di cambiamento moderno.

Cosa non va

  • Proprio per questo motivo non c’è molto coinvolgimento e il film rimane in una via di mezzo poco interessante.