Complessa, intricata, difficile, tanto da generare meme e battute tra i social sulla sua incomprensibilità, eppure - una volta entrati nel suo mondo e nelle sue regole - anche particolarmente divertente. Terminati gli otto episodi che formano la terza e conclusiva stagione della serie, Dark si è dimostrata pure decisamente appagante (ne abbiamo parlato nel dettaglio nella nostra recensione senza spoiler). Sono stati di parola i creatori Jantje Friese e Baran bo Odar quando invitavano tutti i fan alla pazienza tranquillizzandoli sul fatto che, una volta giunti alla fine, tutti i misteri sarebbero stati svelati. Arrivati per l'ultima volta ai titoli di coda (finalmente con una musica diversa) abbiamo avuto la sensazione che, al di là della narrazione estremamente intricata, il viaggio (nei tempi) sia stato soddisfacente. L'ultima ora di Dark riesce a risolvere, con molte immagini e tante emozioni, la lunga odissea di Jonas e Martha. Cos'è realmente successo e, alla fine di tutte le 26 puntate, qual era il vero senso di Dark? Ecco la spiegazione del finale di Dark 3: vi promettiamo che cercheremo di essere chiari!
Adam ed Eve
Siamo stati sorpresi una volta di più. All'inizio pensavamo di aver capito la logica dei viaggi del tempo, salvo poi scoprire che i rapporti di causa-effetto tra i personaggi e le loro discendenze, tra passato e presente, erano colmi di paradossi (il primo e più shockante: Michael, il padre di Jonas che si è suicidato, era in realtà Mikkel, il bambino figlio di Ulrich che, una volta tornato indietro nel tempo aveva cambiato nome). Poi sembrava che ci fosse una personalità misteriosa (Noah? Adam?) che, come un burattinaio, controllava tutti i personaggi "guidandoli" verso un destino predefinito e irrimediabile giungendo all'Apocalisse e la distruzione di Winden. Infine, un colpo di scena nel finale della seconda stagione aumentava ancora di più la posta in gioco: non esisteva un solo universo dove Jonas (che poi era lo stesso Adam una volta diventato anziano, vi state già perdendo?) aveva causato la morte dell'amata Martha, ma pure una realtà alternativa con gli stessi personaggi ma diverse relazioni e quindi diversi paradossi dove Martha ancora viveva e non esistevano Michael e Jonas. Nel corso della terza stagione il confronto principale sembrava essere una sfida sul controllo o la distruzione del loop paradossale tra Adam (ovvero Jonas, nella realtà che fin da subito abbiamo conosciuto) e Eve (ovvero Martha, la "burattinaia" della realtà alternativa). Due facce della stessa medaglia che provavano a rompere un loop infinito impossibile da rompere, che tentavano di sacrificare uno dei due mondi per rompere il nodo temporale che loro stessi avrebbero generato. Tra tutti i colpi di scena, tra finte ribellioni e personaggi che provavano a riprendere il controllo del loro destino, fallendo, potremmo riassumere tutto questo conflitto in un solo aggettivo: ininfluente. È il principio di autoconsistenza di Novikov che afferma che il passato e il futuro non si possono cambiare, tutte le azioni portano alla verifica e non al cambiamento.
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La sorpresa della triade
Sembra essere un loop infinito, un ciclo continuo, un nodo temporale che si riavvolge continuamente su sé stesso (e sottolineato nel corso della serie dall'albero genealogico che si conclude con il simbolo dell'infinito come figlio di Jonas e Martha) fino a quando Claudia Tiedemann, un personaggio che è stato anche una guida per i viaggiatori del tempo, ci renderà nota la verità: entrambe le realtà che conosciamo, quella di Adam e di Eve, sono realtà alternative create - viene da prendere alla lettera la frase "Sic mundus creatus est" - da un evento che ha a che fare con l'accensione della macchina del tempo di Tannhaus, appartenente invece al nostro vero mondo, alla nostra vera realtà. Secondo la frase ripetuta continuamente dai personaggi per cui "il principio è la fine e la fine è il principio" quella che noi spettatori conoscevamo come l'Apocalisse, cioè la fine del mondo, era in realtà anche l'inizio e la creazione di quel mondo (o, per dirla in termini biblici, la genesi). L'Apocalisse nasce nel tentativo di Tannhaus, lo scienziato che ha creato la macchina del tempo, di evitare la morte del figlio (e con lui nuora e nipote) in un incidente stradale. Jonas e Martha, mentre rivivono l'Apocalisse, riusciranno a penetrare in quell'attimo infinitesimale in cui il tempo si è fermato e viaggeranno attraverso un portale spazio-temporale che li farà entrare nella vera realtà. Il loro obiettivo? Impedire la morte del figlio di Tannhaus. In questo modo lo scienziato non proverà a modificare il corso del tempo, i due mondi alternativi non vedranno mai la luce e Jonas e Martha scompariranno rompendo finalmente il loop nel quale i loro mondi erano condannati. L'ennesimo esempio della scrittura ragionata di Dark: un colpo di scena che avviene a sorpresa, eppure non avrebbe dovuto meravigliarci essendo il simbolo della triade presente fin dall'inizio della serie (un'immagine è ben presente nel quaderno che Noah porta con sé).
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L'amor che scioglie i nodi e diventa stelle
Jonas e Martha, dopo essere usciti da un tunnel che richiama il tesseract e dona un nuovo senso alle immagini specchiate della sigla (due che diventano uno, finalmente, al centro di tutto), una volta compresa la loro missione, riusciranno a evitare la morte del figlio di Tannhaus. Non è una conclusione spettacolare o adrenalinica, non si percepisce nemmeno una corsa contro il tempo: il loro è un atto di sacrificio - perché una volta compiuto lo scopo della loro presenza sono destinati a scomparire - che ristabilisce il predominio dell'amore dichiarato. È quasi un sollievo per noi spettatori assistere non solo alla risoluzione dell'intricata matassa narrativa (alla fine potremmo arrivare ad affermare provocatoriamente che tutta la fatica nel ricostruire temporalità e relazioni dei personaggi non fosse così importante), ma anche finalmente a un vero amore dichiarato e mostrato. In una serie in cui tutti i personaggi si portavano dentro segreti, sentimenti inespressi, odio rancoroso che esplodeva a distanza di tempo (e a distanza nel tempo), venire a conoscenza che l'inizio di tutto (e la fine della serie) sia il tentativo di un padre di salvare suo figlio dalla morte e potergli dimostrare il suo amore è di una bellezza commovente. Ecco, allora, che le realtà parallele e alternative che evaporano lentamente in una polvere di stelle sembrano sancire l'importanza dell'amore, dell'affetto, della famiglia a livelli astrali. Jonas e Martha, le due facce della medaglia, la coppia perfetta unita in un legame intrappolato nell'infinito, diventano stelle, parte dello stesso universo, puntini luminosi che brillano nell'oscurità.
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Un'ultima scena che riavvia il loop?
C'è un epilogo che gioca un'ultima volta con lo spettatore e le sue aspettative. A tavola, durante una cena, sono seduti alcuni dei personaggi principali, gli unici che non sono nati dal nodo temporale (ovviamente, essendo questa la realtà vera, le relazioni sentimentali sono ancora diverse da quanto abbiamo visto precedentemente) tra cui Hannah, la madre di Jonas, che è incinta. Scherzando gli amici brindano alla fine di Winden e d'un tratto avviene un calo di tensione elettrica, simile a ciò che succedeva nel momento dell'Apocalisse, o quando qualcuno usava la porta della misteriosa grotta per attraversare la dimensione temporale. Lo sguardo di Hannah si posa su un giubbotto giallo, simbolo iconico della serie, lo stesso indossato da Jonas nella realtà di Adam e a seguire da Martha nella realtà di Eve. Hannah sembra scossa. Forse ricorda qualcosa? Le è venuta una qualche consapevolezza? In qualche modo il loop è ricominciato? Hannah descrive la situazione in maniera precisa ricordando ciò che ha sognato: la luce andava via, il mondo finiva. Per fortuna, invece, la luce torna. Non ricomincia nessun loop, il nodo è definitivamente sciolto, la realtà esistente è solo una. Nel momento di pensare al nome del bambino che porta in grembo, Hannah torna a ricordare quel sogno, quel senso di deja-vu sembra darle qualche illuminazione e pronuncia un nome: Jonas. Suo figlio si chiamerà Jonas. In qualche modo, all'interno di una dimensione onirica e irraggiungibile, ci piace pensare che esistano ancora universi paralleli.
Cosa rimane del finale di Dark
Una volta capito il meccanismo della serie e averne compreso, anche solo in linea generale il finale, potremmo considerare l'intero progetto Dark come qualcosa di molto semplice, a tratti inutilmente complicato. Si tratta di un semplice gioco degli sceneggiatori che si sono divertiti a nascondere un tema e una storia facile e accessibili sotto ininfluenti intrighi temporali? Questa domanda ci porta a compiere una riflessione più generale sul modo in cui usufruiamo della nuova serialità televisiva. È indubbio che una serie come Dark sia una mosca bianca in un panorama produttivo in cui le opere, molto spesso, cercano di andare incontro allo spettatore, di inseguire i suoi gusti e i suoi desideri. In una parola, cercano di rassicurarlo. La vera sfida di Dark è stata invece quella di metterlo alla prova, sfidarlo apertamente dandogli nel corso di tutte le tre stagioni svariati indizi nell'attesa che lui solo potesse risolvere gli enigmi della serie. Una partita che gli sceneggiatori sapevano di vincere. Hanno colto in tutti noi, spettatori non più abituati agli indovinelli, una vera e propria manna. In Dark non c'era nulla di davvero complesso, ma ci siamo lasciati immergere senza bussola all'interno della sua struttura narrativa godendo nel perderci. L'ennesima dimostrazione di quanto possa cambiare una storia attraverso il modo in cui questa ci viene raccontata. Ecco perché quello che rimane del finale di Dark è il senso di piacere dell'aver provato qualcosa di nuovo che non accadeva da tempo: la sconfitta dello spettatore nei confronti dell'opera. Il nostro augurio è quello di vedere sempre più spesso opere come Dark, capaci di metterci alla prova e sfidarci apertamente. Anche se questa volta siamo tutti perdenti, abbiamo voglia di una rivincita.