Daniel Craig a Roma con Defiance, storia nascosta di ebrei partigiani

Non solo vittime, ma capaci di organizzarsi per resistere al massacro ad opera dei tedeschi durante la Seconda Guerra Mondiale. Questa l'immagine degli ebrei di Bielorussia, guidati dai fratelli Bielski, che propone Defiance - I giorni del coraggio. Per presentarlo sono giunti a roma l'attore inglese e il regista Edward Zwick.

Consacrato dal ruolo-simbolo di James Bond negli ultimi film della saga dedicata all'Agente 007, Daniel Craig torna a maneggiare armi sul grande schermo, ma stavolta da protagonista di un film drammatico che fa luce su una vicenda poco conosciuta dell'epoca della Seconda Guerra Mondiale. In Defiance - I giorni del coraggio, l'attore inglese interpreta infatti un ebreo che, insieme a due fratelli che hanno il volto di Liev Schreiber e Jamie Bell, si batte per resistere al genocidio e ai crimini dei nazisti, facendo nascere nell'entroterra polacco un vero e proprio villaggio che richiama tutta la sua gente, riaccendendo così la speranza della sopravvivenza. Il mito dei fratelli Bielski rivive nel film, diretto da Edward Zwick che lo ha sceneggiato insieme a Clay Frohman, distribuito da Medusa questo venerdì in oltre duecento copie. Abbiamo incontrato a Roma regista e attore per saperne di più di una storia che non ci presenta più gli ebrei come vittime, ma come partigiani disposti a convertirsi alla legge dell'occhio per occhio per salvarsi la pelle.

Daniel Craig, conosceva la vicenda dei fratelli Bielski prima di girare il film e come si è documentato per interpretare al meglio questo ruolo?

Daniel Craig: Non conoscevo affatto la storia o il personaggio prima che mi venisse proposto il film. Sapevo della resistenza ebrea in varie parti d'Europa, della rivolta del Ghetto di Varsavia nel 1943, ma non di ebrei partigiani in Russia. Mi sono quindi documentato molto prima di effettuare le riprese, ho letto "Defiance - Gli ebrei che sifdarono Hitler", il libro da cui è tratto il film e ho parlato per tanto tempo con il regista e con gli altri attori che mi hanno aiutato molto nel calarmi al meglio in un ruolo così complicato.

Perché ha deciso di accettare questo ruolo?

Daniel Craig:

Come attore cerco nei personaggi l'ambiguità e la complessità e in Defiance abbiamo cercato di mostrarle entrambe. I personaggi compiono azioni orribili, ma non abbiamo mai cercato di nasconderle, perché dev'essere soltanto il pubblico a giudicarli. Io mi sono semplicemente chiesto cosa avrei fatto in quelle circostanze. Se il pubblico, dopo essere uscito dalla sala, si fermerà a riflettere, anche solo per un quarto d'ora, a quanto visto sullo schermo allora avremo raggiunto il nostro obiettivo. Ho fatto questo film per amore, non per soldi.

Cosa ne pensa del suo personaggio?

Daniel Craig: Nel film ci sono dei riferimenti ad un presunto parallelismo del mio personaggio con Mosé, ma in realtà lui è un uomo che si ritrova solo per caso trascinato in questa condizione di condottiero, di leader. Il suo eroismo non sta nel fatto che si prefigge come obiettivo quello di salvare delle vite umane, perché quello che gli interessa è salvare sé stesso e i suoi fratelli. Mi è piaciuta molto la complessità di questo personaggio e di questa storia in cui non è tutto bianco o nero, ma che prevede differenti sfumature.

In molti hanno parlato di un trend hollywoodiano recente dei film ambientati durante la Seconda Guerra Mondiale. Prossimamente vedremo infatti titoli come Operazione Valchiria, The Reader e Inglorious Bastards di Quentin Tarantino. Come giudica lei questo nuovo interesse verso quel periodo storico?

Daniel Craig:

Gli eventi della Seconda Guerra Mondiale sono importanti oggi come lo sono sempre stati. Basti pensare al fatto che siamo influenzati ancora oggi dalle decisioni e dai trattati, firmati e calpestati, durante la guerra. Trovo però ridicola parlare di un nuovo genere. Per me sono storie che hanno rilevanza da un punto di vista umano e a me, come attore, interessa raccontare storie con una forte componente di umanità che non sono ancora state raccontate.

Edward Zwick, il film rappresenta per la prima volta l'immagine di un ebreo guerriero che si sottrae a un destino che sembrava scritto. In che modo si fonde la cultura ebraica e quella delle armi?

Edward Zwick: Per capire la storia degli ebrei come cultura e come cultura guerriera bisogna risalire alla Bibbia. Se leggete il libro di Joshua vi renderete conto che tale cultura combattente esiste da tempo. Gli ebrei che racconto nel film hanno cercato di conservare la propria cultura attraverso la forza, ribellandosi ai nazisti, combattendo per preservare la loro vita e recuperare quello che è gli è stato tolto.

Come si inserisce questa storia in un momento attuale così critico per la storia di Israele?

Edward Zwick: E' importante capire la differenza tra quello che sta succedendo oggi e quello che è successo allora. Queste persone in quel momento si trovavano in una condizione drammatica, avevano ben chiara la consapevolezza che sarebbero morti da un momento all'altro, e hanno cercato di sfuggire al genocidio. Oggi questo genocidio, almeno in Terra Santa, non c'è. Bisogna però dire che lo spirito guerriero animava probabilmente anche i sei milioni di ebrei che sono morti nel corso della Seconda Guerra Mondiale, gente che però non ha avuto la stessa possibilità, come i protagonisti del mio film, di ribellarsi e sopravvivere.

Secondo lei enfatizzando ciò che è stato ieri non si tende a minimizzare quello che accade oggi?

Edward Zwick: Un film di finzione non è in grado di parlare della complessità del contemporaneo. Quello è un compito che spetta ai giornalisti, ai saggisti. A volte i film hanno bisogno di un po' di distanza, in termini sia temporali che fisici, per poter parlare di un evento realmente accaduto.

Per sua natura il cinema è riduzionista, trae il succo dagli eventi, trasformandoli in una forma rappresentativa. I fatti di oggi sono talmente complssi che non è possibile ridurli in due ore di film. La storia raccontata da Defiance guarda sia indietro che avanti. L'immagine di queste persone costrette a lasciare il luogo in cui abitano, portando con sé lo stretto necessario, è simile a quella della diaspora, presente nella Bibbia e nel Vecchio Testamento, e i due fratelli che si aiutano a vicenda ricordano molto da vicino Mosé ed Aronne. Questo spostamento di profughi fa pensare, d'altra parte, anche a quello che succede ai profughi dei giorni nostri che vanno via dalle proprie terre per sfuggire all'oppressione.

Perché è così importante oggi raccontare la storia al cinema?

Edward Zwick: Credo che ormai di persone che hanno fatto esperienza diretta di quegli eventi ne siano rimaste molto poche e in pochi anni non ci sarà più nessuno che avrà un ricordo preciso di quei tempi. Tra gli artisti c'è quindi l'ansia di raccontare queste cose dopo averle ascoltate per tanto tempo e questo può spiegare la tendenza al cinema di raccontare come siano andate davvero le cose nel periodo della Seconda Guerra Mondiale.

Al di là della vicenda generale legata al popolo ebreo, altro aspetto che emerge in modo potente dalla pellicola è la presenza dell'amore, sia quello per la libertà che quello tra i fratelli che lottano per restare insieme.

Edward Zwick: Matrimonio, fratellanza, sessualità, educazione, sono forze che hanno mantenuto in vita quelle persone. Le coppie che si sono venute a formare in quella situazione sono rimaste insieme per sessant'anni. E' inevitabile in una storia del genere ritrovare l'amore in ogni spiraglio di luce.

Daniel Craig: Trovo sia un discorso molto affascinante quello dell'amore tra questi tre fratelli il cui rapporto è stato fondamentale per la loro impresa. Ho avuto la fortuna di incontrare i discendenti dei Bielski e sono persone che si esprimono in maniera fisica, molto presenti da un punto di vista emozionale e molto rumorosi. L'amore, l'aggressività, la passione, la spinta a formare una famiglia, ha spronato quella gente ad andare avanti. L'idea che siano riusciti a sopravvivere grazie a un'energia profonda dentro di loro è meravigliosa.