Lui, Laurent Cantet, classe 1961, è giustamente considerato uno dei maestri del cinema francese contemporaneo, in primo luogo grazie a La classe - Entre les murs, l'opera che nel 2008 ha rivelato il suo talento di regista al pubblico internazionale, permettendogli di ottenere la Palma d'Oro al Festival di Cannes e la nomination all'Oscar per il miglior film straniero.
Ieri pomeriggio, a Roma, abbiamo incontrato Cantet in occasione dell'uscita della sua nuova pellicola, Ritorno a L'Avana, premiato come miglior film alla 71° edizione del Festival di Venezia nella sezione "Giornate degli Autori" e nelle sale italiane da questo giovedì distribuito da Lucky Red: il confronto, nostalgico ma al contempo doloroso, fra cinque amici cubani ultracinquantenni che si ritrovano su una terrazza dell'Avana per festeggiare il ritorno di uno di loro, Amadeo, fuggito in Spagna sedici anni prima. Cantet ci ha raccontato come si è sviluppato questo suo nuovo lavoro e in che modo Ritorno a L'Avana è riuscito a coinvolgerlo a livello personale...
Tornando a casa
In che modo, in Ritorno a L'Avana, ha scelto di elaborare l'analisi di un gruppo di personaggi?
Nei miei film ho sempre raccontato le dinamiche e i sentimenti all'interno di un gruppo; in Ritorno a L'Avana si tratta di un gruppo legato da un'amicizia molto profonda, persone che hanno bisogno le une delle altre, ma che al tempo stesso litigano e sono divise da tensioni. Si tratta di personaggi molto vicini alla realtà, che hanno avuto grandi ideali e provano una profonda nostalgia nei confronti del passato, aspetti che trascendono la realtà cubana. Non è un film su Cuba, ma solo ambientato a Cuba.
All'inizio Ritorno a L'Avana era stato pensato come un cortometraggio: come mai poi avete sviluppato il soggetto in un film vero e proprio?
All'origine del film c'è stata la proposta di realizzare un cortometraggio per la pellicola a episodi 7 giorni all'Havana, ma ci siamo presto resi conto che non sarebbe stato possibile esaurire questo soggetto in appena un quarto d'ora; quindi ho deciso che, appena avessi finito di lavorare a Foxfire - Ragazze cattive, sarei tornato su questo soggetto per svilupparne un lungometraggio. Ho scelto comunque di mantenere l'ambientazione circoscritta ad una terrazza, come una sfida narrativa che contenesse un'ora e mezza di racconto nello stesso luogo.
Cosa l'ha spinta a raccontare frammenti di storia cubana attraverso le vicende individuali di questi personaggi?
Negli ultimi dieci anni ho trascorso molto tempo a Cuba, ascoltando anche le storie delle persone che vi abitano. Inoltre ho letto tutti i libri di Leonardo Padura Fuentes che raccontano appunto la storia cubana, e i personaggi di Ritorno a L'Avana rappresentano in parte un condensato dei romanzi di Padura, al quale mi sono affidato per la realizzazione della sceneggiatura: è stato lui a conferire davvero sostanza al film.
Il film ha una spiccata dimensione teatrale: da cosa è dipeso tale approccio?
La dimensione teatrale del film è una scelta consapevole, che permette di elaborare con attenzione i dialoghi, elemento in grado di far emergere le caratteristiche dei personaggi. Non penso che la storia avrebbe avuto la stessa efficacia se il film si fosse svolto in un arco temporale più vasto: invece, ambientando l'intera vicenda in un unico luogo nell'arco di una serata, abbiamo sottolineato l'urgenza di questo confronto, l'urgenza di esprimere determinate cose in quel preciso contesto. Inoltre la tecnica dei primi e primissimi piani mi ha permesso di cogliere ogni sfumatura dei volti dei personaggi, con espressioni che spesso rivelano molto di più di quanto non facciano le parole. In compenso, ho cercato di rompere questo dispositivo teatrale attraverso un linguaggio al contrario molto colloquiale e quotidiano, con battute, termini volgari e dialoghi che spesso si sovrappongono.
Fra disillusione e tenerezza
Ha provato un particolare senso di identificazione nei confronti dei personaggi del film?
Mi riconosco in parte in tutti loro, a partire da Aldo e dal suo bisogno di credere ancora in un ideale; ma anche nell'amarezza di Tania, talvolta addirittura irritante nella sua durezza, dietro la quale però nasconde una profonda delusione. Ciascuno di questi personaggi dice qualcosa che avrei potuto dire anch'io. Inoltre sono stato molto toccato da Eddy, che potrebbe apparire la figura più patetica e più ambigua: eppure mi commuove per la sua consapevolezza dei propri tradimenti, per i quali è arrivato quasi ad odiarsi. Non credo che riuscirei a raccontare la storia di un personaggio per il quale non provassi un senso di tenerezza.
Nella realizzazione del film avete avuto problemi da parte delle autorità cubane?
Il film è stato scritto insieme a Leonardo Padura Fuentes. Non abbiamo avuto alcun problema di censura, la sceneggiatura è stata inviata alle autorità e l'approvazione è arrivata in tempi molto rapidi, senza richieste di cambiamenti, e durante le riprese non abbiamo subito alcun tipo di controllo. Fra l'altro abbiamo appena ricevuto la notizia che il film è stato invitato a partecipare al Festival dell'Avana, il prossimo dicembre; questo significa che oggi è possibile assumere anche uno sguardo critico nei confronti della realtà cubana e del suo regime.
Come ha scelto i cinque attori protagonisti del film?
A differenza dei miei film precedenti, in Ritorno a L'Avana ho adoperato tutti attori professionisti, scelti secondo un regolare processo di casting; poi nella fase successiva abbiamo lavorato sulla sceneggiatura, inserendo possibilità di improvvisazioni. Il film ha assunto una particolare importanza anche per loro, in quanto è ricollegabile alla loro esperienza e alle loro emozioni personali. Inoltre abbiamo realizzato le riprese in ordine cronologico, in modo da aiutare gli attori ad immedesimarsi nei personaggi e nelle situazioni, e allo stesso scopo abbiamo adoperato numerosi piani sequenza, usando due macchine da presa.
Una "generazione perduta"
Nella realizzazione di Ritorno a L'Avana ha subito l'influenza di altri film con una struttura analoga, come Il grande freddo di Lawrence Kasdan?
Tanti anni fa ho visto La terrazza di Ettore Scola, che mi è tornato in mente durante le riprese, ma per non farmi influenzare troppo ho preferito non rivederlo e affidarmi sono al mio ricordo. La terrazza è un luogo che permette di osservare la città, evitando però le immagini da cartolina: siamo dentro L'Avana, ma anche un po' al di sopra, da una prospettiva particolare, dalla quale ci arrivano pure i suoni della città, e la vista del mare ci ricorda che Cuba è un'isola, come Itaca. Il grande freddo invece non l'ho mai visto, dovrò recuperarlo!
Da cosa è derivata la scelta di California Dreamin' dei Mamas & the Papas come canzone in grado di catalizzare i ricordi dei personaggi?
Questa canzone contiene un elemento molto nostalgico; inoltre si tratta di un brano che all'epoca a Cuba fu proibito, e chi aveva avuto la fortuna di mettere le mani sul disco se lo passava di nascosto. Inoltre nel film ho inserito anche la vecchia diatriba fra i sostenitori dei Beatles e i sostenitori dei Rolling Stones, proprio per sottolineare la valenza universale della musica, a prescindere che ci si trovi a Cuba o in qualunque altra parte del mondo.
A livello personale, quanto si è sentito coinvolto dai sentimenti di questa "generazione perduta" e come si collocano questi sentimenti rispetto alla Francia di oggi?
Forse anch'io mi sento parte di questa "generazione perduta", anche se anagraficamente sono arrivato un po' tardi rispetto alla generazione militante del Sessantotto. In compenso ho condiviso quegli stessi ideali, sebbene la mia generazione non li abbia espressi in qualcosa di più concreto, a differenza di quella precedente. Rispetto alla Francia, non ho più alcuna illusione: ci troviamo ad un punto in cui non ci sono più valori, ci limitiamo a gestire la crisi e non vedo più alcun tipo di coerenza o di pensiero politico, ma soltanto un panico generalizzato.