Dalla Russia con terrore
Il 26 aprile 1986 la Repubblica Socialista Sovietica deve affrontare uno dei disastri nucleari più devastanti della storia dell'umanità. Si tratta dell'esplosione del reattore n°4 della centrale di Chernobyl, capace di rilasciare nell'atmosfera una contaminazione radioattiva superiore a quella di 400 bombe atomiche. Come conseguenza, i villaggi nei dintorni vengono evacuati immediatamente nella speranza di limitare i danni sulla popolazione. A subire questo trattamento è anche la cittadina di Pripyat, dove alloggiano i lavoratori dell'impianto e le loro famiglie. Abbandonato in una sola notte, da quel giorno questo luogo diventa il simbolo della desolazione e la meta di un turismo un macabro. A lasciarsi sedurre da un tour esclusivo tra queste strade desolate rimaste immobili nel tempo sono Chris, il fratello Paul, Natalie, Amanda, Zoe e Michael. Scortati da Uri, ex militare trasformatosi in guida per turisti estremi, i ragazzi ammirano i resti di un mondo che non esiste più, ma quando sopraggiunge la notte e scoprono di essere intrappolati in un furgone in mezzo al nulla, il loro entusiasmo scompare immediatamente. Il silenzio è sostituito da rumori sospetti che annunciano una presenza ben più minacciosa di un murales dedicato a Lenin.
Secondo Alfred Hitchcock genera più timore l'intenzione di sparare che il rumore di un proiettile. Su questa consapevolezza il maestro assoluto del mistero ha fondato l'inattaccabile teorema della suspence che, dopo aver lasciato con il fiato sospeso più di una generazione e trovato terreno fertile nel thriller, negli ultimi dieci anni ha contagiato quasi inevitabilmente anche l'horror. Così, dopo il successo ottenuto dall'innovativo The Blair Witch project - Il mistero della strega di Blair, gli autori e i registi votati al genere hanno capito che accanto al sempre efficace racconto splatter, composto di una varietà infinita di zombi, mutanti e serial killer con una particolare predisposizione alla tortura, era plausibile e possibile mostrare gli effetti del terrore psicologico. Creata quasi sempre dall'attesa che accada l'evento o che si palesi una minaccia invisibile, in questo caso la paura dello spettatore è stimolata ulteriormente da finte riprese documentaristiche e da una violenza consumata con puntualità fuori dall'obiettivo, senza trascurare il sonoro che nella costruzione dell'immaginario horror assume un ruolo dominante. Dunque, scoperta la formula vincente, ecco che l'industria cinematografica si è lanciata in una ripetizione seriale di progetti che, però, non sempre riescono ad ottenere il consenso del pubblico e la benedizione della critica. A dimostrarlo è proprio Oren Peli che, dopo il clamore di Paranormal Activity, ci riprova con Chernobyl Diaries - La mutazione senza riuscire minimamente a sfiorare la qualità estetica e narrativa della sua prima regia. Affidata la direzione all'esordiente Bradley Parker, in questo caso Peli veste i panni di un produttore forse troppo ottimista ma, soprattutto, di un autore in piena crisi creativa. Infatti, nonostante l'idea di ambientare la vicenda tra le macerie apparentemente silenziose della cittadina russa di Pripyat possa far sperare in un horror post nucleare di un certo spessore, la scelta di un soggetto scontato e di facile prevedibilità spegne immediatamente ogni entusiasmo. Così, immersi nel silenzio raggelante di un luogo privo di vita, si assiste al destino di Chris, Natalie, Amanda, Zoe, Michael e Paul, l'immancabile gruppo di ragazzi desiderosi di avventure e destinati a una fine precoce. Caratterialmente poco delineati e con un vago accenno alle dinamiche sentimentali, a loro viene affidato il compito quasi impossibile di trascinare lo spettatore in una fuga per la salvezza che, nemmeno a dirlo, lascia sulla strada vittime aggredite misteriosamente con un'indifferenza poco adatta a creare suspense e aspettativa. Questo, unito alla presenza di "belve" mutanti prive di un ruolo preciso all'interno della narrazione e da improvvise apparizioni/sparizioni di figure infantili dotate forse di poteri straordinari, riassume la fragilità di un intreccio che l'inesperienza di Parker non riesce minimamente a nascondere. Anzi, affatto interessato al suo stile impersonale, il neo regista sembra più deciso a dimostrare di conoscere nel dettaglio la materia horror che a rintracciare un punto di vista se non originale, almeno non facilmente prevedibile. Per questo, manuale alla mano, non si nega l'inserimento del filmato in stile amatoriale con scena confusa di un assalto mortale, né il passaggio tra luci e oscurità che, evitando di utilizzare eccessi visivi, risulta sempre troppo repentino e senza apparente significato. Ed è proprio in quest'uso ingiustificato della velocità che si nasconde uno dei limiti maggiori di Chernobyl Diaries. Non permettendo alla vicenda di prendersi il tempo necessario alla costruzione dello stato ansioso, il regista non lascia ai suoi protagonisti il piacere di percorrere i luoghi e vivere gli stati d'animo accanto allo spettatore, ma pone questo in una condizione di costante vantaggio, sempre un passo avanti rispetto alla vicenda senza mai concedergli così il gusto di un brivido.
Movieplayer.it
2.0/5