Il maestro del brivido Dario Argento scomoda Stephen King, Hitchcock e Edgar Allan Poe per definire il proprio modo di fare cinema. L'occasione è il Giffoni Film Festival dove il regista approda per ritirare il premio Truffaut e per tenere una masterclass sul cinema horror. Caustico e lapidario più del solito, Argento si dichiara preoccupato per la situazione in cui versa il cinema italiano, soprattutto quello di genere, che lo ha spinto a cercare vie alternative e finanziamenti all'estero, ma si dimostra più disponibile quando si tratta di ripercorrere la sua lunga carriera. Una carriera costellata di successi, che gli hanno valso il titolo di re dell'orrore, ma anche di passi falsi che la critica non gli ha perdonato. Eppure il regista non sembra pago, svelando di guardare con interesse al teatro e alla televisione come forme d'arte alternative.
Da maestro dell'horror, per saper spaventare a dovere il pubblico è più importante puntare sulla regia o sulla sceneggiatura di un'opera?
Dario Argento: Scrittura e messa in scena sono due aspetti collegati e consequenziali. Quando scrivi qualcosa di terrificante la mente viaggia e senti la necessità di visualizzarlo e viceversa.
Quale è la cosa che ti spaventa di più?
La mia metà oscura, il mio profondo. E' qualcosa che tutti abbiamo, ma non tutti sono in grado di esplorarla.
Attraverso i tuoi film sei riuscito a esorcizzare le tue paure?
No, non li faccio per esorcizzare le mie paure. Li faccio perché sento il bisogno di farli, è più un'esigenza interiore.
Senti la necessità di rappresentare gli aspetti brutali e turpi dell'essere umano solo ai fini della spettacolarizzazione o anche perché, con la tua opera, vuoi trasmettere qualche messaggio?
Come dice Stephen King, io ho la capacità di dialogare con la mia metà oscura, con il mio inferno personale. Io mostro ciò che ho dentro perché ho avuto questo dono dalla natura.
Confermo. Le mani degli assassini sono sempre le mie, sia che si tratti di un uomo sia di una donna. E' stato a causa del mio primo film, L'uccello dalle piume di cristallo. Nel film era prevista la presenza di numerosi dettagli di una mano, ma l'attore chiamato a compiere le violenze secondo me non lo faceva bene, allora ci ho pensato io. La volta successiva mio padre, che era produttore, mi ha proposto di ripetere l'esperienza.
E' vero che la tensione verso il funzionamento della psiche e le sue derive, al centro di quasi tutti i tuoi film, è uno degli ingredienti principali del tuo successo?
Sono un appassionato di psicanalisi freudiana e credo che la psiche abbia infiniti meandri da scoprire. Ci ho fatto un film, La sindrome di Stendhal. Probabilmente questi argomenti intrigano il pubblico.
Quali sono i tuoi maestri?
Ne ho avuti tanti. Prima di fare il regista ho fatto il critico e ho visto tanti film più e più volte. Se vuoi fare cinema la cosa più importante è guardare film perché la teoria da sola non ha valore.
Come interpreti i cambiamenti avvenuti nel genere horror dagli anni '70 a oggi?
I cambiamenti rispetto al passato sono drammatici. Il cinema oggi è governato dal denaro, perciò si fanno film in un certo modo per garantire il recupero degli investimenti. La suspence ha lasciato il posto alle scene a effetto, alle trame facili. Trovo molto interessante l'horror orientale, soprattutto quello coreano. Tra l'altro sono molti gli autori che dichiarano di ispirarsi a me, ma in generale la situazione non è positiva.
In quasi ogni film ho sperimentato una tecnica nuova. Il 3D è stato importante perché mi ha permesso di creare un orrore quasi tangibile, ma in generale la tecnologia ha influenzato profondamente il mio cinema.
Perché alla gente piace avere paura?
Perché la paura è uno dei sentimenti più forti che possiamo provare.
Molti dei tuoi film sono stati girati a Torino. Cosa rappresenta questa città per te?
Molti anni fa quando ero un ragazzino mio padre andò a Torino per lavoro e io lo accompagnai. Era inverno, aveva piovuto da poco ed era tutto bagnato. Ne rimasi affascinato e anche profondamente turbato. Quando, anni dopo, ho deciso di girare il mio primo film sono tornato a esplorare Torino e ho scoperto tanti angoli misteriosi di Torino.
Quale, tra tutti i personaggi che hai creato, è quello a cui sei più legato?
Non ce l'ho, ma ho amato molto lavorare con Jennifer Connelly, con mia figlia Asia Argento e con Jessica Harper, la protagonista di Suspiria. Nomino attrici donne perché quasi sempre le protagoniste dei miei film sono donne. Le trovo molto più interessanti degli uomini.
Preferisci realizzare horror classici o thriller?
La mia carriera, in effetti, oscilla tra thriller e horror. Gli horror attingono a un immaginario più classico, fatto di streghe, fantasmi, Dracula, mentre i thriller sono più legati all'inquetudine di vivere. Però entrambi i generi attingono alla stessa fonte, che poi sarei io.
Uno dei tuoi maestri, non cinematografici, ma letterari, è Edgar Allan Poe.
Sono stato profondamente influenzato da Edgar Allan Poe. Da piccolo ho contratto una fastidiosa febbre che mi ha costretto a letto per settimane. La mattina, quando restavo solo a casa, pescavo dalla biblioteca dei miei genitori. Grazie a Edgar Allan Poe ho scoperto un mondo incredibile di cui nessuno mi aveva mai parlato. Un mondo fatto di fantasmi, inquietudini e follia. Poe mi ha permesso di esplorare il lato oscuro della psiche.
Hai paura quando guardi i tuoi film?
No, li ho fatti io quindi li ho esaminati minuziosamente più volte. Però i momenti che mi inquietano sono quando immagino i miei film. Di solito sono solo a casa davanti al computer e pensando agli incubi della mia mente mi viene una certa inquietudine.
Perché hai deciso di girare Dracula 3D?
Avevo in testa di fare Dracula da molti anni. Ci ho pensato a lungo e quando ho capito che si poteva fare in un 3D moderno, di ultima generazione, sono stato stimolato a girare.
C'è una componente autobiografica nei tuoi film?
Ci sono stati dei momenti della mia vita che mi hanno spinto a fare questo tipo di film. Una volta mi portarono a vedere Amleto, ma io ero troppo piccolo e quando è apparso il fantasma del padre mi sono venute le convulsioni. L'influenza di Poe ha contribuito, così come certi film che ho visto nell'infanzia. E' vero che le mie angosce vengono trasfuse nei miei film, in parte tutti i miei film sono autobiografici. Questa credo sia la ragione del mio successo perché tutti possono capire ciò che racconto. L'animo umano, la metà oscura è qualcosa di universale.
Molti hanno paragonato Tulpa - Perdizioni mortali di Federico Zampaglione ai tuoi film. Lo ritieni il tuo erede?
I suoi film non hanno niente in comune con i miei. Non penso che sia il mio erede, anche se forse è lui a ritenersi tale.
L'ho visto, ma non mi è piaciuto per niente. Per rendere Anthony Hopkins simile al personaggio, lo fanno recitare con delle protesi in faccia che impediscono l'espressione, mentre Hitchcock era un uomo estremamente espressivo. Qui lo rappresentano come un bonaccione, che ridacchia sempre. Lui era una persona forte, dura, piena di complessi. Il film mi ha irritato.
Cosa consiglieresti ai registi emergenti che vogliono fare horror?
Fare cinema in Italia oggi è difficile. Non ci sono finanziamenti, mancano le scuole. Forse è più facile lavorare all'estero, ma per chi vuole restare qui l'unico modo è girare corti e farli circolare nei festival. Se piacciono qualcuno ti scoprirà.
I tuoi prossimi progetti?
Al momento sto preparando una versione personale di Macbeth per il teatro e inoltre sto scrivendo la mia autobiografia.